La gente non va più a messa. Quale avvenire per la Chiesa?

Stiamo attraversando un cambiamento senza ritorno

I dati fanno una certa impressione e raccontano di un tracollo che, almeno nell’immediato, non ha fine. Secondo le statistiche annuali pubblicate dalla Conferenza Episcopale nel 2019 sono uscite dalla Chiesa cattolica tedesca 272.771 persone, circa il 26,2% in più rispetto all’anno precedente (216.078). Nello stesso periodo, la Chiesa evangelica, ha registrato 270.000 abbandoni, ossia il 23,3% in più rispetto al 2018 (220.000).  

I numeri impressionanti del crollo

La frequenza media settimanale alla Chiesa tra i cattolici è diminuita passando dal 9,3 al 9,1%. Ciò significa appena 2,1 milioni di presenze. La Chiesa evangelica, secondo i dati relativi al 2017, registra in media circa 978.000 frequentanti, ossia il 4,7%. Anche il numero delle parrocchie cattoliche è ulteriormente diminuito, passando da 10.045 a 9.936. La Chiesa evangelica alla fine del 2018 contava 13.792 comunità. Per quanto riguarda i matrimoni: nella Chiesa cattolica, il loro numero è diminuito da 42.789 a 38.537. Nella Chiesa evangelica, secondo i dati riferiti al 2017, è stato di 42.987. È sceso anche il numero annuale dei battesimi passando da 167.787 a 159.043. Il dato è diminuito anche nella Chiesa protestante: da 170.000 dell’anno precedente è sceso a 160.000. Lo scorso anno la Chiesa cattolica ha registrato 2.330 ingressi (nel 2018, 2.442) e 5.339 ritorni (nel 2018, 6.303) e la Chiesa evangelica ha contato circa 25.000 accoglienze. È diminuito anche il numero dei funerali cattolici che è passato da 243.705 a 233.937, superando così il numero dei battesimi, delle iscrizioni e dei rientri di circa 67.200 unità. Anche nella Chiesa evangelica il numero dei funerali – circa 340.000 – è stato chiaramente più alto dei battesimi e dell’accoglienza.

Un cambiamento d’epoca

Sono numeri che raccontano di un cambiamento radicale e profondo che sta toccando tutti i Paesi europei, Italia inclusa. Stolti coloro che non vogliono vederlo, che non fanno i conti, seriamente e senza risentimenti, con quello che, più volte, papa Francesco ha chiamato “un cambiamento d’epoca”. Lo ricordava già qualche anno fa un documento della Chiesa italiana: “Considerando le trasformazioni avvenute nella società, alcuni aspetti, rilevanti dal punto di vista antropologico, influiscono in modo particolare sul processo educativo: l’eclissi del senso di Dio e l’offuscamento della dimensione dell’interiorità, l’incerta formazione dell’identità personale in un contesto plurale e frammentato, le difficoltà di dialogo tra le generazioni, la separazione tra intelligenza ed affettività. Si tratta di nodi critici che vanno compresi e affrontati senza paura, accettando la sfida di trasformarli in altrettante opportunità educative» (2010, CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, n. 9).

L’essenziale della fede cristiana

Occorre cioè fare i conti, non solo a parole, con la secolarizzazione (intesa come interpretazione della modernità): scienza, politica, economia, arte, etica, religione, si sono rese  sempre più autonome le une dalle altre, sviluppando dinamiche autoreferenziali.

La perdita di centralità della Chiesa

(con tutto il sistema religioso) e la sua privatizzazione (attraverso l’abbandono delle pratiche tradizionali proposte dall’istituzione), ne sono conseguenze (non gli elementi qualificanti). Basta guardarsi attorno e dialogare con alcuni giovani: le nuove generazioni per parlare, comprendere la propria vita, il proprio mondo, non hanno più bisogno di fare riferimento a Dio. Pensieri, emozioni, sentimenti, che l’esistenza quotidiana induce, non sembrano portare tracce e rimandi a Dio.

La conseguenza che ne deriva interroga immediatamente e a fondo ogni annunciatore di Dio;

poiché egli si trova a parlare di qualcosa che nella sensibilità dell’interlocutore non trova tracce nel vivo dell’esistenza, gli risulta qualcosa di alieno, di “fuori campo”. Con coraggio, serve assumere il compito: riconoscere queste criticità, accettarne l’interrogazione e sapervi leggere una opportunità per l’annuncio.

