La rubrica “Verso l’alt(r)o” offre ogni settimana, ogni venerdì, alcuni spunti di meditazione, preparati per noi da un gruppo di giovani collaboratori dell’Ufficio diocesano Tempi dello spirito. Buona lettura.
Non è un tempo facile quello che stiamo vivendo. E davanti a tanta sofferenza viene spontaneo alzare lo sguardo al crocifisso e fargli delle domande. Lui è lì. Sembra tacere, ma spesso avvertiamo che nel silenzio ascolta, parla, consola. Apre alla Pasqua. Testimonianze di un intenso dialogo col Signore crocifisso sono le lettere di santa Caterina da Siena. Quella che in parte riporto qui sotto è indirizzata a un terziario di nome Sano di Maco. A una prima parte più contemplativa sulla Passione e morte redentrice di Gesù segue l’invito finale ad amare i fratelli e a sopportare, sull’esempio del Salvatore, le tribolazioni del tempo. Si tratta di una possibilità concreta per ogni discepolo, non di un ideale per pochi perfetti. Caterina stessa, infatti sembra vivere proprio una situazione di sofferenza mentre sta scrivendo. Fra parentesi tonde alcuni accorgimenti per rendere più scorrevole la lettura del testo.
Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce. Dilettissimo e carissimo fratello e figliuolo in Cristo e dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’servi di Gesù Cristo, scrivo a voi, e confortovi nel prezioso sangue suo, il quale (sangue che) sparse in sul legno della santissima croce, costretto solo dal legame della sua ardentissima carità, la quale aveva alla creatura. […] O ineffabile e inestimabile carità di Dio, che, per salvare il suo ribello e a lui disobbediente, diede sé medesimo ad essere creatura, ad essere spregiato, infamato, vituperato, schernito, a all’ultimo vituperosamente morto come malfattore! Conciossiacosaché (sebbene) egli non avesse fatto né detto cosa veruna degna di riprensione; ma noi eravamo di quelli che avevano commesso la colpa per la quale egli portò la pena, per nostro amore. Bene me amasti, dolcissimo amore Gesù; ed in questo mi insegni quanto debbo amare me medesima e gli fratelli miei, e’ quali (i quali) tu tanto amasti, non avendo bisogno di noi, come noi di te (mentre noi avevamo bisogno di te). E però (perciò), dilettissimo e carissimo fratello e figliuolo in Cristo Gesù, sempre si conviene che l’anime nostre siano mangiatrici e gustatrici dell’anime de’nostri fratelli. E di nullo altro cibo non ci doviamo (dobbiamo) mai dilettare; sempre aiutandoli con ogni sollecitudine, dilettandoci di ricevere pene e tribolazioni per amore di loro; perciocché (dal momento che) questo fu il cibo del nostro dolce Salvatore. Ben ve ne dico, che il nostro Salvatore me ne dà da mangiare. Altro non vi dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.