Taizè: una parabola di comunione a quindici anni dalla morte di frère Roger

Intervista con il priore frère Alois

“La storia della mia famiglia è quella degli emigrati dall’Est. Dopo la guerra, i miei, una famiglia di agricoltori, lasciarono la Cecoslovacchia per la Germania. Quella dell’emigrazione, dello sradicamento, è una ferita che la mia famiglia si porta dentro. Poi ho continuato più a Ovest, verso la Francia, verso Taizé. Qui però ho compreso che si possono curare le ferite della storia. E che come cristiani possiamo aiutare a sanarle. Per me, tornare nei Paesi dell’Est era un modo per contribuire all’edificazione dell’Europa.” A raccontarmi questo è frère Alois, priore della comunità monastica di Taizè dal 16 agosto 2005, da quella sera che, riuniti i fratelli con 2500 giovani provenienti da tutto il mondo, il fondatore di questa straordinaria vicenda spirituale, venne ucciso durante la preghiera dei vespri. Sono passati quindici anni eppure la comunità ha retto con coraggio il cambio. Frère Alois era già stato scelto nel capitolo della comunità sette anni prima. “Quando frère Roger mi ha chiesto, molto tempo fa, di prepararmi ad assumere la responsabilità della comunità dopo di lui, non mi ha dato istruzioni; non mi ha detto come dovevo esercitare questa responsabilità; ma mi ha lasciato queste parole: 

Per il priore, come per i fratelli, il discernimento, lo spirito di misericordia, una bontà inesauribile del cuore, sono doni insostituibili”.

Frère Alois svolge questo ministero a Taizé ed anche visitando i fratelli che vivono in piccoli gruppi in Brasile, Bangladesh, Corea, Senegal e Kenya: “Una ventina di nostri fratelli vivono in piccole fraternità in altri continenti. Grazie a questo, vogliamo essere vicini ai poveri e creare ponti tra culture diverse.” 

Questo è il testo di una lunga intervista che mi ha recentemente concesso.

Come la comunità ha vissuto il tempo della quarantena?


Per noi l’accoglienza fa parte del cuore di ciò che vogliamo vivere: dunque era difficile rinunciarci, a metà marzo, all’inizio del lockdown. Anzi, l’accoglienza ci era indispensabile. Ci siamo divisi, già all’inizio, in otto gruppi, per non essere troppo numerosi a tavola e nei momenti di preghiera. Questo ci ha permesso di scoprire la nostra vita diversamente. C’era più tempo per gli scambi fraterni, per vivere la gratuità… una specie di tempo sabbatico vissuto insieme.

In questo periodo, siamo stati portati a proporre molte iniziative “online” per esprimere una solidarietà concreta sul piano spirituale. Già prima del lockdown in Francia, i nostri amici italiani ci domandavano di diffondere la preghiera su internet : in questo modo, da metà marzo fino a Pentecoste, abbiamo potuto trasmettere tutte le sere la preghiera, sul sito e sulle reti sociali di Taizé. La cosa è stata molto apprezzata da diverse persone e per noi era molto forte pensarci in comunione con gente del mondo intero. Molte persone hanno condiviso la loro sofferenza con noi.

Conservo il ricordo di una famiglia di Bergamo, la signora è medico. Era andata allo stremo delle sue energie. Ci ha scritto una lettera molto commovente. Ci sentivamo impotenti, ma abbiamo pregato. Ho pensato spesso anche, nella mia preghiera, alle donne e agli uomini confinati in un piccolo spazio vitale. Infine tutto questo ci ha portato a interrogarci sulle nostre risorse in quanto comunità. Noi non riceviamo donazioni, viviamo soltanto del nostro solo lavoro. Ma quando il punto vendita è rimasto chiuso per dei mesi, lo si è sentito immediatamente. Abbiamo cercato altri modi per guadagnarci da vivere. I fratelli hanno messo in atto una bella dose di creatività. 

Questo tempo di isolamento cosa può aver “insegnato” all’uomo contemporaneo?

Anzitutto, penso che la pandemia del Covid-19 ci ha richiamato fortemente la nostra fragilità umana. Questo virus microscopico ha obbligato più della metà degli abitanti del pianeta a restare reclusi per settimane: questo ha certamente un’enorme importanza. Inoltre, un grande insegnamento di questo periodo riguarda la solidarietà, vissuta a livello locale, ma anche su vasta scala. Forse non lo si è sottolineato a sufficienza, ma è notevole che la quarantena imposta sia stata accompagnata da molti gesti concreti di attenzione, soprattutto verso persone anziane o fragili. Sono tutti segni di speranza.

