“Azzurra è nata in un momento buio: una grande gioia, ma non possiamo condividerla”

«La cosa più dura è il non poter condividere questa gioia. E anche se sappiamo benissimo che è una questione di sicurezza, questo pesa moltissimo». Roberta Bossetti, 32enne di Parre (BG) è diventata mamma lo scorso 4 aprile: Azzurra è nata in uno dei momenti più bui della storia recente bergamasca, in pieno lockdown per l’emergenza coronavirus, e il mondo su cui ha aperto gli occhietti è molto diverso da quello che la mamma e il papà avrebbero sognato per lei. «Abbiamo scelto per lei questo nome – spiega Roberta – per augurarle un futuro sereno come il cielo azzurro, limpido e fortunato a dispetto del momento in cui è nata, che non è proprio facilissimo».

Roberta è una neo-mamma. Azzurra è la sua prima figlia («e mi sa anche l’ultima», scherza) e la gravidanza non è stata facilissima: «Sono stata costretta al riposo per nove mesi, praticamente. La mia quarantena è iniziata in tempi non sospetti – ride -. Comunque, è stato difficile. Non solo per la gravidanza a rischio, che già ti dà doppi pensieri, ma anche per tutta la tensione connessa al virus: tutte noi donne a termine in questo periodo avevamo il timore che potesse succedere qualcosa, che i nostri bimbi o noi potessimo ammalarci in ospedale, e questo è stato molto stressante». Roberta ha scelto di partorire all’ospedale di Seriate, dal momento che il reparto maternità di Piario era stato chiuso già mesi prima e che l’ospedale di Alzano Lombardo era stato convertito a struttura Covid: «Potevo scegliere se partorire a Esine, al Papa Giovanni XXIII di Bergamo oppure a Seriate: io ho optato per quest’ultima opzione perché era la più vicina e vi operava la mia ginecologa. Ovviamente, il pensiero del virus c’era, chi può negarlo». Tuttavia, specifica Roberta, a differenza di altre aree i reparti di ginecologia sono sicuri e blindati, nessuno può entrare e le visite sono state ovviamente sospese per ridurre al minimo le possibilità di contagio con l’esterno: «Mio marito è potuto entrare per giusto venti minuti solo dopo la nascita di Azzurra. Poi non è più potuto tornare fino al momento della dimissione dall’ospedale, quando è venuto a prenderci per portarci a casa». I primi giorni di degenza in ospedale, quindi, sono stati per Roberta – e per le altre mamme – giorni di solitudine: «Ovviamente è una situazione emergenziale e questi provvedimenti sono a tutela della persona, ci mancherebbe. Però è triste, no? Forse sono cose che un po’ tutte ci aspettiamo, in quei momenti: le visite di amici e parenti, il poter guardare la bimba nella vetrata del nido, il condividere questo momento… Invece non sono state possibili». La stessa quotidianità ospedaliera è stata particolare, sempre per motivi di sicurezza: una mamma sola per stanza, la bimba in camera con la madre, la mascherina addosso anche in stanza… «Avevo la mascherina anche quando mi hanno fatto il cesareo: il primo bacio a mia figlia, quando è nata, gliel’ho potuto dare con la mascherina – Roberta sospira -. Mi sono sentita molto sicura: il reparto è blindato, la pulizia continua, le mascherine sempre nuove. Ma sono tutte piccole cose che fanno capire come la situazione non sia affatto normale. È stato pesante».

 Così come, dice Roberta, è stato pesante anche il “dopo”,  una volta rientrate a casa e costrette a trovare il proprio equilibrio in un contesto così nuovo e disagevole. «Noi avevamo comprato già a novembre la culla, il passeggino, il grosso dei vestiti… E per fortuna, perché quando ho partorito, il 4 aprile, tutti i negozi per neonati erano chiusi e nemmeno Amazon consegnava nulla. Procurarci ciò che mancava e che non sapevamo sarebbe servito è stato impegnativo». Un grande aiuto, invece, è venuto dal servizio ostetriche, che è rimasto attivo presso l’Ospedale di Piario anche dopo la chiusura del reparto maternità e che ha messo a disposizione visite domiciliari (in tutta sicurezza) e webinar online con le neo-mamme; anche le questioni connesse all’assegnazione del pediatra con l’Asl sono state sistemate via mail.

La cosa più pesante, per Roberta, resta comunque il fatto di non poter vedere nessuno. «I nostri genitori sono a rischio per patologie pregresse, i nonni sono anziani. Azzurra non ha ancora visto nessuno della sua famiglia, a parte noi. Non ha quasi neanche visto la luce del sole, perché non usciamo praticamente mai. Inoltre – aggiunge – per quanto le puericultrici in ospedale siano state davvero gentili e preparate e mi abbiano insegnato tutto, è comunque la mia prima gravidanza: io e Mario ci sosteniamo a vicenda, ma mi piacerebbe aver vicino i miei genitori».

Roberta si rende conto che tante cose si sono ridimensionate con la nascita di Azzurra: «Sono preoccupata per mia figlia – spiega -. Prima di diventare madre, ero molto fatalista: in caso di pandemia avrei preso le dovute precauzioni ma non mi sarei agitata. Adesso, invece, la prospettiva è cambiata: sono meno “libera” nel mio sentire perché ho la responsabilità di mia figlia, della sua salute e della sua vita. Questo cambia tutto».