Il ricordo di don Bepo. Il vescovo: «Considerava il Patronato un cantiere di speranza»

Hanno preso il via gli atti preliminari necessari all’apertura del processo diocesano per la beatificazione di don Bepo Vavassori, fondatore del Patronato San Vincenzo. L’ha annunciato mercoledì sera 5 febbraio don Davide Rota, superiore del Patronato, all’inizio della Messa solenne in memoria e suffragio di don Bepo nel 45° anniversario della scomparsa, presieduta dal vescovo Francesco Beschi nella chiesa del Patronato. «Vogliamo dire grazie a don Bepo per la sua opera — ha detto don Rota —. Insieme vogliamo ringraziare il vescovo per l’appoggio alla nostra istituzione e anche l’intera famiglia del Patronato: sacerdoti, collaboratori, volontari, docenti, ospiti italiani e stranieri, giovani, ex alunni e benefattori. Vogliamo ricordare anche i sacerdoti defunti del Patronato, fra cui don Roberto Pennati. Quest’anno ricorre anche il 50° di fondazione della “Città del niño” in Bolivia». Tante di queste persone erano presenti alla Messa.

Don Bepo, considerato il don Giovanni Bosco bergamasco, nasce il 19 luglio 1888 a Osio Sotto. Dopo l’ordinazione sacerdotale (25 luglio 1912) à coadiutore parrocchiale di Branzi e due anni dopo parroco di Trabuchello. Nel 1916 è cappellano militare durante la Grande guerra. Congedato nel 1920, torna a Trabuchello. L’anno successivo è parroco di Olmo al Brembo. Nel 1925 è chiamato in Seminario come padre spirituale. Nel 1927 avvia l’opera del Patronato San Vincenzo, per raccogliere, soccorrere e formare umanamente e professionalmente giovani e orfani, allora molto numerosi. Contemporaneamente, dal 1927 fino al 1932, in un periodo politico difficile anche per il quotidiano bergamasco, è direttore de L’Eco di Bergamo. Nel 1962 il Patronato esporta la sua opera in Bolivia. Muore il 5 febbraio 1975 a 86 anni di età. È sepolto in una cripta accanto alla chiesa del Patronato.

All’omelia, durante la quale ha citato varie volte gli scritti di don Bepo, il vescovo ha paragonato lo sguardo d’amore di Cristo verso ogni uomo a quello di don Bepo verso la gioventù. «I suoi occhi hanno saputo riconoscere i solchi della storia, anche quando venne incarcerato dai tedeschi, considerando quel periodo come guarigione dalle sue infermità spirituali. La sua biografia è tutta uno sguardo ai giovani, soprattutto quelli che avevano sperimentato abbandono e povertà, e ha sentito come proprie le loro sofferenze». Cosa intendeva don Bepo per educare la gioventù? «Per lui — ha risposto il vescovo — l’educazione non era una tecnica, ma qualcosa del cuore, perché non erano sufficienti diplomi o lauree se mancava l’amore e l’educatore aveva la stessa missione di un artista. E lo diceva ai suoi collaboratori. Conosceva i suoi ragazzi nome per nome, perché per lui il nome era motivo di riflessione e si doleva se ne dimenticava qualcuno». Per don Bepo era indispensabile educare anche alla fede. «Desiderava moltissimo — ha proseguito monsignor Beschi — donare la fede ai suoi giovani e diceva loro che li avrebbe aspettati uno a uno alle porte del Paradiso».

Cos’era il Patronato per don Bepo? «Avendo uno sguardo educativo concreto — ha detto ancora il vescovo — lo considerava come un cantiere di speranza. E insegnava ai suoi giovani a crescere nella responsabilità, perché non potevano soltanto ricevere un tetto, un lavoro e un sorriso, ma dovevano anche saper donare e testimoniare la carità. Raccogliamo come un dono i suoi insegnamenti, ricchi di opere del Vangelo, perché anche noi possiamo rendere più umana la vita, per spenderla nel servizio ai fratelli più poveri e deboli».