La fede ai tempi del Coronavirus. Il diario del tempo sospeso di Enzo Romeo parte da Bergamo

Particolare della copertina di "Vuoto a credere" di Enzo Romeo, foto Vatican Media

Parte da Bergamo, da quell’immagine dei camion dell’esercito che portano i morti fuori dalla città il “diario del tempo sospeso” di Enzo Romeo. Un racconto di quei 65 giorni (dal 26 gennaio al 3 maggio), che hanno cambiato la storia dell’Italia e del mondo, quando il Covid-19 si è preso il nostro Paese disarmato. A scriverlo è Enzo Romeo, giornalista vaticanista del Tg2 e saggista, nel suo ultimo volume “Vuoto a credere. La fede, la Chiesa e il papa al tempo del Coronavirus” (Àncora Editrice 2020, Collana “Il Cupolone”, pp. 96, 13,00 euro).

“Costretti a fermarci, siamo stati indotti a liberarci del superfluo, facendo spazio – consciamente o no – al trascendente, all’invisibile essenziale, in una parola a Dio”, scrive Enzo Romeo, nato a Siderno nel 1959, perché è vero che la tragedia del Coronavirus ci ha costretti a un vuoto fisico, materiale fatto di spostamenti quotidiani, folla, traffico, incontri e rumori, ma non di contenuti.

Ci spiega il significato di “Vuoto a credere”?

«Quando è iniziato il blocco antivirus e ci siamo ritrovati ai polsi le manette virtuali dei divieti governativi forse abbiamo pensato che tutto questo era solo un tempo da buttare, una scorza di vita, un vuoto a perdere. Fin quando una sera piovosa di fine marzo è comparsa l’immagine di un uomo vestito di bianco, che attraversava una piazza deserta. Allora, abbiamo letto la pandemia sotto un’altra luce. L’insignificanza ha preso la forma di un “vuoto a credere”. Costretti a fermarci, abbiamo fatto spazio al trascendente».

Lo spavento del Coronavirus ha riacceso la scintilla della religiosità in un mondo secolarizzato e scristianizzato?

«Credo di sì. Probabilmente ci voleva lo spavento del virus per riaccendere questa scintilla. Durante le settimane dell’emergenza Covid-19, nelle chiese rimaste aperte, persone qualunque, ben distanziate fra loro, in silenzio tra i banchi, hanno cercato “compagnia” davanti al tabernacolo. Oppure sono rimaste incollate davanti al televisore a seguire messe e rosari. Credo che tutto questo sia il segno di un bisogno di spiritualità che il materialismo consumista della nostra società non è riuscito a cancellare».

Domenica 26 gennaio è stata anche la prima Giornata della Parola di Dio, istituita da Bergoglio. Nell’omelia della Messa celebrata per l’occasione nella Basilica di San Pietro ci sono passaggi che oggi appaiono quasi profetici e per la prima volta Papa Francesco parla del Coronavirus durante l’Angelus a Piazza San Pietro. Ce ne vuole parlare?

«Era una bella domenica di sole e in piazza San Pietro c’era tanta gente. Il papa pregò per le vittime del Covid-19 in Cina, ma da noi il pericolo sembrava molto lontano, un’eventualità remota. Nell’omelia della messa il papa disse che la parola di Dio non va in cerca di luoghi preservati, sterilizzati, sicuri, ma viene nelle nostre complessità e oscurità, là dove pensiamo che niente e nessuno possa raggiungerci. Insomma, un po’ come il coronavirus, solo che in questo caso si tratta di un contagio del bene… ».

Domenica 8 marzo: la pandemia costringe Papa Francesco a essere protagonista del primo Angelus in streaming della storia, “ingabbiato” nella biblioteca, “ma io vi vedo, vi sono vicino”. Francesco il papa “da toccare”, si sente prigioniero, senza potersi affacciare alla finestra del terzo piano, eppure mai come nei momenti più bui tutti lo hanno sentito vicino come un padre, anche grazie al fatto che dal 9 marzo le messe mattutine del Pontefice a Santa Marta sono state trasmesse sul web e via radio-tv. Che cosa ne pensa?

«Sì, quello che sembrava un limite si è rivelata un’occasione per farsi ascoltare da tutti, anche dai più “lontani”. Le dirette delle messe dalla cappella di Casa Santa Marta si sono rivelate un successo in termini di ascolto e un’occasione di riflessione senza precedenti. Ogni giorno Francesco ha ricordato le persone più in pericolo a causa della pandemia. Una vicinanza che ha fatto bene a tanti».

18 marzo mercoledì: Si sgombra piazza San Pietro: non devono rimanere neppure le sedie. Blindatura totale. Ma il papa vuol comunicare. È stato anche per questo che il Santo Padre ha telefonato al vescovo di Bergamo, chiedendo di essere aggiornato sulla situazione?

«Il vescovo di Bergamo è stato uno dei primi a essere contattato dal papa, che aveva voglia di conoscere personalmente la situazione delle zone più colpite dal Covid e, soprattutto, di esprimere a viva voce la sua solidarietà. Bergamo in quel momento era sotto choc e gli ospedali si trovavano allo stremo. Tutti ricordiamo la processione notturna dei camion militari carichi di salme. I bergamaschi sono abituati a tenersi tutto dentro, ma stavolta il dolore è stato troppo forte».

Venerdì 27 marzo: Il silenzio interrotto dalle sirene delle ambulanze nelle strade lucide di pioggia mentre le rondini volano nel cielo scuro. Francesco, in balia della tempesta, in una piazza San Pietro deserta, dietro di sé l’immagine della Salus Populi Romani e il Crocifisso di San Marcello. Un momento di preghiera nel tempo della pandemia da Coronavirus, con le televisioni di tutto il mondo collegate in diretta. Un evento che non ha precedenti? 

«Sì. Non si era mai visto un papa in un tale vuoto. Siamo abituati a vedere il pontefice in mezzo alle folle, in cerimonie di massa. Ma proprio questa condizione di solitudine ha permesso che la preghiera si facesse ancora più intensa e toccasse il cuore di tante persone. Quel bacio di Francesco al crocefisso “miracoloso” è stato un momento davvero emozionante. Cinque secoli prima i romani avevano implorato Gesù davanti a quella stessa croce, perché li liberasse dalla grande peste».

Domenica 12 aprile, Pasqua di Resurrezione in un’Italia nella quale le chiese sono vuote di fedeli, il rito della via Crucis si è svolto a Piazza San Pietro. All’interno della Basilica deserta durante la Messa pasquale riecheggiano le parole di Bergoglio che parla del contagio della speranza che illumina la “notte del mondo”. Ma l’appello più forte: “Questo non è tempo di egoismi” il pontefice lo rivolge all’Europa. Papa Francesco si dimostra ancora una volta leader globale in uno scenario mondiale arido di leader all’altezza del ruolo?

«Bergoglio cerca di dare profondità al suo sguardo, di affrontare le cose in prospettiva. Non si limita a schiacciare tutto nel presente, nel qui e ora, come sono costretti a fare i politici oggi, sempre a caccia di consensi e schiavi dei sondaggi. Il Papa ha detto che la pandemia rappresenta per l’Unione Europea una sfida epocale, dalla quale dipenderà non solo il suo futuro, ma quello del mondo intero. Ma Francesco ha anche proposto il condono del debito ai paesi poveri e lo stop ai combattimenti e al commercio delle armi. Quanto è successo a causa del coronavirus dovrebbe indurre tutti a voltare pagina».