Patrick Zaky, Giulio Regeni e la miopia dei tanti realisti di casa nostra

Zaky, la politica, le armi. E, ultima, la morale

Patrik Zaky, studente egiziano, iscritto all'Universo di Bologna, in carcere al Cairo

La storia inizia il 7 febbraio scorso. Lo studente egiziano Patrick Zaky – in Italia per seguire un master all’Università di Bologna – viene arrestato all’aeroporto del Cairo dove era appena atterrato con un volo proveniente dal nostro Paese. Dopo averlo preso in consegna e interrogato, la polizia lo conduce  alla procura di Mansoura dove gli vengono contestati i reati di “istigazione al rovesciamento del governo e della Costituzione”. Secondo l’Eipr (Egyptian Initiative for Personal Rights) – l’ONG per cui il ricercatore collabora – Patrick è picchiato, sottoposto a elettroshock, minacciato e interrogato in merito al suo lavoro e al suo attivismo. Per i suoi legali, egli mostra sul corpo segni visibili delle violenze subite. Patrick, nonostante le molte manifestazioni a suo sostegno, è ancora rinchiuso nelle carceri egiziane in attesa di processo. 

Per i Giulii e le Giulie d’Egitto

La vicenda, ad oggi non conclusa, di Zaky richiama alla mente di moltissimi la storia di Giulio Regeni, il giovane ricercatore  italiano scomparso al Cairo il 25 gennaio 2016 e ritrovato nove giorni dopo, torturato e barbaramente ucciso per motivi apparentemente sconosciuti. Come sappiamo, sul caso, l’Egitto collabora a fasi alterne e l’Italia, nonostante le promesse fatte ai tanti che in tutto il Paese chiedono verità, ha trovato tempo non di ritirare l’ambasciatore (come i genitori da tempo chiedono) ma, piuttosto, di consolidare un florido commercio di armi con il Paese africano.

Non importa se – come ricorda spesso Alessandra Ballerini, l’avvocato della famiglia Regeni che segue l’iter giudiziario e internazionale della vicenda – tortura, morte, depistaggi, omissioni sono situazioni all’ordine del giorno in terra egiziana. “Chi e perché?”, si chiedono Paola e Claudio, i genitori di Giulio. Domande che non riguardano solo il loro figlio ma tutti i Giulii e le Giulie d’Egitto. Ne spariscono almeno 3-4 al giorno, con serialità argentina o cilena, in un paese dove tanti corpi torturati, anche dagli apparati dello Stato, narrano la ferocia della repressione. 

Intanto all’Egitto si vendono sempre più armi

Nel frattempo, durante l’arresto di Patrick e il continuo paludamento dell’inchiesta su Giulio, il governo italiano firma un nuovo accordo con l’Egitto che, se confermato, sarebbe la più grande commessa di armi ottenuta dall’Italia dalla fine della seconda guerra mondiale e la più importante mai conclusa dal Paese governato da Al Sisi. Secondo un sito di approfondimento arabo indipendente, per le sue dimensioni, la vendita “cambia radicalmente l’equilibrio delle forze militari nella regione, in un momento in cui le tensioni tra potenze internazionali e regionali nel Mediterraneo sono in aumento.”

Che idea abbiamo di politica? Mercato e strategia

Nelle scorse settimane, non sono pochi coloro che sui media hanno sostenuto, con convinzione, l’idea che l’etica sia una cosa e la politica estera un’altra, come se la seconda non possa essere condizionata dalla prima. Da una parte i diritti umani e i valori, dall’altra il business perché – dicono costoro –  “se non vendiamo noi le fregate all’Egitto è già pronta la Francia”. Una visione, si dice, “realista” delle relazioni internazionali che, in nome della ragion di Stato o di equilibri geopolitici,  sacrifica le persone e i principi. 

Ma se la politica non traduce valori e principi e non mette al centro la persona, che politica è? E poi: siamo davvero convinti che la nostra disonorevole “realpolitik” sia vantaggiosa all’Italia? Come ha scritto con lucidità Paola Caridi, “il ruolo internazionale di un Paese si fa con ben altro, si fa con credibilità, autorevolezza, e con gli strumenti  – che l’Italia dovrebbe avere ben rodati – di una politica estera e di una diplomazia di peso. Si può proteggere Patrick Zaki e sostenere il ruolo dell’Italia nel Mediterraneo. Si può fare di tutto per proteggere i diritti di una singola persona, ora in uno stato di fragilità, perché dell’autorevolezza di uno Stato di diritto fa parte la difesa del suo impianto costituzionale e di valori. I realisti non colgono la differenza tra mercato e strategia. Non colgono la differenza tra la miopia di un lucroso affare e il tempo lungo del ruolo politico di un Paese. Ma non è più il tempo della miopia. È stata travolta dalla cronaca e dalla Storia.”