Post-coronavirus, il lento ritorno alla normalità: #poivorrei un mondo da reinventare

“La normalità – scrive Alda Merini – è un’invenzione di chi è privo di fantasia”. Queste parole, lette ai tempi della pandemia, hanno un suono vagamente consolatorio. Stiamo navigando a vista da tre mesi, senza una rotta, non sappiamo più cosa sia la normalità. L’abbiamo vista andare in pezzi man mano che il lockdown si estendeva. Ma se è vero che, come dice la poetessa milanese, essa è solo un’invenzione, allora adesso, passata la tempesta, possiamo reinventarla. E’ come se avessimo davanti un foglio bianco e un mondo da riscrivere, forse aggiungendo, stavolta, un tocco di creatività. Non possiamo dimenticare che l’inchiostro è fatto del nostro sangue e di quello delle persone che il coronavirus si è portato via, e ci hanno lasciato un vuoto da colmare e un’eredità da raccogliere. Ce lo ricordano le file di tombe scavate di fresco nel cimitero di Bergamo, appena riaperto, e le foto commoventi del memoriale proiettate in loop in viale Papa Giovanni per iniziativa de “L’Eco di Bergamo”.

La normalità nel vecchio mondo e in quello nuovo 

Ci fa sorridere il pensiero che “normalità” nel vecchio mondo potesse significare (con una connotazione negativa) noia, grigiore, giornate tutte uguali. Da quando è iniziata l’emergenza per il coronavirus sogniamo la rassicurazione di quel genere di normalità, la desideriamo come un’ancora a cui aggrapparci. Dobbiamo fare sforzi di fantasia per ritrovarla, imparare a riscrivere la nostra vita e ridefinire l’orizzonte dei desideri.

I piccoli gesti sono diventati i più preziosi

Ognuno di noi ha segnato la data del 18 maggio – simbolicamente la riapertura, quando abbiamo potuto archiviare i vincoli di mobilità e i moduli di autocertificazione – e tutti i piccoli gesti che incominciamo a compiere di nuovo, e che sono improvvisamente diventati così preziosi. E’ di nuovo possibile andare a Messa: non è lo stesso che guardarla in streaming, la lunga “astinenza” ha mostrato alle comunità la forza dei legami, la necessità della vicinanza, il valore della partecipazione e della presenza della comunità. Lo raccontiamo nel nostro dossier, che dà conto anche della ricchezza delle esperienze di alcune parrocchie della diocesi di Bergamo nella quarantena.

#Poivorrei: desideri e nostalgie condivisi sui social

I piccoli gesti, i gradini fatti per ricominciare: uno alla volta, perché ci manca subito il fiato, siamo fuori allenamento. Molti li hanno fissati in immagini di un’intensità struggente durante la quarantena nelle pagine come #poivorrei. Viaggiano sui social le liste dei desideri di oggi, c’è un grande bisogno di condivisione. La pagina, nata per gioco su instagram proprio per mettere in comune uno sguardo sul futuro ora ha più di 400 mila follower e mostra in vivaci istantanee le nostalgie che un tempo avremmo considerato irrilevanti. “Poi vorrei immaginarmi la vita delle persone solo dagli sguardi che hanno sull’autobus”; “Poi vorrei il profumo della casa dei nonni la domenica”; “Poi vorrei abbracciare la mamma”; “Poi vorrei portare un fiore a mio papà”. Qualcuno dice che la quarantena ci ha reso migliori: meglio non dare niente per scontato, non è detto, purtroppo, che sia così. Può darsi però che si sia aperto uno spiraglio, che il nostro sguardo si sia affinato, che abbiamo imparato ad ascoltare di più. Forse abbiamo ritrovato la capacità di cogliere l’essenziale in noi stessi, negli altri, nella quotidianità. Queste liste piene di bellezza non scordiamole domani, quando il virus (speriamo) ci lascerà in pace.