Sara: “Sono nata e cresciuta in Italia, ma le mie origini sono importanti”

“All’inizio ho rinnegato la mia parte araba, poi ho avuto un ritorno alle origini ed ora ho capito che entrambe le due culture, quella italiana e marocchina, fanno parte di me e che la diversità è solo una ricchezza”. A parlare è Sara E., 25 anni, di Bergamo, nata e cresciuta in Italia da genitori di origine marocchina. Sara, studentessa di Lingue e letterature straniere all’Università di Bergamo, responsabile eventi dell’associazione Toubkal,  rientra tra le cosiddette “seconde generazioni”: “Non è sbagliato utilizzare questo termine: ci sono tematiche e schemi universali al di là della cultura di origine, ma poi non avrebbe senso parlare di terza generazione perché non vivrebbero lo stesso conflitto che abbiamo vissuto noi. Credo che le seconde generazioni siano il fulcro dell’integrazione: quest’ultima non si vede con gli immigrati, ma con i loro figli”. Sara racconta di aver vissuto per molto tempo la sua doppia identità in modo contrastante, con a casa il mondo arabo e fuori l’Occidente. In particolar modo a scuola e dopo l’attentato dell’11 settembre: “Alle elementari e medie ero l’unica bambina di origine straniera, poi alla superiori i compagni stranieri sono aumentati. In classe ero vista come una rappresentante del mondo arabo: ma l’Egitto è diverso dal Marocco, così come l’Arabia Saudita, e via dicendo, il mondo arabo non è un blocco statico, ogni Paese è a sé stante. Ricordo quando è morto Saddam, avevo 8 anni, un mio compagno mi disse ‘ho visto che hanno ucciso tuo zio in tv’. Io pensavo al mio vero zio e lui aggiunse ‘vabbé, siete entrambi di quelle parti’. I bambini nella loro onestà possono essere crudeli. Mi dicevano che il mio cognome era diverso, che non ero italiana. Mi sono messa a piangere a casa: mia madre dopo due settimane è andata in Questura a richiedere la cittadinanza e così poi l’abbiamo potuta ottenere”. E aggiunge: “Dopo l’attentato dell’11 settembre c’è stato un declino: dovevo in qualche modo difendermi. Ero adolescente, rifiutavo la mia identità orientale. A ciò si aggiunge che anche in Marocco non venivo riconosciuta come marocchina. Lí le seconde generazioni vengono chiamate ‘vacanciers’, perché vengono solo nelle vacanze estive. Vengono prese in giro perché vivono il Marocco a metà, si pensa che siano pieni di soldi”. Questo conflitto identitario Sara lo ha risolto ritornando alle origini: “Ho fatto delle ricerche sulla Storia del Marocco, dato che a scuola la Storia viene studiata in modo eurocentrico; poi ho intrapreso un percorso interiore per quanto riguarda la religione con il Centro culturale islamico di Boccaleone, dove ogni venerdì le donne si incontrano e dove ho trovato altre ragazze di seconda generazione come me che si ponevano le stesse domande”. Per tre anni Sara indossa anche lo hijab, il velo islamico che copre i capelli: “Quando ho deciso di indossarlo era appena successo l’attentato di Parigi: ricordo che sono andata a prendere il pullman, una signora mi ha vista, è sobbalzata ed è andata a sedersi lontana da me. Mi sono messa a ridere. Nessuno mi ha costretta a metterlo: mia madre lo ha messo di recente, a 50 anni, e a quell’epoca ha cercato semplicemente di capire il motivo della mia scelta, mentre mio padre era contrario”. Una scelta che le é costata la perdita di alcuni amici italiani, così come, quando ha deciso di toglierlo, ha perso alcune amicizie della comunità islamica. “Quando ho vinto la borsa di studio e ho potuto fare cinque mesi in Marocco in Erasmus, mi sono resa conto che era stata una scelta dettata più dal voler rafforzare la mia identità che religiosa. Per questo motivo ho deciso poi di toglierlo: non era il momento giusto per me. Chissà, forse in futuro lo rimetterò”. I pregiudizi non mancano, come le discriminazioni, ma si impara a ignorarli e andare oltre: “Negli ambiente più giovani il pregiudizio è meno palese, gli italiani stessi ormai sono cresciuti in classi multietniche. Il bigotto si troverà sempre, ma si impara a ignorare. Ci vuole però tanta pazienza: spesso ci si ritrova a giustificare a dei perfetti estranei perché siamo qui, che ci facciamo e così via”. Doppia identità come debolezza o punto di forza? “In età adolescenziale è un punto di debolezza: si è insicuri, si cerca di trovare la propria strada e si subisce la pressione della famiglia da una parte e della società dall’altra. È una battaglia non semplice, ma quando trovi la rotta capisci dell’enorme ricchezza che hai. Mi definisco cosmopolita: include tutto”.