Il teatro pensa al futuro. Alessio Boni: “Il covid-19 ci ha spinto a riflettere su cosa non va. Migliaia di lavoratori senza tutele”

Il 4 luglio protagonista con Omar Pedrini di una serata di poesia e musica al Lazzaretto

Siamo ormai nella Fase 3 dell’era post Covid-19, il nostro Paese si è rimesso in marcia ed è ripartito, pur se tra mille difficoltà. Nonostante la ripartenza, graduale e faticosa per la maggior parte degli italiani, anche in questa fase c’è sempre un settore che è quasi fermo e non ha risposte chiare per il futuro. 

Stiamo parlando del settore dello spettacolo, che dà lavoro non solo a molti attori nostrani di talento ma anche a molti artigiani e maestranze. Un milione e mezzo di lavoratori dello spettacolo, musica, teatro, cinema che producono il 10% del Pil nazionale, sono rimasti completamente fermi durante il lockdown e ancora non sono riusciti a ripartire al 100%. Il Covid-19 ha fatto emergere tutte le problematiche preesistenti, questo è un settore dove molte persone non sono riconosciute a livello legale. 

Ne parliamo con Alessio Boni, nato a Sarnico in provincia di Bergamo nel 1966, uno dei più apprezzati attori italiani di sempre, con decine di film di spessore e miniserie di successo all’attivo, sempre impegnate e profonde, che lasciano il segno, com’è accaduto con “La meglio gioventù” di Marco Tullio Giordana. 

Alessio, alcuni cinema hanno riaperto le sale, ma i teatri in Italia hanno tirato su il sipario? 

«Questo lo dovrà decidere il Governo e il Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo Dario Franceschini. Per ora a noi attori è stata data la possibilità di fare delle letture in luoghi aperti e in piccoli teatri, rispettando le regole del distanziamento sociale. L’attore e il pianista lontano tre metri, con il pubblico distante due metri dotato di mascherine. Per quanto mi riguarda sono reduce insieme al violinista e compositore Alessandro Quarta, con il violoncellista Mario Brunello e alla prima viola della Scala Danilo Rossi, dal recital musicale “Bach, Queneau, Esercizi e Variazioni”, che si è svolto in prima nazionale sabato 27, domenica 28 e lunedì 29 giugno nella rassegna di arte contemporanea di Arte Sella a Borgo Valsugana, in provincia di Trento, e mercoledì 1° luglio nel Secondo Chiostro dei Musei San Domenico a Forlì. Il progetto è nato a seguito della petizione “L’Arte è vita”, lanciata da noi quattro artisti durante il periodo di quarantena, in difesa dello spettacolo dal vivo e dei diritti di tutti i lavoratori del mondo dell’arte e della cultura, che ha raccolto 27mila firme e le adesioni di alcuni celebri personaggi dello spettacolo. Come ho già detto anche i piccoli teatri si potranno riaprire, faremo una prima a Montepulciano in piena estate di “Fuga a tre voci”, regia di Marco Tullio Giordana, ispirata all’epistolario tra Ingeborg Bachmann e Hans Werner Henze. Saremo in scena, io, Michela Cescon e il chitarrista Giacomo Palazzesi, tutti distanziati, non ci saranno abbracci e nessun contatto tra noi. Questo è fattibile già da adesso, credo che nella prossima stagione non ci saranno problemi se si dovrà interpretare un monologo, un carteggio, ecc… Il problema si porrà se e quando si vorrà rappresentare “Don Chisciotte” con otto persone in scena, o una commedia che prevede abbracci, baci, contatti fisici tra attori. In quel caso occorrerà un decreto ministeriale. Inoltre in un teatro che contiene ottocento posti, se solo duecento se ne rendono disponibili a causa delle misure anti Covid-19, questo teatro è destinato alla chiusura. Come si finanzia senza una sovvenzione statale che viene in soccorso? È ancora tutto da capire, calcolare bene. Noi lavoratori dello spettacolo siamo in speranzosa attesa».

