Pasqua in quarantena. Pablo d’Ors: “Possiamo fare un passo da giganti come credenti e come persone”

Dio sembra in esilio ai tempi del coronavirus, con le chiese vuote, le Messe online, una Pasqua surreale: eppure, dice Pablo d’Ors – prete, scrittore, consigliere culturale del Vaticano e fondatore dell’associazione “Amici del deserto” – per coloro che sanno ascoltarlo la sua presenza è “assordante”. Gli abbiamo chiesto alcuni spunti di riflessione per decifrare il rapporto tra spiritualità e pandemia, per interpretare i cambiamenti in atto in questo tempo sospeso, per provare a viverlo pienamente anche dal punto di vista della fede. Ci ha ricordato che ai tempi del coronavirus “la missione fondamentale del cristiano è la speranza”, che non è semplice ottimismo ma richiede “un vero impegno”.

Qualcuno parlando della pandemia ha detto che anche Dio è “in quarantena”. Che cosa ne pensa?
“Dio non è rinchiuso, anzi è molto esposto. Egli è la presenza pura. Basterebbe dire che Egli è. Ciò che accade in questo momento è che la sua presenza è in apparenza molto discreta, sebbene per coloro che sanno ascoltarlo sia assordante. Questa pandemia ci pone – almeno in teoria – in una situazione privilegiata per ascoltarlo. Per vivere in coscienza. Forse ci mancava una quarantena spirituale per ascoltare la Sua voce, nascosta normalmente da troppi rumori”.

Le celebrazioni si sono “smaterializzate”, ci è rimasta “solo” la preghiera: quale spiritualità è possibile e come incide su di essa la situazione di emergenza attuale a suo parere?
“Anch’io sto celebrando le messe online, e adesso sto vivendo una settimana santa virtuale con tutti gli amici del deserto, la rete di meditazione della quale sono fondatore. È evidente che l’essere umano ha bisogno di concretezza, della carne, della presenza. Il cristianesimo è questo: non un semplice fenomeno di coscienza, ma un evento nella storia. Però questa necessità di celebrare oggi mediante applicazioni telefoniche è senza dubbio una grande opportunità: ci tolgono la maggior parte delle forme e ci costringono a guardare l’essenza, fino in fondo alla questione. Molti parrocchiani non potranno ricevere il corpo e il sangue di Cristo, però potranno vivere quello che ciò che questo corpo e questo sangue sacramentalizzano, che è la Comunione. Così celebreremo senza pane, però non senza comunione, che è l’essenziale. Per quanto sia importante l’eucarestía, ciò veramente definitivo è il mistero di unità che rappresenta e attualizza, e ciò continuiamo a possederlo”.

Siamo stati in qualche modo obbligati a una strana forma di silenzio e di isolamento simile alla clausura. Come possiamo trasformare la costrizione in opportunità dal punto di vista spirituale?
“Come fare dell’isolamento un ritiro spirituale, questa è la domanda. Come non restare  semplicemente a casa, ma entrare nella propria casa interiore. Per me c’è solo un modo: conducendo una vita armonica, cioè, dove ci sia spazio, nel corso di ogni giornata, per molte attività. Prima di tutto la preghiera e la meditazione, certamente, ma anche l’esercizio físico e la lettura, la cucina e la pulizia della casa, la cura delle piante e le chiamate telefoniche, la scrittura, l’ascolto, il gioco, il riposo… Tutto questo può trasformarsi in un’occasione di spiritualità e di gloria se si vive profondamente, con coscienza. Il mio unico consiglio in questo senso sarebbe seguire un orario, un po’ come vivono i monaci e le monache, di fatto l’umanità ora si trova in un monacato universale anche se forzato”.

Come vivrà e come vivremo la Pasqua quest’anno? Che cosa ci potremo augurare?
“No ho dubbi che questa sará la Pasqua che vivremo con più sentimento di quante ne abbiamo finora celebrate. Poiché siamo tutti coinvolti concretamente nel passaggio dalla morte alla vita, dall’insabbiamento e dall’isolamento alla libertà, dalla paura alla fiducia, ed è a tutto ciò che puntano le celebrazioni della settimana santa”.

Quale significato assume in un contesto come questo la speranza cristiana?
“La speranza non deve mai confondersi con il semplice ottimismo o con uno stato d’animo piú o meno positivo nei confronti della vita. La speranza è una virtù, cioè il frutto di un dono che si è coltivato. In questo contesto dell’emergenza per il coronavirus, la speranza è sicuramente la missione fondamentale del cristiano. Dal nostro atteggiamento speranzoso dipenderà molto di più di quanto immaginiamo l’animo dei nostri familiari e delle persone con cui entriamo in contatto. La vera speranza ci spinge a lavorare. Il nostro impegno più autentico incomincia proprio dalla contemplazione e dal riposo. Siamo – almeno in teoría, ripeto – nelle migliori condizioni per fare un passo da giganti come credenti e come persone”.