Nella notte più profonda: le opere di Gianriccardo Piccoli nella chiesa di Longuelo

La Comunità Cristiana di Longuelo ha affidato a Gianriccardo Piccoli la meditazione artistica della Quaresima 2020. È ormai una tradizione che nei tempi forti dell’anno liturgico la preghiera personale e comunitaria sia sostenuta da opere d’arte contemporanea, temporaneamente allestite nella chiesa parrocchiale. Piccoli ha collocato due grandi tele sul presbiterio, ai lati del crocifisso. Fanno parte di una meditazione pittorica più articolata dedicata ai temi della solitudine e dell’assenza, cui Gianriccardo Piccoli ha dato il nome di Getsemani. Sono opere realizzate non con l’intento di narrare la terribile ora dell’agonia di Gesù, ma con la volontà di porre su tela il dramma universale dell’abbandono e dell’angoscia, eleggendo a condizione esistenziale universale il patimento di Cristo nel Getsemani.

Una meditazione sulla solitudine e l’assenza

Dove il sudore diventa sangue, dove si fa esperienza della solitudine assoluta, dove non c’è un solo amico a condividere il peso della notte più profonda. Sono le immagini offerte alla preghiera di chi entra in chiesta in questi giorni tremendi. Opere che restituiscono nel linguaggio trasfigurato l’angoscia di molti e che sono accostate all’antico crocifisso ligneo della parrocchiale. In lui, nel crocifisso-risorto, che ha attraversato la morte, possono trovare ascolto le preghiere, le invettive, le suppliche, le lacrime degli uomini di questo tempo.

Le due opere non nascondono il dramma. Sono scatole buie, reliquiari di assenze e di vuoto. Sacelli di silenzio. Le garze, che li ricoprono, stemperano il disegno e la parte dipinta, avvolgendo la composizione con un velo, elemento mediano che trattiene l’immagine e la restituisce lentamente all’occhio di chi la osserva. Piccoli depone le garze sulla tela, le appoggia e le alza, le toglie, le depone e poi le tende. Sulla superficie dipinta rimane impressa una traccia sindonica e che si imprime anche sulla garza. La tela si dilata e si crea uno spazio intermedio. Una garza che avvolge un vuoto. Basterebbe questo per introdurre questi lavori di Piccoli nella preghiera di una comunità che si prepara a celebrare il mistero della Morte e Risurrezione di Gesù.

Pozzi di buio incorniciati di silenzio bianco

L’assenza è il cuore della riflessione dell’artista su queste tele. “Io sono partito – afferma Piccoli – da un’idea di vuoto, di solitudine. Quella solitudine che io vivo nel mio studio e che mi è necessaria. In questo senso sono dipinti un po’ autobiografici. Ci sono dentro temi che mi accompagnano da sempre: l’abbandono, il dolore e la perdita”. 
E così arriva a dipingere due tele che sono pozzi di buio incorniciati di silenzio bianco. Restituiscono infinite vibrazioni di colore in cui l’occhio si perde, come in un esercizio introspettivo. La garza fa vibrare anche i colori più sordi. Sono opere che riconsegnano il ricco e inesausto percorso dell’artista, la sua decennale esperienza di lavoro sugli acetati, sulle carte, sulle garze e sulle cere. Tele capaci di restituire – anche in mezzo al nero – la trama della luce.
Piccoli le ha chiamate Getsemani per via di una frase di Pascal che lo ha sempre colpito: “Cristo è in agonia, nell’orto degli ulivi, fino alla fine del mondo. Non bisogna lasciarlo solo per tutto questo tempo” (Blaise pascal, Pensieri, n.553). Si è sentito interrogato dall’immagine dell’eterna sofferenza di Gesù, in agonia che si rinnova ovunque ci sia un essere umano che lotta con la tristezza, la paura, l’angoscia, in una situazione senza via d’uscita, come lui quel giorno. E forse si è ritrovato anch’esso parte di questa agonia universale. “I miei Getsemani – prosegue Piccoli – sono spazi del dramma, tentativi di dare senso alla vita, spazi di agonia – lotta interiore. Anche per me ogni opera è un dramma. Ma anche un grande esercizio consolatorio, perché in ogni dipinto c’è la speranza di trovare qualcosa, magari un senso, scandagliando quelle tenebre che paiono inghiottire tutto. E questa speranza è per me fonte di consolazione. Se smettessi di scendere nello spazio vuoto, se non reggessi più il silenzio, se non avessi più la speranza di dar senso alle cose, lì sarebbe solo disperazione”. In quest’ottica i lavori di Piccoli assumono un valore quasi sacro. Certamente profondamente spirituale. L’incessante ricerca di un senso ultimo, la profonda introspezione per trovare la verità più profonde dell’uomo sono tratti non secondari del lavoro dell’artista. E come l’artista non sarebbe tale se non facesse esperienza della solitudine dello studio e della sottile angoscia della tela bianca, così Gesù “non sarebbe stato uomo, uomo fino in fondo, ignorando, non provando, rifiutando di provare il più grande terrore dell’uomo, il più grande sgomento dell’uomo. Non sarebbe stato uomo. Dunque non sarebbe stato l’uomo Dio” (Charles Peguy, Getsemani).
A ben guardarle le due tele evocano una croce che non c’è. Segni orizzontali tracciano un sinistro patibolo, al quale non possono essere inchiodate le braccia assenti. Dal buio profondo delle tele emergono cromie terrigne che richiamano i colori di ruggine dell’altare e della piccola abside che custodisce il crocifisso. È un impasto di sangue e terra, di legno e vino, di croce e di tavola.
La figura diafana di Gesù si staglia sulle tenebre delle due tele. Ed è la chiave di volta che dà senso all’installazione. Il corpo diventa offerta e l’angoscia si tramuta in affidamento. Il Getsemani è un passaggio necessario dove la parola e la volontà incontrano la prova estrema. “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà” (Lc 22,42). Il dire si mantiene drammaticamente unito al fare. “Perché c’è un abisso tra volere e fare, tra volere la morte, la propria morte, e passarci” (Charles Peguy, Getsemani). Un figlio, il figlio di Dio, chiede al Padre clemenza, lo supplica affinché gli sia risparmiata la prova della morte, chiede che la sua vita continui. Dio risponde con il silenzio profondo, come profonde sono le tenebre dei sepolcri esistenziali di Piccoli.
Ma attraversando il buio e l’assenza, la preghiera di Gesù cambia forma. Non è più implorazione di liberazione, ma atto di consegna. Supplica drammatica e dolente, che apre uno spiraglio di luce nel buio più pesto. Come la sottile linea bianca che danza quasi impercettibile da una tela all’altra. Candido filo spinato, dolente cicatrice intessuta di luce. “Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo” (Lc 22,43). Non a liberarlo dalla sofferenza. Ma a colui che giunge a volere la volontà del Padre e che assume la propria vita come offerta, è concessa una carezza, che si posa gentile come una piuma sulla fronte imperlata di sangue e sudore.
Il Crocifisso ricorda che la notte del Getsemani è la notte del disarmo totale dell’io. Tempo estremo in cui “l’io cede, indietreggia, si affida all’Altro sebbene l’Altro – ed è questa la prova ultima – non risponda”. (Massimo Recalcati, La notte del Getsemani). Così, in quella notte, “la fede più radicale non sorge dalla presenza, ma dall’assenza di Dio” (Massimo Recalcati, La notte del Getsemani). E dal buio più profondo già occhieggiano i bagliori dell’alba.

