#iorestoacasa: un atto d’amore. Così resiste il senso di comunità

“Sì, certo: stiamo chiusi in casa. Però…C’è molta forza, molta luce, molta bellezza in noi. E non deve andare persa, neanche un grammo”. Così scrive Alessandro Baricco. Sono giornate difficili ed è prezioso lo sguardo che poeti e scrittori ci aiutano a proiettare sulla realtà, offrendo uno spiraglio di speranza, un orizzonte a cui rivolgersi.

Le nostre giornate – in tutta la provincia di Bergamo – sono ormai scandite dalle sirene delle ambulanze, soprattutto nei paesi più colpiti dall’epidemia, e dai messaggi preoccupati di amici e parenti: c’è un continuo rincorrersi, un urgente bisogno di sentirsi per controllare “come va” e trovare conforto. Tutte le sere alle 18 c’è l’appuntamento con la conferenza stampa della Regione che aggiorna i dati e gli eventi del giorno proiettando scenari solo in parte rassicuranti, nonostante lo sforzo titanico del sistema sanitario, della Protezione civile, dei volontari (i nostri “eroi” di oggi, come testimoniano striscioni pieni di gratitudine) di rispondere in modo efficace all’emergenza, con un impegno che sta già trasformando la Lombardia un esempio da seguire a livello internazionale.

Le bacheche dei social network in assenza di contatti personali sono diventati le nostre finestre sul mondo: quasi un luogo “fisico”, dove rimbalzano notizie vere e false, opinioni, teorie complottiste, si dice tutto e il contrario di tutto.

Ci sono gli allarmi virtuali, le foto di medici e infermiere esausti addormentati sulle scrivanie a fine turno, con i segni delle mascherine sul volto. Raccontano le giornate spese in ospedali che sembrano trasformati in gironi dell’inferno. Purtroppo a tutto questo si aggiungono  i dolori reali, le perdite, i lutti. Persone che scompaiono all’improvviso, con una modalità a cui non siamo abituati e che prima di oggi non saremmo mai riusciti a immaginare: da soli, in ospedale, senza una carezza, una parola d’amore, il conforto e la vicinanza dei propri cari e neppure di un prete e degli ultimi sacramenti. Chi rimane non può avere, in questo momento, il conforto degli abbracci degli amici e dei familiari. E’ una situazione molto cupa e triste, ma proprio per questo deve suscitare in noi una grande forza “uguale e opposta” come nel teorema di Archimede. Una reazione che possa spingerci, come dice Baricco, a cercare la forza, la luce e la bellezza che abbiamo dentro. A partire dai piccoli e grandi segni disseminati negli angoli delle nostre giornate, in una routine completamente sovvertita. Gli arcobaleni e i disegni dei bambini, i volontari che portano la spesa e i farmaci a domicilio, le aziende e i professionisti che – nell’impossibilità di lavorare – mettono le proprie abilità e competenze a servizio degli altri, per aiutarli a superare le difficoltà del momento, il mondo della cultura che si fa in quattro per resistere. Le comunità cristiane non muoiono, restano aperte nonostante tutto, nonostante sia tutto sospeso: le messe, le riunioni, la catechesi, i convegni. Il legame resta in modalità diverse: lo raccontiamo nel nostro dossier sulla Quaresima. Il filo rosso che unisce tutti, sempre, è la preghiera, con il gesto di affidarsi, come ha indicato il Papa con la sua preghiera a Maria. In questo contesto #restoacasa non è più uno slogan: per chi può farlo (sarebbe bello che fossero tutti, che potesse davvero fermarsi tutto) è un atto d’amore. Come scrive la poetessa Mariangela Gualtieri (la sua ultima poesia, pubblicata pochi giorni fa da Doppiozero, sta circolando molto sui social): “E’ portentoso quello che succede. E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano. Forse ci sono doni. Pepite d’oro per noi, se ci aiutiamo”. Tendere (virtualmente) la mano ai più fragili. Pensare soprattutto ai nonni, a quelli che ci hanno lasciato e a quelli che restano, proteggerli sempre. Accendere una luce (anche solo una candela alla finestra) per chi soffre, per chi veglia e chi piange, una preghiera e un abbraccio (da lontano) per chi deve affrontare tutto questo da solo.

Foto copyright Giovanni Diffidenti