Per il gusto di vederli soffrire. Note a margine sulla violenza verso gli animali

Le immagini sono forti e sono sotto gli occhi di tutti. Purtroppo i casi sono in aumento in queste ultime settimane.

Le immagini sono forti

Si è iniziato con i fenicotteri presi a sassate, a seguire la distruzione delle uova di un cigno e l’uccisione di alcuni esemplari in un parco, per giungere, negli ultimi giorni, al riccio utilizzato come fosse un pallone da alcuni ragazzini, fino alle immagini crude e raccapriccianti dell’elefante dilaniato dall’esplosione dei petardi inseriti nell’ananas di cui il pachiderma si era nutrito.

Sono sincero: pur non essendo una persona che si impressiona dinanzi alle immagini di sangue e ferite, ho chiuso immediatamente la foto dell’elefantino morto (l’elefante era ai primi mesi di gestazione, che sono 21 per quella specie, prima del parto), che stava in un palmo di mano, già ben formato, che un veterinario mostrava dopo la dissezione, credo per autopsia, del corpo della madre.

Amici dell’uomo

Ora, una precisazione: non sono un animalista e mi nutro tranquillamente di carne (e, ahimè, di salumi…). Amo molto gli animali, cani e gatti in particolare, così come i canarini che mia mamma cura in casa in modo amorevole. Certo, resto perplesso di fronte a molti che trattano gli animali come fossero i figli. Gli animali sono certamente, dal mio punto di vista, i migliori amici dell’uomo (come si dice solitamente del cane), ma restano amici: se vengono considerati come figli e al pari degli esseri umani, fermo restando il loro attaccamento e il loro fortissimo legame col padrone, che ha condotto talvolta gli animali a morire per il loro umano o lasciarsi morire dopo la morte di quest’ultimo, personalmente credo sia in atto un’esagerazione. Parere mio, ovviamente.

Si vuole far male, creare sofferenze atroci, vedere il sangue, i corpi lacerarsi

Ora, la mia riflessione. Vorrei scrivere a proposito dell’uomo. Sì, dell’uomo, perché ci sono dei problemi. Sono convinto del fatto che questa escalation di violenza a danno degli animali sia un dato preoccupante, dinanzi al quale non ci è consentito voltarci e fingere di non vedere. La questione, per quanto mi sembra di capire, è questa: si prova gusto non solo nel fare un dispetto vergognoso, ma nel vedere l’agonia del malcapitato essere. Si vuole far male, creare sofferenze atroci, vedere il sangue, i corpi lacerarsi. Si vuol sentire il verso di dolore che queste creature emettono per il male che provano, mentre le si irride per il loro tentativo di fuggire dalla crudeltà umana e da un destino ormai segnato.

E questo è gravissimo: non riconoscere questo, a livello antropologico, è un atto imperdonabile. Lascio alle persone competenti, psichiatri in particolare, la lettura delle dinamiche che scattano nelle menti di chi compie questi gesti.

Quella cura che si chiama educazione

Ma, nel contempo, mi appello alla coscienza di tutti, perché questa situazione, ancora una volta, necessita di quella cura che si chiama educazione. Sono molto preoccupato dalle analisi che leggo di questi gesti, anche da parte di chi, impegnato come educatore professionale o psicologo, cerca di minimizzare di fronte a questi fatti di cronaca. “Poveretti, sono ragazzi allo sbando…”, “ragazzate  tipiche di adolescenti annoiati”..: Eh no, carissimi, così è troppo comodo (peraltro, in molti casi, forse la maggioranza, i gesti violenti contro gli animali sono stati compiuti da rampolli delle “famiglie bene” delle loro comunità)!

Ecco, cominciamo da qui, da dove chiunque abbia studiato pedagogia e discipline similari inizia: il problema va chiamato per nome. Dando nome al problema si pongono basi eccellenti per la sua soluzione, mentre definendolo altrimenti si nascondono gli aspetti problematici e le eventuali soluzioni avranno soltanto l’effetto di attutire la gravità della situazione o, peggio, di coprire le vere criticità.

L’atto violento, sia esso contro persone, animali o cose, è un problema

L’atto violento, sia esso contro persone, animali o cose, è un problema. Punto e basta. Non metto in dubbio che condizionamenti sociali, famigliari ecc. rivestano un ruolo importante nel darsi di situazioni come queste, ma non è possibile invocare questi condizionamenti per lasciare che tutto resti come è.

L’assunzione di responsabilità, che si traduce talvolta anche in una pena attribuita dall’autorità giudiziaria, è passaggio necessario, che deve accompagnarsi a un aiuto che consenta all’autore del gesto di prendere coscienza della sua situazione, elemento fondamentale in ordine a una rinnovata assunzione dell’esercizio della sua libertà.

Il danno del “poverino” e l’assurdo del “ti lascio sbagliare per il tuo bene” (tanto, poi, con i danni subiti devono fare i conti gli altri che ne sono vittime) hanno fatto danni enormi. Ci bastano per iniziare a educare seriamente o aspettiamo i prossimi aggiornamenti della cronaca, con altro sangue versato per il gusto di veder soffrire?