Infine ciò che dicevo della comunità, penso anche che molte persone l’hanno provato : l’isolamento è stato un’opportunità, per riconcentrarci sull’essenziale, per semplificare i nostri modi di vivere. All’indomani della crisi pandemica c’è motivo di credere che le disuguaglianze aumenteranno ancora, che la ripresa economica avrà luogo senza che si metta in conto l’urgenza del clima. Ma abbiamo anche un’immensa opportunità di interrogarci sull’avvenire che desideriamo avere. Saremo capaci di cogliere questo momento ?

I giovani hanno sempre risposto in modo generoso alla “chiamata” di Taizè. Dove sta a suo avviso la ragione di questa risposta?


Noi stessi ci meravigliamo nel constatare che lungo più di cinquant’anni i giovani vengono a Taizé, di generazione in generazione. Siamo molto riconoscenti nel prendere atto che i giovani continuano a trovare la loro strada fino a noi. Ma prima di lanciare loro un « appello » desideriamo anzitutto metterci al loro ascolto. 
Tra coloro che ci fanno visita, si trova una grande diversità. Ci sono coloro che credono profondamente, che sono impegnati nella Chiesa e che leggono la loro vita alla luce del Vangelo. Ce ne sono di quelli che sono lontani da una fede esplicita, ma che cercano un senso alla loro vita. Gli uni e gli altri sono tra noi, pregano con noi tre volte al giorno… Il che spiega che la ricerca di Dio, oggi, si esprime in linguaggi molto diversi. Se un giovane mi chiede : « Posso cantare con gli altri giovani anche se non sono credente ? »,  per me si tratta di un segno, di una sete, di un’attesa, che io posso discernere, affidare a Dio.

Di cosa hanno “sete” i giovani di oggi? In Europa contano sempre meno…

A causa della grande diversità di cui ho appena parlato, è difficile trarre delle conclusioni sui giovani di oggi in generale. Ma penso di poter dire che molti di loro hanno sete di autenticità. Capiscono immediatamente se le parole si accordano o no con gli atti concreti. Di fronte all’urgenza del clima, per esempio, sono pronti a impegnarsi, ma vogliono anche un cambiamento concreto delle pratiche e degli stili di vita. Un bel messaggio, questo, per la Chiesa!
Anche se non usano il vocabolario della fede, molti giovani hanno sete di un’esperienza di amicizia, di comunione. Per noi monaci, questa comunione è radicata nella preghiera: e noi vogliamo sperare che i pellegrini e i visitatori possano entrare a loro volta in questa esperienza di amicizia con il Cristo. 

Eppure in Occidente le chiese sono vuote di giovani. Come è possibile rendere significativo Gesù Cristo e l’esperienza cristiana ai moltissimi che oramai non la riconoscono più?

Vero. Attualmente i giovani che, nei nostri paesi occidentali, partecipano alle celebrazioni della domenica nelle nostre chiese, sono poco numerosi. Ci sono molte ragioni che spiegano la cosa. Credo che questo fatto non significhi che il Cristo non parla più ai giovani di oggi! A mio parere, questo ci deve anzitutto incoraggiare a fare tutto il possibile per mostrare la radicale novità del Vangelo oggi. 
Sulla fine del 2018, il sinodo dei vescovi raccolto attorno a Papa Francesco si è precisamente interrogato di questo problema: l’ascolto, l’accompagnamento dei giovani, era al centro del confronto durante le quattro settimane di riflessione e di condivisione. Una delle grandi conclusioni che conservo per me è che è essenziale pensare la pastorale dei giovani… con i giovani, per evitare il rischio di fare proposte piovute dall’alto, slegate dalla realtà vissuta dalla generazione giovane. A questo riguardo, la presenza di 35 giovani delegati per questa riunione del Sinodo ha rappresentato un apporto insostituibile.

La Chiesa – agli occhi delle giovani generazioni – pare essere un’istituzione compromessa, segnata da scandali e da divisioni. A quale conversione è chiamata per essere soffio dello Spirito anche dentro il nostro tempo?

La Chiesa attraversa un momento molto difficile, soprattutto per la crisi legata agli abusi sessuali e a quelli spirituali. Ma attraverso questa prova possiamo anche crescere nell’umiltà e nella semplicità: è un appello molto forte alla conversione. Papa Francesco insiste sul ruolo nefasto del clericalismo in molte comunità cristiane. E’ essenziale restare vigilanti sul modo di esercitare l’autorità. Prima di essere un potere, l’autorità è un servizio! Ma, ovviamente, non dimentichiamo che molti preti esercitano il loro ministero con grande dedizione: si deve sostenerli e incoraggiarli.
Mi capita di dire ai giovani: «Non guardateci come se fossimo dei maestri spirituali già arrivati alla meta!» Ciò che ci riunisce è la scelta di appartenere al Cristo. Nel fare questa scelta, riceviamo una grande responsabilità: vorremmo essere totalmente coerenti con questa scelta e camminare nella fede insieme con tutti coloro che ci sono stati affidati.  

