Fatima Midali di Piazza Brembana racconta la laurea ai tempi del Covid-19: “Ho imparato a non dare nulla per scontato”

«Ho avuto paura: temevo che la connessione saltasse. Ma, alla fine, è andato tutto per il meglio e la gioia ha prevalso». Fatima Midali, 24 anni, fresca di una laurea in Ingegneria civile (indirizzo Strutture), mentre racconta, alterna parole a grandi sorrisi, spontanei e felici, carichi di un entusiasmo travolgente e contagioso. Ed è proprio tutto questo entusiasmo ad averle dato la forza di affrontare una laurea magistrale non ordinaria, una laurea “ai tempi del Coronavirus”, se così si può dire, parafrasando il titolo di un celebre romanzo di Gabriel García Márquez. «Avevo riposto un sacco di aspettative in questa laurea – afferma la giovane, che abita a Piazza Brembana con i genitori e la sorella minore –. Immaginavo il giorno della discussione come il coronamento di un percorso accademico, impegnativo e complicato, durato cinque anni: un trampolino di lancio grazie al quale ogni cosa sarebbe cambiata e attraverso il quale una nuova vita sarebbe potuta iniziare. Un punto di svolta, insomma». Quando però l’Università decreta, in rispetto alle disposizioni governative, che le tesi della sessione di aprile sarebbero state disquisite a distanza (da casa e online), la delusione, in Fatima, emerge.

 “All’inizio mi sembrava tutto assurdo e surreale”

«Io e i miei compagni avevamo incominciato a temere per la nostra laurea verso marzo, quando, a causa del diffondersi dei primi contagi, il semestre, che doveva iniziare il primo lunedì del mese, era stato annullato – racconta la ragazza –. Speravo, comunque, che, entro il 29 aprile, giorno della discussione, la situazione si sarebbe sistemata: pure il mio relatore era abbastanza tranquillo. Più passavano le settimane, però, più la situazione andava degenerando: alla fine, il Politecnico, il 14 marzo, ci ha riferito che il giorno tanto atteso si sarebbe risolto in modo virtuale. Non ci volevo credere, mi sembrava tutto così assurdo e surreale: dopo tanti sacrifici intrapresi e il tempo impiegato a studiare, non avrei potuto avere la soddisfazione di incrociare, dal vivo, lo sguardo dei docenti della commissione d’esame e, soprattutto, di festeggiare, in compagnia di parenti, compagni e amici, il traguardo tanto agognato. Già da tempo, immaginavo la foto che avrei postato su Instagram: il mio viso, circondato dall’alloro e, sullo sfondo, la facciata restaurata del Politecnico, pulita e bianchissima. Temevo che non avrei potuto rendere il giusto onore a quel sogno che, a fine liceo scientifico, mi aveva spinto ad iscrivermi al Politecnico di Milano». Un sogno che, in realtà, incomincia molto prima del diploma.

Ingegnere civile, una passione di famiglia

«L’idea di diventare ingegnere parte da lontano o, forse, meglio dire da vicino: in famiglia. Mia mamma è infatti ingegnere civile e mio papà è geometra – spiega Fatima –. Già da piccola, seguivo i miei genitori sui cantieri, avendo così modo di conoscere attrezzi e strumenti del mestiere, che generavano in me una profonda curiosità. Così, arrivato il momento di scegliere, ho deciso di partecipare all’open day del Politecnico: nonostante, in un tema di prima liceo, avessi scritto che, da grande, avrei voluto fare l’ingegnere informatico, l’idea era quella di iscrivermi o a ingegneria civile o a ingegneria matematica». Un’aspirazione che, in realtà, già in partenza, è messa a dura prova. «Il giorno dell’open day, io e altri partecipanti fummo molto intimoriti e scoraggiati da un docente, Alberto Taliercio  – ricorda Fatima –. Snocciolando dati e statistiche, il professore ci illustrava come Ingegneria civile fosse una facoltà estremamente difficile e come parte degli studenti iscritti, col passare dei mesi, abbandonasse, definitivamente, gli studi, mentre un altro gruppo optasse per una facoltà diversa. Ci disse anche che, per ogni credito dei singoli corsi, erano necessarie, circa, 150 ore di studio: cose da pazzi! Comunque, alla fine, nonostante un po’ di ansia, optai lo stesso per Ingegneria civile. A luglio 2014, sostenni il test, superandolo: con grande felicità potei immatricolarmi e andare a vivere a Milano con altre due amiche. Fra l’altro, fu una bella sorpresa quando, durante il secondo anno, io e i miei compagni di corso scoprimmo come Taliercio, non solo non “mordesse”, ma fosse incredibilmente competente e disponibile: ci ricredemmo in pieno. È proprio lui che ho scelto come relatore per la mia tesi di laurea».

