Covid-19, Raffaella Brighenti, bergamasca a Dakar: “Anche in Senegal il coronavirus fa paura”

Come si vive l’emergenza Covid-19 all’estero? Quali gli stati d’animo, e quali le sensazioni per i famigliari e gli amici in Italia? Lo abbiamo chiesto ad alcuni Bergamaschi, tra Senegal, Monaco di Baviera e Tunisia. Ecco il primo dei loro racconti, tutti accomunati da un aspetto: sperare di poter riabbracciare presto i propri cari (continua).

Raffaella Brighenti, 44 anni, di Zanica, vive a Dakar con marito e due figli da quasi otto anni, dove è direttrice di una scuola internazionale bilingue, nido e materna. “Sono molto preoccupata per la situazione in Italia e specialmente per Bergamo. Fin dalla comparsa dei primi casi a Codogno ero in ansia: i miei genitori sono spesso qui, ma attualmente sono in Italia, così come tutta la mia famiglia, compreso mio nonno, 93enne. Al momento fortunatamente stanno tutti bene. Li sento più volte al giorno e non faccio altro che raccomandar loro di stare in casa. Ho contatti anche con amici ed ex colleghi, ho, purtroppo, perso una carissima collega e un’altra ha perso il papà. Ecco perché ho reagito male alla notizia della diffusione così aggressiva e spietata di questo virus nella mia città: ero così in ansia che, anche se qui non erano ancora presenti casi, mi sono procurata mascherine e gel per le mani e uscivo pochissimo, come se stessi vivendo anche da qui l’emergenza. Le mie amiche, così come mio marito, mi prendevano per pazza: rifiutavo inviti e chiedevo continuamente a chiunque di lavarsi frequentemente le mani”.

Il primo caso di coronavirus dichiarato il 2 marzo

“In Senegal il primo caso di Covid-19 è stato dichiarato il 2 marzo, un cittadino francese residente a Dakar di ritorno dalle vacanze, attualmente (dati al 27 aprile, ndr) siamo a 614 casi in totale, 284 guariti, 9 deceduti. La si potrebbe anche leggere come una situazione incoraggiante, visto l’alto tasso di guarigione, ma siamo comunque in stato d’allerta e in regime di quarantena. L’isolamento non è obbligatorio, ma fortemente consigliato. I casi aumentano in media di 8/10 nuovi al giorno, ed è comunque un aumento importante viste le capacità degli ospedali pubblici del Paese. I medici sono ottimi e preparati per le epidemie gravi: ebola, febbre gialla, colera, ma questo virus ha lasciato un po’ tutti spiazzati. All’inizio di marzo a Dakar erano disponibili solo 12 posti letto in terapia intensiva, attualmente in tutto il Senegal sono 359 ma sono solo 28 i respiratori: semmai qui si dovesse verificare una situazione simile a quella in Italia sarebbe estremamente complicata, direi impossibile, da gestire”.

Chiuse le scuole e le frontiere, coprifuoco dalle 20 alle 6

Anche in Senegal è scattato il lockdown: “Dal 16 Marzo sono state chiuse le scuole e le frontiere aeree e via via sono state prese altre precauzioni: sono state chiuse le vie terrestri e navali, bar, ristoranti e altri luoghi pubblici, è stato indetto un coprifuoco dalle 20 fino alle 6 del mattino, sono stati vietati gli spostamenti interregionali e i trasporti pubblici possono portare solo un numero limitato di passeggeri. Altre disposizioni simili sono in atto, sempre con lo scopo di limitare il più possibile la diffusione del virus: inutile dire che qui, come ovunque, non tutti rispettano limiti e divieti. Come in molti altri Paesi in via di sviluppo, è impossibile bloccare tutto e chiedere che nessuno esca di casa se non per necessità urgenti: molte famiglie, anche numerose, vivono in piccole stanze dove si ritrovano spesso solo la sera o per passare la notte, sarebbe impensabile chiedere loro di restare tutta una giornata in uno spazio così ridotto, ma, soprattutto, qui molta gente ancora vive alla giornata, del piccolo guadagno quotidiano: non uscire per lavorare significherebbe non avere nulla con cui nutrire la famiglia. Lo stato si è attivato con aiuti, ma sono davvero troppe le famiglie che contano sugli spicci portati a casa”.

“Non sappiamo quando potremo ritornare alla normalità”

Le emozioni che Raffaella prova sono contrastanti: “A volte sono abbastanza serena e tranquilla nella nostra quotidianità, ma se mi fermo a riflettere su cosa sta accadendo in tutto il mondo mi prende un po’ il panico: non sapere quando tutto questo finirà, quando potremo ritornare ad un minimo di normalità, se le scuole riapriranno, ma sopratutto quando potrò rivedere e riabbracciare i miei cari:  tutte queste incertezze mi spaventano. E’ vero che non possiamo sapere cosa la vita ci riservi, neanche in tempi normali, ma ora più che mai è complicato anche solo prevedere cosa ci attenda: siamo in balia di questo virus che è riuscito a bloccare tutto e tutti e ad azzerare le nostre piccole sicurezze. La ripercussione più grande, a parte la paura per la nostra salute, è soprattutto il fatto di essere bloccati in Senegal, vista la chiusura delle frontiere, senza sapere quando e se potremo mai ricominciare a viaggiare. Penso sopratutto a quando potremmo raggiungere la nostra famiglia, ma anche a mia figlia e al suo importante viaggio studio: ha partecipato ad una selezione promossa dalla Yale University, una selezione durissima per la quale ha passato anche diverse notti insonni. Proprio pochi giorni fa ha ricevuto risposta positiva, è stata ritenuta idonea, ma non potrà partire: la formazione sarà online e, anche se resta una possibilità importante e prestigiosa, non sarà come partire e trovarsi a contatto con studenti di altre nazionalità. Sono certa che, appena la situazione lo permetterà, ci organizzeremo per rientrare a Bergamo e riabbracciare una ad una tutte le persone che non vediamo da tempo e  tirare il fiato sapendo che forse l’incubo è lontano. In generale ho voglia sicuramente di normalità, di ricominciare ad andare a lavorare, di rivedere le mie amiche italiane qui e e di ritornare con loro a chiacchierare sulla spiaggia la domenica sera per ricaricarci in vista della nuova settimana lavorativa”.