Ciò significa che in questa eclissi di Dio, nelle sue ragioni complesse, non tutto è negativo, c’è una interpellanza che è saggio accogliere.

Il processo di secolarizzazione letto in profondità è un processo di disarticolazione, di scioglimento di legami e nessi avvertiti come non positivi, non corretti, non rispettosi della posta in gioco, dei soggetti e delle dimensioni implicate. Certo la disarticolazione produce anche effetti negativi, ma essa si presenta come divieto di tornare indietro, alle vecchie articolazioni. Ma forse non nega la possibilità di altre articolazioni, se esse sono in grado di rivelarsi rispettose degli elementi in gioco.

Lo abbiamo scritto più volte: serve una Chiesa capace di 

ricentrarsi sull’essenziale: la Parola, la cura liturgica, la formazione.  Noi aggiungiamo anche la passione per la città.

Perché se la fede non custodisce l’umano non è fede in Gesù Cristo. In fondo, dopo l’incarnazione la grande basilica dove i cristiani trovano le sue tracce è il mondo. La sfida è la compagnia con gli uomini del nostro tempo, l’ascolto dei soffi più nascosti della ricerca del senso della vita, che ci sono anche nei più assorbiti nella cultura apparentemente dominante dell’età del vuoto. Attraverso la gioia, la testimonianza di vita buona dei credenti. Non attraverso sguardi risentiti attanagliati da voglie di rivincita.

Attenti alle caricature di Dio

Nel libro L’eclissi di Dio (Edizioni di Comunità, 1953), Martin Buber racconta di un colloquio con un anziano signore di cui era ospite, scaturito in seguito alla lettura ad alta voce, che questi gli aveva richiesto, delle bozze di un suo libro di carattere religioso. 

“Quando ebbi terminato egli intervenne, dapprima esitante e poi sempre più appassionatamente, trascinato dall’argomento che gli stava a cuore e disse: «Come fa a pronunciare tante volte la parola ‘Dio’? Come può aspettarsi che i lettori accolgano questo nome nel modo in cui lo vorrebbe saper inteso? Quel che intende lei con questa parola è al di sopra di ogni capacità umana di afferrare e di comprendere, proprio questo essere al di sopra lei vuole indicare; ma pronunciando questa parola la lascia in balia dell’uomo. Quale altra parola del linguaggio umano fu così maltrattata, macchiata e deturpata? Tutto il sangue innocente, che venne versato in suo nome, le ha tolto il suo splendore.

Tutte le ingiustizie che fu costretta a coprire hanno offuscato la sua chiarezza.

Qualche volta sentire nominare l’Altissimo col nome di ‘Dio’ mi sembra un’imprecazione». Gli occhi chiari come quelli di un bambino lampeggiavano. La voce stessa era infiammata. Poi, per un pò, ci sedemmo di fronte in silenzio. La stanza era inondata dalla chiarezza del primo mattino. Mi sembrava che con la luce entrasse in me una forza. Non posso riferire esattamente ciò che risposi, posso soltanto accennare al discorso di allora. «Si», risposi, «è la parola più sovraccarica di tutto il linguaggio umano. Nessun’altra è stata tanto lacerata e insudiciata. Proprio per questo non posso rinunciare ad essa. Generazioni di uomini hanno scaricato il peso della loro vita angustiata su questa parola e l’hanno schiacciata al suolo; ora giace nella polvere e porta i loro fardelli. Generazioni di uomini hanno lacerato questo nome con le loro divisioni in partiti religiosi; hanno ucciso e sono morti per questa idea e il nome di Dio porta tutte le loro impronte digitali e il loro sangue. […] Certamente essi disegnano caricature e scrivono sotto ‘Dio’; si uccidono a vicenda e lo fanno ‘in nome di Dio’. Ma quando scompare ogni illusione e ogni inganno, quando gli stanno di fronte nell’oscurità più profonda e non dicono più ‘Egli, Egli’, ma sospirano ‘Tu, Tu’ e implorano ‘Tu’, intendono lo stesso essere; e quando vi aggiungono ‘Dio’, non invocano forse il vero Dio, l’unico vivente, il Dio delle creature umane? Non è forse lui che li ode? Che li esaudisce?