Nel Decreto Legge Rilancio 19 maggio 2020 appare qualcosa a tutela dei lavoratori dello spettacolo? 

«Sì, c’è qualcosa (n.d.r.: a tutti i lavoratori dello spettacolo iscritti al loro Fondo pensione che nel 2019 hanno versato almeno 7 giorni di contributi dovrebbe essere arrivata l’indennità di 600 euro ad aprile e maggio), solo che ci sono miliardi di cavilli dai quali è difficile uscirne. La maggior parte dei lavoratori dello spettacolo hanno un contratto di lavoro intermittente (o “a chiamata” o anche “job on call”) e quindi si devono arrangiare. Sono più di 600mila lavoratori dello spettacolo privi di tutela, considerando la tipologia dei loro contratti. Secondo me sarebbe il caso di regolarizzare questi contratti di intermittenza, fare dei decreti legge “ad hoc”, dovremmo prendere esempio dalla Francia dove i contratti di intermittenza hanno i loro diritti, i supporti e le loro sovvenzioni quando accade un evento disastroso come è stata la pandemia attuale. Finora i lavoratori dello spettacolo a intermittenza si sono, come dire, arrangiati, dilagato il virus, i problemi sono saltati fuori. Prima eravamo dentro la ruota del criceto, e andavamo avanti, senza pensare. Il Covid – 19 ci ha obbligati a pensare e a riflettere su cosa non va. Speriamo che vengano tutelati presto, certo è che come prima non si può più andare avanti».  

Se l’aria che tira non è delle migliori quali sono le prospettive per il futuro, considerato che mai come adesso servirebbe una politica che investa veramente nella cultura? 

«Noi attori abbiamo fatto varie petizioni, abbiamo parlato con il Ministro Franceschini, credo che si siano sensibilizzati di più rispetto a prima. Prima noi attori eravamo considerati come dei privilegiati, mentre non è così. Tra l’altro stiamo istituendo un registro degli attori che prima non esisteva, per delle finalità precise. Qualcuno dimentica che i turisti non vengono nel nostro Paese solo per ammirare il Colosseo ma anche per assistere ai concerti di musica classica, alle grandi opere liriche, e dietro a tutto ciò c’è un indotto enorme. Come si fa a sostenere che la cultura non ha introiti, considerato che si stima che l’Italia concentri dal 60% al 75% di tutti i beni artistici esistenti in ogni continente? Quando il Ministro Franceschini ha detto: “Mettiamo tutto su Netflix”, ha dimenticato la bellezza e l’emozione di assistere a uno spettacolo dal vivo. Come ho scritto nella mia petizione “L’arte è vita”: “Gli spettacoli dal vivo muovono un mondo che non appare sul palcoscenico: registi, sceneggiatori, drammaturghi, coreografi, tecnici audio, tecnici luci, manager, addetti stampa, promoter, organizzatori, impiegati amministrativi, agenti di spettacolo, scenografi, costumisti, montatori, fotografi, operatori del cinema, sarti, truccatori, parrucchieri, trasportatori, addetti alle pulizie, alla biglietteria, addetti di sala, maschere, giornalisti di settore”». 

Le emblematiche immagini delle salme trasportate dall’esercito a Bergamo hanno fatto il giro del mondo. Che cosa ha provato in quei momenti? 

«Sconforto totale. Eravamo nel pieno della pandemia e non sapevamo come uscirne. Non mi è mai venuto in mente di uscire dal balcone di casa e cantare come hanno fatto tanti miei connazionali in quei giorni di lockdown».

La sera di domenica 28 giugno presso il cimitero monumentale di Bergamo è stata eseguita la Messa di Requiem di Gaetano Donizetti in omaggio alle oltre seimila vittime bergamasche del Covid–19, che in quattro mesi hanno cambiato per sempre il volto della città e di tutta la Bergamasca, una delle zone dove la pandemia ha colpito più duramente che altrove. Il Capo dello Stato Sergio Mattarella presente alla cerimonia ha dichiarato: “Qui il cuore dell’Italia ferita. Riflettere con rigore su errori e carenze”. Concorda con la frase del Presidente della Repubblica?  