La storia di Gianriccardo Piccoli

Gianriccardo Piccoli (Milano, 1941) si è formato all’Accademia di Brera, sotto la guida di Pompeo Borra. Nel corso degli anni settanta approfondisce l’indagine sugli interni e sul paesaggio, temi e soggetti che resteranno ricorrenti nella sua produzione successiva. Nel decennio a venire si registra il riconoscimento pubblico del suo lavoro, attraverso il premio Feltrinelli nel 1984, la mostra personale al Teatro Sociale di Bergamo e la partecipazione alla Biennale di Venezia nel 1986. Le due rassegne antologiche nel 1990 – a Tenero (in Svizzera, presso la Galleria Matasci) e a Monza (Musei Civici al Serrone di Villa Reale) – sono l’occasione per trarre il bilancio di un’attività quasi trentennale. Nel 1992 espone in Germania, a Wiesbaden e a Düsseldorf. Nella Chiesa di Sant’Agostino a Bergamo sono esibite, nel 1995, le 14 tele dedicate alle stazioni della Via Crucis. A partire dal 2003 si trasferisce per lunghi periodi di soggiorno a Basilea, dove occupa una casa-studio in Klybeckstrasse. Da quel momento sperimenta nuovi materiali (cera vergine, filo di ferro, rame) sempre inseriti in orchestrazioni pittoriche che riassumono i temi di una vita. Nel corso del 2007 il Museo Adriano Bernareggi di Bergamo lo invita a inaugurare un nuovo spazio dedicato all’arte contemporanea (l’ex Oratorio di San Lupo) con una monumentale installazione dedicata a Qoèlet. Nel 2009 Villa Panza a Varese ha organizzato una sua mostra personale, intitolata “Stanze per Villa Panza”. Nel 2010 ha esposto a Roma, presso l’Arciconfraternita dei Bergamaschi, un “Omaggio a Caravaggio”. Nel 2011 è stata inaugurata una chiesa a Portovejo (in Ecuador) con una sua opera intitolata Pentecostes. Alla fine del 2011 è stata pubblicata da Electa una monografia che raccoglie il suo intero percorso figurativo. Nel 2015 rilegge le ultime opere di Lorenzo Lotto per un’esposizione allestita prima a Loreto al Museo – Antico Tesoro e poi a Bergamo, a Palazzo della Ragione dove, insieme alle trenta opere di Gianriccardo Piccoli, è stato esposto anche il Libro di Spese Diverse, manoscritto autografo di Lorenzo Lotto. Nel 2018 realizza per la nuova chiesa di Cavernago l’immagine mariana, le quattordici garze della Via crucis e il tabernacolo.