La parola ‘Dio’ non è forse proprio per questo la parola dell’invocazione, la parola divenuta nome, consacrata per tutti i tempi in tutte le lingue umane?

[…] Non possiamo lavare di tutte le macchie la parola ‘Dio’ e nemmeno lasciarla integra; possiamo però sollevarla da terra e, macchiata e lacera com’è, innalzarla sopra un’ora di grande dolore». La stanza si era fatta molto chiara. La luce non fluiva più, c’era. L’anziano signore si alzò, venne verso di me, mi pose la mano sulla spalla e disse: «Vogliamo darci del tu?». Il colloquio era finito. Poiché dove due sono veramente uniti, lo sono nel nome di Dio.”

  1. Grazie di cuore.
    Non perdiamoci di coraggio.
    E rialziamo Dio da terra insieme ai poveri, agli ultimi, a coloro che più gli somigliano.

  2. La notizia ci fa pensare e riflettere. Quanti veri cristiani ci sono ancora? Gente che va in chiesa la domenica si sente cristiano. Ma chi lavora in nero, chi cerca di fregare il prossimo… e possiamo andare avanti di questo passo. Ogni tanto un bell’esame di coscienza che ci faccia capire gli errori che commettiamo. Preghiamo quindi Dio che ci aiuti a diventare dei veri cristiani, seguaci di un Gesù che è morto per noi per salvarci. Ma è anche risorto primo fra tutti. Coraggio quindi aiutiamo la chiesa con la preghiera!

  3. Quale avvenire per l’umanità intera, io mi domanderei! Quale futuro noi abbiamo consegnato ai nostri nipoti?: è sotto gli occhi di tutti, e non è necessario che si prenda posizioni in difesa dei Cristiani che siano praticanti o meno; il “dio” moderno dell’accumulo di denaro, principalmente, ma anche di atteggiamenti troppo egoistici, nel volersi affermare a tutti costi, con ambiziose gesta, che le guerre, la fame conseguente, e i giochi di sopravvivenza apparente, solo per alcuni, mentre la maggior parte della popolazione del mondo si è sempre di più impoverita, oggi ha mostrato i nervi scoperti anche fra noi cristiani, che dovremo condividerne le sorti per certi versi catastrofiche! Lacrime di coccodrillo nel dire che è sempre stata “colpa” degli altri. Guardiamo la maleducazione che ha la coda nel popolo, ma che ha la testa che puzza in coloro, anche nelle Chiese,che si sono illusi di mantenere un potere, prorogando all’infinito, pratiche e metodi che ha messo fuori dalla porta, quella autorevolezza nel essere credibili! Non tutto il male viene per nuocere… e forse questa è l’ultima opportunità per cambiare registro! Gesù è e sempre sarà in mezzo e con noi… e possiamo avere fiducia che “l’uomo” che ha in sé “Dio”, troverà la via per rivivere con l’Amore, ciò che nei tempi non ha ma deluso! Buona Vita!

  4. Penso ad una vita autentica fra noi persone, serena e portatrice di pace in una societa’ individualistica e sola, potranno ricordare il nome di Dio Padre buono. E’ la testimonianza personale.

  5. E’ vero che dopo i momenti di crisi ci si risolleva, . questo si potrà verificare solo se ci si vorrà sporcare le mani, se si vorrà entrare con decisione in mezzo ai problemi della “gente, insomma essere più in spirito evangelico, è finito il tempo delle equidistanze, nel non si deve fare torto a nessuno….meno convegni, meno riforme “istituzionali” che si consumano all’interno della struttura, un linguaggio meno ricco di paroloni ma più diretto alle coscienze.

  6. Parlo da molto anziana. Per me il motivo serio della questione, e’ l’aver diluito il catechismo dei bambini e ragazzi. Il problema del lasciare la chiesa dopo la cresima, e’ da tempo che esiste, per cui I bambini NON vengono portati a conoscere e far sentire loro l’AMORE CHE GESU’ DIO HA PER LORO. Si cerca di recuperare I giovani, ma sono I bambini che vanno portati a capire Il VERO DIO, MA IN PRATICA, NON COME NOZIONI.Il problema del calo di vocazioni e di cristiani autentici e’: UNA IGNORANZA RELIGIOSA SPAVENTOSA. IO CHE HO 91 anni,e’ l’unico apostolato che ancora posso fare, ma e’ un tentare di contrapporre I lontani per questa ignoranza a far capire la vera chiesa e il vero DIO, GESU’,ma veramente piango quando vedo come la testimonianza cristiana si fa troppo poco SENTIRE, VEDERE. Ci si accontenta delle briciole e si lascia perdere le michette. Scusate, e’ solo il moo pensiero, lontana dal voler criticare.

