Covid-19, padre Giorgio Licini, da Alzano all’Oceania: colpiti duramente i Paesi più avanzati

Da casa sua lo separano dodicimila chilometri di distanza e nove fusi orari di differenza. Padre Giorgio Licini è un missionario del P.I.M.E., da anni impegnato nell’evangelizzazione in terre remote. Classe ’59 di Alzano Lombardo, uno dei comuni della Bergamasca più colpiti dal Covid-19, ha operato nelle Filippine (1991-2003) e in Papua Nuova Guinea (2003-2015). Tornato in Italia per ricoprire i ruoli di direttore del Centro missionario P.I.M.E. di Milano e della rivista Mondo&Missione, dal 2018 è di nuovo in Oceania, come segretario generale della Conferenza episcopale della Papua Nuova Guinea e delle Isole Salomone. Pur dall’altra parte del mondo, padre Giorgio partecipa con apprensione e vicinanza al dolore portato dal Covid-19 alla sua comunità natale, unito ad essa nella preghiera.
«Il coronavirus ha attaccato il mio paese d’origine – racconta il missionario -. Rimango incredulo e impiego giorni a capire. Sono in Oceania, a dodicimila chilometri di distanza da casa. Senza contatti diretti sul posto, eccezion fatta per poche fugaci telefonate. Il primo motivo di paura naturalmente è per parenti, amici e compaesani colpiti o esposti. Quanti ammalati? Quanti morti? Chi è in pericolo? Come se la caveranno gli anziani? Le notizie sono arrivate sin da subito poco incoraggianti: i familiari per ora stanno tutti bene, ma diversi conoscenti sono malati o, addirittura, già deceduti».
E così, in meno di qualche settimana, Alzano Lombardo ha cambiato completamente volto. Da garanzia sulla vita, a principale focolaio del Covid-19 nella Bergamasca. Perché proprio nei corridoi di quell’ospedale dove, negli anni, è nata gran parte della popolazione della Val Seriana il virus ha colpito forte. «Viene spontaneo porsi qualche domanda – riflette padre Giorgio -. Perché vessare una terra di gente semplice, laboriosa, generosa? Perché colpire la Lombardia della solidarietà e dei volontari di ogni genere, un po’ chiusa e tradizionale, ma pur sempre pacifica e accogliente?»
Sicuramente in Bergamasca e in tutta la Lombardia il via vai di scambi con tutto il mondo, Cina compresa, è sostenuto. E così il virus ha avuto modo di accasarsi tra le valli e la pianura. Silenzioso e incontrastato. Protetto dall’equivoco della comune influenza di stagione. «La mia impressione – ragiona il missionario – è che ci sia stata un’imprudenza non tanto di carattere politico e amministrativo, ma sociologico e scientifico. Si è ritenuto di credere, non saprei quando esattamente, che le epidemie influenzali non esistessero più, almeno in Occidente. Ricordiamo da piccoli qualche cenno dei nostri nonni alla febbre spagnola. Ma poi più nulla. Nessun contagio su larga scala: solo casi isolati e circoscritti di colera e salmonella in aree depresse».
Almeno fino a gennaio. Fin quando dalla Cina non è arrivato un ammonimento. Perché può succedere ovunque che un virus evolva in una forma più adatta al suo scopo letale. «Esiste una globalizzazione della malattia oltre che dell’economia, dei modelli culturali e dei consumi – argomenta padre Giorgio -. Da un mercato locale di animali vivi in Cina ad una pandemia fuori controllo nella maggior parte del pianeta. Tutti colti di sorpresa. Non solo Codogno, Alzano Lombardo e la Lombardia. Tutti hanno creduto che, con pochi sforzi, il problema rimanesse confinato alla Cina come l’epidemia simile del 2003. La lezione attuale invece resterà indimenticabile, anche perché verificatasi allo stadio più avanzato di evoluzione della scienza medica e degli sforzi di prevenzione di ogni tipo».
Solo nella provincia di Bergamo, a marzo, si sono registrati circa 2000 decessi certificati, attribuibili al Covid-19. Ma i morti – secondo le indagini che stanno conducendo i sindaci della zona e secondo quella avviata dal quotidiano locale L’Eco di Bergamo con inTwig -ammonterebbero a oltre il doppio. Molti anziani, infatti, sono morti nelle loro abitazioni e, nonostante i sintomi, non sono stati sottoposti al tampone. Per questo, degli oltre 5400 defunti totali del mese di marzo in provincia di Bergamo, circa 4500 andrebbero ricondotti al virus (questi dati arrivano alla fine di marzo, quindi sono oggi già superati). Con punte nei comuni di Bergamo, Nembro, Albino, Alzano Lombardo e Seriate. In Papua Nuova Guinea, invece, la situazione non è così tragica: ufficialmente, è stato registrato solo il caso di una persona positiva. Un dipendente di una miniera. Intanto, il governo del Paese ha dichiarato lo stato di emergenza per due settimane. «Impressiona il fatto che, almeno per ora, il virus sia esploso nei Paesi più ricchi ed evoluti, mentre il contagio sia ancora minimo qui da noi ed in genere nei Paesi del sud del mondo, dove per altro le infrastrutture sanitarie per farvi fronte sarebbero praticamente nulle. Toccherà alla scienza indagarne e spiegarne i motivi nel caso il trend venisse confermato. Ma, nel frattempo, qualche riflessione può essere avanzata».
In primo luogo, sul rapporto tra uomo e Creato. «La natura in genere ci aiuta, ci dà da vivere. Ora però ci sta colpendo duramente. Non chiediamoci il perché. Non raramente noi facciamo lo stesso. E di peggio. Avevamo forse raggiunto un livello eccessivo di occupazione dello spazio altrui? Probabile. Troppe polveri in cielo per gli uccelli. Troppa plastica in mare per i pesci. Troppi veicoli ovunque a disturbare e togliere spazio vitale ad altre creature. Il virus microscopico ora annienta noi e permette di respirare ad altri viventi».
La seconda riflessione, invece, riguarda l’uomo. E il suo benessere. «Se decideremo di andare nella direzione di un mondo più sobrio, e meno proteso verso il profitto, bisognerà comunque capire come assicurare a tutti lavoro e dignitose condizioni di vita – valuta padre Giorgio -. Combattiamo una “guerra”, si dice, contro il virus. Ma con una bella differenza. Non è gli uni contro gli altri, come siamo abituati, ma contro un nemico che attacca tutti ed è in grado di sterminare avversari di fronti opposti».
Un’emergenza sanitaria che non manca, comunque, di offrire spunti di riflessione. E, forse, potrebbe anche seminare qualcosa di positivo nell’animo dell’uomo. In ottica cristiana, ad esempio. «La pandemia, per chi è credente e praticante, è arrivata in Quaresima: il periodo che accompagna alla Pasqua – medita, infine, il religioso -. Quest’anno i quaranta giorni di penitenza e conversione si sono associati facilmente alla quarantena. Entrambi i tempi portano laici e credenti oltre l’immediato, per scrutare la grandezza e insieme la fragilità del corpo che abitiamo, dello spazio che occupiamo, dei riferimenti ultimi che scegliamo per il nostro essere e il nostro divenire».