“Non recidere forbice quel volto”: alla GAMeC un percorso per rielaborare l’esperienza collettiva della pandemia

Rielaborare il lutto, condividere memorie, lenire il senso di colpa e ripartire dal dolore per andare avanti: il progetto “Non recidere forbice quel volto” – sviluppato dai servizi educativi della GAMeC e dai mediatori umanistici della Caritas Bergamasca con l’assessorato all’educazione alla cittadinanza, pace, legalità e trasparenza – vuole essere un’occasione per andare alle radici del dramma vissuto dalle famiglie e dagli operatori sanitari a Bergamo durante la pandemia di Covid-19, un dramma di dolore e di sgomento, nel quale moltissime persone si sono trovate impossibilitate a rielaborare il distacco dai propri cari, piene di sensi di colpa per non aver potuto dare un’ultima carezza oppure di contro a essere l’ultimo saluto per chi se ne stava andando, lontano dai parenti.


«La tragedia della pandemia è stato qualcosa di troppo, troppo forte per le nostre comunità – commenta Giovanna Brambilla, responsabile dei servizi educativi della GAMeC di Bergamo e referente del progetto -. Non si tratta solo della perdita, già di per sé straziante: è stata l’impossibilità di accompagnare la persona alla morte, di avere accanto i propri cari nel momento del trapasso. Non è una questione di culto o di fede, ma di umana e necessaria rielaborazione del lutto. In questi mesi, tante persone sono state private di questo aspetto importantissimo. È da questa consapevolezza e dalla condivisione collettiva dell’esperienza della pandemia che, con i mediatori umanistici volontari del centro di giustizia riparativa di Caritas Bergamasca Filippo Vanoncini e Giulio Russi, con cui già collaboravamo su altri progetti, ci siamo detti: “dobbiamo fare qualcosa”». È nato così il progetto “Non recidere forbice quel volto”, un percorso di laboratori di rielaborazione del dolore e condivisione della memoria rivolto a chi ha perso qualcuno nel corso dell’emergenza e al personale socio-sanitario in prima linea nei mesi scorsi: percorso che prende il nome dalla poesia di Eugenio Montale,

Non recidere, forbice, quel volto / solo nella memoria che si sfolla, / non far del grande suo viso in ascolto / la mia nebbia di sempre,

per sottolineare proprio l’importanza della memoria generativa e la necessità di un ricordo che sia accoglimento del dolore e sguardo in avanti.


«La mediazione umanistica è soprattutto un modo per affrontare il conflitto, per attraversare il dolore come una possibilità rigenerativa – spiega Filippo Vanoncini -: è basata sull’idea di “comunità che ascolta” ed è un lavoro collettivo, un’attività per mettere le umanità a confronto. Non sostituisce la psicologia, è più una facilitazione per comunità che vogliono incontrarsi. Ascolto empatico, nessuna volontà di giudizio o di sentenza e riconoscimento dell’altro come persona sono i pilastri fondamentali di questa pratica, usata inizialmente in ambito penale da Jacqueline Morineau, in Francia».

Il centro di giustizia riparativa della Caritas Bergamasca organizza ogni estate dal 2016 una Summer School in collaborazione con l’Università di Bergamo (dipartimenti di pedagogia e di diritto): il tema dell’edizione 2020 sarebbe stato incentrato sulla memoria, e proprio con GAMeC era stato immaginato un laboratorio sul concetto del “fare memoria” e sulla narrazione della propria identità, tra colpevoli e vittime, attraverso le generazioni. «L’emergenza Covid-19 ha chiaramente bloccato la Summer School – continua Vanoncini – ma ci ha anche posti tutti, come città, davanti a questa enorme sofferenza collettiva, a questo sentimento di smarrimento e di paura. Il progetto “Non recidere forbice quel volto” si inserisce in questo pensiero, vuole diventare una sorta di “rito laico”, una possibilità per superare questo dolore come collettività, come comunità».


In quest’ottica il lavoro artistico e creativo diventa una catarsi necessaria, una memoria che si fa azione. Ma perché all’interno di un museo? «Perché il museo è in prima istanza un luogo di relazioni e di memoria: ospita la memoria e la tiene viva nel tempo – spiega Giovanna Brambilla di GAMeC -. Inoltre il museo è un luogo della collettività, e il progetto “Non recidere forbice quel volto” è un percorso umano e collettivo: non solo sul singolo ma su tutto il tessuto della nostra collettività hanno profondamente inciso i mesi appena trascorsi.».


L’idea è quella di far partire otto laboratori, della durata di tre incontri da due ore ciascuno. I primi due appuntamenti saranno gestiti dai mediatori umanistici di Caritas Bergamasca, mentre l’ultimo sarà curato dall’educatrice museale e artista Camilla Marinoni, la quale aiuterà i partecipanti a dare una forma materiale al processo di rielaborazione. Il percorso è gratuito e si svolgerà presso l’ala Vitali dell’Accademia Carrara di Bergamo, dove attualmente è sita la mostra GAMeC “Il suono del becco del picchio” di Antonio Rovaldi.
Chi fosse interessato a partecipare può, senza alcun vincolo, scrivere una mail: giovanna.brambilla@gamec.it