  7. Leggo sempre volentieri i contributi di Daniele Rocchetti, di cui apprezzo la fede, la profondità culturale e l’attenzione critica sin dai tempi della mia militanza aclista.
    Il tema affrontato nell’articolo non può non interpellarci tutti come singoli credenti e come comunità di fedeli. Va necessariamente analizzato e mi sembra che l’articolo sia puntuale in tal senso.
    Dal mio piccolo punto di vista, mentre condivido globalmente quanto scritto, mi permetto di aggiungere un elemento alla riflessione che mi sembra utile: stiamo qualificando il calo di popolarità della Chiesa, paragonandola ad un’altra situazione appartenente al passato, che assumiamo come ‘normale’. Ma qual è la normalità per la Chiesa cattolica romana? Ricordiamo, alcuni anche con qualche lacrima di nostalgia, la Chiesa ‘popolare’ vissuta fino ad una sessantina di anni fa con quel senso religioso maturato in secoli di teologia e di pietà popolare. Ci riferiamo a quell’ambiente culturale che reggeva ogni aspetto del vissuto privato quotidiano e che caratterizzava ogni rapporto sociale. Lo si chiamava “timor di Dio” e si traduceva in uno stile liturgico, in una universale scala valoriale, in un linguaggio che faceva dire all’umile contadino come al professore universitario: <>. Si nasceva, si viveva e si moriva completamente immersi in un ambiente cristiano cattolico.
    Oggi non è più così, come è stato scritto commentando i dati di fatto. Ma è veramente un’eclissi di Dio? O è soprattutto il momento in cui il Padre ci manda nuovi profeti per ricordarci che in fondo quella a cui guardiamo era la fase adolescenziale immediatamente successiva alla fase infantile (imperiale e costantiniana della Chiesa. Ora siamo chiamati alla fase adulta, quella della maturità di fede, quella del Cenacolo dopo la Pentecoste, quella appunto dei cenacoli. Infatti, mentre le chiese e le comunità parrocchiali si affievoliscono e si spopolano, crescono piccoli cenacoli di profonda spiritualità e di reale fraternità, in cui i membri sono legati ora ad una forte esperienza spirituale condivisa, ora ad una particolare devozione. Nascono e vivono nel segno della carità evangelica, guidati dallo sguardo paterno dell’Ordinario del luogo che si concretizza nella direzione spirituale affidata a ministri ordinati o laici consacrati che ne garantiscono l’ortodossia. Divengono veramente chiese come quelle di cui si legge in Atti. Lì sorgono spinte missionarie, sorgono vocazioni, si verificano liberazioni e guarigioni. Nell’articolo si accenna ai giovani. I giovani di oggi probabilmente non frequentano in massa gli oratori come in passato, ma ne troviamo molti che, svezzati dai piccoli cenacoli a cui partecipano con la famiglia, aderiscono a forti esperienze (spesso radicali) che vengono loro proposte dalle diverse realtà cristiane cattoliche ed interconfessionali che lo Spirito suscita e vivifica in questa nostra terra di nuovo annuncio. Ricordo, per citare un esempio, che dagli ultimi rilievi emerge che, mentre gli istituti religiosi di vita attiva svaniscono, c’è un crescente interesse per le proposte di vita claustrale e contemplativa. In Francia, dove sembra ormai radicato l’impero della secolarizzazione, stanno crescendo ‘sacche di resistenza giovanile’ in cui la fede viene vissuta e testimoniata in modi tanto radicali da rasentare il fondamentalismo (quello sano). Si potrebbero citare tanti altri esempi, ma non è la sede opportuna.
    Concludo affermando, senza presunzione e senza dubbio alcuno di eccessivo ottimismo, che la Chiesa sia si in crisi, ma che si trovi in una crisi feconda che ci porterà sicuramente a nuova consapevolezza, nuovo vigore come individui e come comunità. Del resto, come ci insegna il ‘capo’: <> e l’Apostolo lo interpreta benissimo: <>.

    Grazie per questa occasione di condivisione e buon cammino a tutti!

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