Un papà, uno “dei nostri”, diventa omicida dei figli. Riflessioni

Le scorciatoie del capro espiatorio non servono

La tragica vicenda del padre che ha ucciso i suoi due figli, dopo aver scritto un messaggio alla moglie nel quale le diceva che non li avrebbe mai più visti, ha scosso gran parte dell’opinione pubblica. E ha scosso noi, certamente perché è un evento che, grazie a Dio, non ci lascia indifferenti, ma, soprattutto, perché a rendersene protagonista è stato un papà “normale”, definito come una brava persona che amava i suoi figli.

Insomma, un papà “dei nostri” (peraltro, il fatto non è avvenuto troppo lontano da noi…).

Tra le analisi più lucide che ho accostato, ho molto apprezzato quella del prof. Giacomo Paris, scrittore, docente di Filosofia presso il Liceo Sant’Alessandro di Bergamo e collaboratore dell’Università di Bergamo per i corsi di Storia della Filosofia e Storia delle Religioni, che qui riporto integralmente.

Mario Bressi, un uomo di 45 anni, ha ucciso a mani nude i suoi due figli dodicenni, poi si è suicidato buttandosi da un ponte; prima di morire, ha avvisato la moglie con un messaggio (“Non rivedrai più i tuoi figli”).

Impressionante, per non dire sconcertante, la povertà delle diverse analisi, figlie di vecchi retaggi anti-maschio/anti – padre, antropologicamente inaccettabili ma soprattutto funzionali al mantenimento dello stigma maschio= potere/maschio= violenza.

Condannare questo uomo-padre non serve a nulla, nessuno può sapere quale demone sia giunto al suo cospetto nel buio della notte a indicargli la strada della morte. Io non punto il dito, cerco di comprendere. Dall’idea di una solitudine immeritata possono nascere ipotesi mostruose: la mente umana rimane un mistero.

Vedo in Mario Bressi – non me ne voglia Euripide- una Medea al maschile: il depotenziamento simbolico del maschio-padre, tanto osannato a livello di antropologia al femminile, non è stato in grado di vedere la radicale fragilità del maschio-padre. Di questa fragilità al maschile non si parla mai.

Cominciamo allora, una buona volta, a parlare di persone, a parlare di “drammi di persone”: i parallelismi maschio-femmina, tendenti a “dare la colpa” al maschio-cattivo-caprone, abilmente strumentalizzati da un giornalismo di bassa lega, riducono irreparabilmente la complessità a schema, giungendo a una forma di giudizio che sistema le domande della logica a discapito di quelle dell’umanità. Ecco, io vedo due drammi che si incrociano, non riesco a vedere “colpe”: vedo il dramma di questa madre, e i suoi figli volare via; vedo il dramma di questo padre, che forse non ha retto all’idea della fine di un amore.

Interpretazione non di maniera. Reazioni diverse

Quando ho postato su Facebook questa riflessione, proponendola alla lettura dei  miei contatti, ho notato diverse reazioni. Tutte legittime, per carità: ognuno ha libertà di pensiero e di opinione. Mi ha tuttavia colpito un fatto: diversi lettori delle riflessioni di Giacomo hanno contestato il suo pensiero accusandolo di voler essere giustificativo nei confronti del padre omicida.

Io, personalmente, concordo con il professor Paris, quando afferma di non voler giudicare (e nemmeno giustificare, come ha risposto lui stesso ad alcuni commenti), ma comprendere. Trovo preoccupante il bisogno quasi disperato che serpeggia nell’animo di molti, oggi, che

cerca costantemente un capro espiatorio, qualcuno al quale attribuire la colpa.

Ora, io non credo un padre giunga ad uccidere i figli senza che vi sia un’alterazione dello stato di coscienza e della percezione del suo agire. Poi, certo, non sono un esperto: per questo lascio a chi conosce queste dinamiche di fornirmi spiegazioni o ipotesi scientificamente serie.

Quando si pensa che la soluzione migliore sia morire

Una volta udii uno psichiatra spiegare che il dolore radicale conduce a una disperazione tale da far credere che la cosa migliore da fare, per le creature che si sono messe al mondo e poi per sé, sia morire… una sorta di cancellazione totale che, nella mente dell’omicida, sarebbe una soluzione positiva a uno stato di dolore percepito come un tunnel senza via d’uscita.

Che dire? Resto dell’idea che la mente umana sia complessa. Occorrono competenze e, soprattutto, è necessaria la sospensione del giudizio, perché giudicare è la via certamente più semplice, ma non credo sia anche la più corretta.   

  1. Credo che ripetere, Chi e senza peccato scagli LA Prima Pietra. Sia LA parola giusta, ieri oggi domani si è ucciso in piena coscienza della mente usando scuse partorite da menti eccelse. Forse siamo tutti colpevoli.

  2. Prima che mi venga la tentazione di giudicare comincio col chiedermi “come mai un amore che ha generato due vite , finisce?”.
    Non era amore,era innamoramento, con la nascita dei figli non s’è acceso, non è diventato amore.
    Perché?
    Potrebbe essere perché mancava di legame nello Spirito,spiritualità (?)
    E’una dolorosa vita(anche i figli ne risentono) per coloro che non sono uniti in Spirito quando:un coniuge Lo adora come fosse l’anima della propria anima e l’altro non solo non ne tiene per niente conto, ma, addirittura Lo ritiene una grandissima ignoranza così come credere in Dio, nella Chiesa…

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