Verso il 2 giugno, festa di tutti: l’Italia aspetta una vera ricostruzione

Quest’anno la Festa della Repubblica cade in un momento in cui il Paese sta affrontando quella che quasi unanimemente è stata definita la crisi più dura dalla fine del secondo conflitto mondiale. Non a caso in questi mesi sono stati spesso proposti paragoni con i primi anni del dopoguerra, l’unico periodo che è apparso in qualche modo confrontabile con il presente. La ricorrenza che ci riporta al 2 giugno 1946, quando si tenne il referendum con cui gli italiani scelsero la Repubblica e contestualmente elessero l’Assemblea costituente, ripropone con forza questo parallelismo. Che non va inteso in modo semplicistico: la Storia non si ripete mai identica a se stessa e sul piano dell’analisi le differenze tra le due situazioni sono macroscopiche. Non ci sono ricette da replicare, nessuna scorciatoia è percorribile. Eppure l’esperienza ci insegna che la mancanza di memoria produce esiti disastrosi e dalla storia, quindi, possiamo e dobbiamo trarre motivi di riflessione per l’oggi. Uno dei messaggi che ci arrivano da quella stagione, ricordata giustamente con orgoglio, è che per ricostruire dopo la devastazione è necessario uno spirito costituente. Non un unanimismo irrealistico e persino insidioso (l’Italia del dopoguerra era attraversata da divisioni politiche potenti), ma l’idea di un’impresa condivisa da realizzare con il contributo di tutti coloro che – per usare un’espressione cara al presidente Mattarella – si riconoscono come “una comunità di vita”. Tracce significative di questo spirito si sono intraviste nella reazione collettiva che la stragrande maggioranza degli italiani ha avuto nelle fasi più acute della pandemia. Assai poco di questo spirito, invece, si è riscontrato nel mondo della politica in generale e nei comportamenti di alcune forze in particolare. Anche quando si è avanzata l’ipotesi di un governo sostenuto da tutti i partiti – il cosiddetto “governissimo” – è risultata palese la strumentalità di una formula che, in piena emergenza sanitaria ed economica, aveva come unico obiettivo la sostituzione del governo in carica. Eppure la situazione drammatica in cui si è ritrovato il Paese sarebbe stata – e lo sarebbe ancora, a volerlo – un’occasione letteralmente eccezionale per delle leadership di partito con l’ambizione di passare alla storia come co-protagoniste di una nuova ricostruzione dell’Italia. Ma se l’orizzonte resta sempre quello del prossimo appuntamento elettorale, e in mancanza del voto nazionale ci si accapiglia su quello regionale, allora diventa impossibile ogni progetto di lungo respiro, ogni riforma tra quelle di cui il Paese avrebbe urgente bisogno.
Servirebbe uno spirito costituente anche per rimettere a punto il rapporto tra lo Stato e le Regioni, che in questi mesi ha creato enormi problemi nella gestione dell’emergenza sanitaria e rischia di indebolire anche la fase della ripartenza economica. L’Italia non è un monolite istituzionale. La Repubblica non si esaurisce nello Stato, ma è fatta anche di Regioni, Province e Comuni. Il 2 giugno è anche la loro festa. Allo stesso tempo, la Repubblica non è una confederazione di micro-stati come talvolta qualcuno è sembrato pensare, ma è “unica e indivisibile” e deve assicurare l’uguaglianza di tutti i cittadini su tutto il territorio nazionale.
Il 2 giugno, soprattutto, è la festa di tutti i cittadini, e un genuino spirito costituente dovrebbe spingere a valorizzare il ruolo delle “formazioni sociali”, a cominciare dalle famiglie, in cui i singoli svolgono la loro personalità, come recita solennemente l’articolo 2 della Costituzione. In questi mesi terribili il loro ruolo, spesso lontano dai riflettori, è stato decisivo e lo sarà anche nella fase attuale, tanto più se saranno messe in condizione di esercitarlo pienamente. La ricostruzione del dopoguerra non l’ha fatta il governo, l’hanno fatta milioni di italiani, ha ripetuto Giuseppe De Rita in alcune interviste di questi giorni. E non è soltanto una brillante provocazione intellettuale.