“Una ricerca appassionante ma faticosa”

«Previsione della risposta meccanica di murature a tessitura gotica», questo il titolo della tesi, che ha impegnato Fatima fin da aprile 2019. «È un’indagine, a livello teorico, su una trama muraria molto utilizzata – spiega la neolaureata –. La tesi, alla quale ho lavorato un anno e mezzo, analizza il materiale in questione in termini di resistenza e confronta, fra loro, i dati di altri studi: è stata una ricerca appassionante, ma faticosa. Anche per questo, avrei voluto che il giorno della mia laurea fosse un giorno di laurea normale». Ma Fatima, con la solarità che la caratterizza, fa buon viso a cattivo gioco. «Mi sono detta che sarebbe stato comunque un giorno speciale e importante – racconta la giovane  –. Mi sono truccata e ho indossato i miei pantaloni preferiti, di un rosso vivace, anche se, lo ammetto, ai piedi avevo un paio di comode Crocs rosa. L’università si era preoccupata di inviarmi un link che, tramite la piattaforma Teams, mi avrebbe permesso di collegarmi con la sala in cui era presente la commissione. A dire il vero, solo due professori erano fisicamente presenti nell’aula, mentre gli altri (poco meno di una decina) erano in connessione dalle loro abitazioni. Ero molto in ansia: avevo paura che mi si spegnesse il computer, che non funzionasse il microfono o che potesse capitare non so quale guasto tecnico».

“Avevo paura di non rispettare i tempi”

Dieci le discussioni che, in quella mattina del 29 aprile, si dovevano svolgere. «Le interrogazioni avrebbero dovuto essere molto stringenti, ma, in realtà, a neanche metà mattinata, il ritardo accumulato era già di quaranta minuti – racconta la ventiquattrenne –. Ero la penultima del gruppo ed ero in preda alla tensione: continuavo a prendere grossi respiri e a dirmi che dovevo mantenere la calma e avere pazienza. Gli amici, a cui avevo inoltrato il link passatomi dal Politecnico (in modo che potessero, anche loro, assistere alla mia discussione), continuavano a scrivermi, chiedendomi quando sarebbe stato il mio turno. Quando poi è toccato a me, l’unica cosa a cui mi sono messa a pensare era di non commettere uno sforamento con i tempi di esposizione, perché sapevo che i docenti l’avrebbero giudicato negativamente. Avevo un quarto d’ora per esporre la mia tesi; nei cinque minuti successivi, la commissione mi avrebbe posto qualche domanda. I quesiti del controrelatore furono solo due, ma a me sembrava che il tempo si fosse fermato!». Finito di interrogare tutti gli studenti, i docenti si ritirano per decidere i voti. «La proclamazione finale, anticipata dal discorso del presidente di commissione, è stata effettuata come se fossimo davvero tutti presenti, in carne ed ossa: ci siamo alzati pure in piedi. È stato un po’ buffo, ma, tutto sommato, doveroso. Quando ho sentito “110 dieci e lode” mi sono commossa: è stata una gioia infinita! Mio padre, dopo qualche secondo, è apparso in sala, stappando una bottiglia di spumante, mentre mia sorella aveva già preso in mano il cellulare per scattare qualche foto. Il giorno prima, i miei genitori, oltre a comprare una torta, avevano ordinato una corona di alloro dal fioraio del paese: insomma, ognuno di loro ha cercato di rendere il più normale possibile un giorno che normale non lo era per niente; per non parlare dei miei amici che, con videochiamate e messaggi vocali, hanno saputo starmi ugualmente vicino».

“Ci sono cose più importanti di una festa”

Una laurea senza troppi rammarichi o malinconia: «È vero, sono stati cinque anni di studio assiduo e intenso – riflette Fatima –, in cui, spesso, ho dovuto dire di no agli amici (non sempre, ahimè, compresa); anni che avrebbero meritato un festeggiamento ordinario, dal vivo, spensierato, con le persone a me più care. Ma è anche vero che una festa ha senso solo se il traguardo viene raggiunto e io l’ho raggiunto in pieno! Per i festeggiamenti ci sarà tempo». Una riflessione, quella di Fatima, che si fa anche più profonda: «Penso a una mia compagna di corso, proveniente dal Sud d’Italia, che, durante la sua laurea, a differenza di me, era completamente sola e penso, soprattutto, a chi, causa virus, ha avuto un lutto in famiglia. Ci sono cose più importanti di una festa di laurea e, anche da questo episodio che mi è capitato, sono riuscita a trarre una lezione: nella vita, non c’è nulla di scontato». Ma ora è arrivato il tempo di nuovi progetti: «Mi piacerebbe lavorare in cantiere, ma sto prendendo in considerazione anche il calcolo puro, la progettazione. Chissà. Prima di tutto, però, vorrei fare un’esperienza all’estero, in Svezia magari». L’entusiasmo non manca.