«Concordo in pieno. Questa pandemia ci ha colto impreparati e come bergamasco ringrazio il Presidente Mattarella per le sue incisive parole. Però, non capisco ancora come mai, e ritengo di non essere il solo, perché proprio nel triangolo Bergamo, Brescia e Milano, ci sia stata questa atroce “botta” di contagi. Finora nessuno ha saputo dare una risposta esauriente. Ma forse è ancora troppo presto».

Tutto è cambiato e niente sarà più come prima dopo la tempesta scatenata dal coronavirus. Che cosa ci ha insegnato il lockdown e come ripartire?

«La ripartenza rappresenta sempre un’opportunità, perché contiene in sé non solo la resilienza ma la voglia di ricominciare, di darsi da fare. Il Covid-19 ha contagiato il Pianeta e mi piace pensare a una catena umana planetaria, dove ciascuno di noi si alza in piedi e riparte. La realtà mi dice che quasi tre mesi di lockdown non può cambiare in meglio gli individui, chi era uno squalo prima, tale è rimasto, purtroppo. La Terra invece ci ha fatto capire durante l’isolamento che era tornata a respirare: abbiamo visto nei vari Tg una medusa che si aggirava per i canali del centro di Venezia, mamma papera a passeggio sul Lungotevere a Roma con i suoi anatroccoli, i delfini che entravano nei porti. Cose meravigliose da ammirare, perché evidentemente la natura non vedeva l’ora che noi umani ci fermassimo per riprendersi il territorio da noi saccheggiato e inquinato». 

Presidenti, premi Nobel, personalità dello spettacolo, figure di primo piano del mondo imprenditoriale, politici, sindaci, accademici. Centouno in tutto, uniti in un appello, affinché i vaccini per fermare il Covid-19 siano “un bene comune universale esenti da qualsiasi diritto di brevetto di proprietà”. Che cosa ne pensa?

«Sono pienamente d’accordo, iniziativa lodevole. Il vaccino contro il Covid-19 quando si troverà, dovrà essere fruibile e gratuito per tutti, nessuno escluso, e nessuno dovrà arricchirsi da questa scoperta che tutto il mondo aspetta con ansia. Forse sono un utopista “donchisciottesco”, visto che interpreto il protagonista del romanzo di Cervantes sulla scena». 

A Bergamo il prossimo sabato 4 luglio alle ore 21,30 nell’ambito di “Lazzaretto on stage” presenterà insieme al musicista Omar Pedrini, lo spettacolo “66/67”. Di che cosa si tratta?  

«Saremo i primi a esibirci in questa grande manifestazione organizzata dal Comune di Bergamo per celebrare la rinascita della città dopo il lockdown. Sarà uno spettacolo imperniato sul dialogo fra teatro e musica, dove sarò protagonista della serata insieme al musicista Omar Pedrini che è nato a Brescia. Insieme proporremo un viaggio nella memoria attraverso poesie e canzoni, che hanno accompagnato più di una generazione e il titolo dello spettacolo è riferito all’anno di nascita mio, sono del ‘66, e a quello di Omar, che è nato un anno dopo di me, appunto nel ‘67».  

Tra i tanti personaggi che ha interpretato, ricordiamo Caravaggio, Giacomo Puccini, Giorgio Ambrosoli, Walter Chiari, Enrico Piaggio, Heathcliff di “Cime tempestose”, Andrej Bolkonskij di “Guerra e pace” e Maxim de Winter di “Rebecca, la prima moglie”, qual è stato quello che ha sentito più vicino alla Sua personalità? 

«Il più vicino per tutta una serie di cose è sicuramente il personaggio di Matteo Carati de “La meglio gioventù”. Quel film ha cambiato il mio percorso professionale, anche se adoro tutti i personaggi citati e guai a chi me li tocca, Matteo però mi ha fatto fare la svolta nella mia carriera».