Taizè è stata una parabola di comunione anche nei tempi della divisione netta del mondo. Oggi il mondo pare più connesso ma le divisioni attraversano ancora il cuore degli uomini e degli Stati. Come è possibile essere – senza retorica – a servizio della riconciliazione?

La nostra epoca, in effetti, è piena di paradossi. Senza dubbio assistiamo a qualcosa mai avvenuto nella storia : siamo interconnessi e le notizie circolano istantaneamente da un capo all’altro del pianeta. Nello stesso tempo vediamo aggravarsi divisioni, un aumento della xenofobia e di fenomeni identitari preoccupanti, in varie parti del mondo. E choccante scoprire che alcuni giovani europei sono partiti per combattere in Siria accanto a Daesh. Come hanno potuto lasciarsi strumentalizzare da una ideologia che perverte la religione? Di fronte a questi pericoli è fondamentale creare incontri personali. Senza scambi concreti, si rimane confinati a statistiche o a paure irrazionali. Sì, gli incontri da persona a persona sono indispensabili : ascoltiamo il racconto di un immigrato, di un rifugiato! Ascoltare coloro che vengono da altrove ci permette di meglio comprendere le nostre radici e di approfondire la nostra identità. È la nostra esperienza a Taizé : accogliendo dei migranti nel nostro villaggio, abbiamo visto nascere nella nostra regione un vero slancio di solidarietà, anche da parte di persone che non vengono mai a pregare a Taizé.

Quindici anni fa moriva frere Roger. Qual è il suo ricordo personale più caro? Cosa è rimasto della sua eredità?

L’eredità di frère Roger è immensa e lui rimane vivo. Vorrei sottolineare due aspetti. Per quanto riguarda l’ecumenismo, non abbiamo finito di esplorare che cosa significa la sua volontà di creare una comunità che anticipa l’unità, che la vive in anticipo. Ciò che viviamo in noi stessi ci spinge a fare appello ai cristiani a osare mettersi sotto uno stesso tetto senza aspettare che siano risolte tutte le questioni che li dividono.

Un’altra delle sue preoccupazioni era quella della pace, della condivisione, della solidarietà tra gli umani. Anche questo resta molto attuale. Con tutti i giovani che arrivano sulla nostra collina, ci è consentito di realizzare su piccola scala il segno di una fraternità universale. 

Recentemente è stato ricevuto in udienza privata da papa Francesco. Ci può dire come è stato il colloquio? Attorno a cosa avete parlato?

Sì, mi è stato possibile incontrare Papa Francesco, come ogni anno. L’udienza, prevista per fine marzo, era stata rinviata a causa della pandemia. Nel corso di questo incontro durato una mezzora, ho potuto condividere con lui le notizie di Taizé, in particolare le recenti tappe del pellegrinaggio di fiducia sulla terra e la ripresa dell’accoglienza dei giovani a Taizé dopo il periodo di isolamento. Gli ho detto come l’enciclica Laudato si’ stimola la ricerca della comunità, e ho accennato anche al lavoro sulla protezione delle persone e l’accoglienza dei rifugiati a Taizé. Sono particolarmente commosso per l’accoglienza cordiale e fraterna del Santo Padre. A Taizé ci sentiamo molto vicini al suo ministero e volevo assicurargli che preghiamo per lui. 

Qual è il suo giudizio sul pontificato di papa Francesco? Cosa la colpisce di più?

Sono felice che il Papa incoraggi la Chiesa – e anche noi – ad andare avanti, in diversi ambiti : la solidarietà verso i più svantaggiati, l’accoglienza e l’integrazione dei rifugiati, la salvaguardia del creato, l’ascolto e l’accompagnamento dei giovani, l’unità o il dialogo interreligioso, l’apertura della Chiesa al mondo… Su tutti questi temi che il Papa svolge frequentemente, ci sentiamo in profonda comunione. 
Quando lo incontro gli dico sempre che noi preghiamo per lui qui a Taizé. Ha un compito difficile, ma lui continua ad andare avanti con coraggio, passo dopo passo. E questa perseveranza incoraggia anche noi.