Le città ai tempi della pandemia: la quarantena ha creato un vuoto non ancora colmato

Le città deserte sono un’immagine simbolo dei tempi della pandemia: la quarantena ha creato un vuoto che non è stato ancora colmato, che non si limita alla mancanza di persone o attività ma coinvolge l’identità, le funzioni, l’essenza stessa dei piccoli e grandi centri italiani. Giuseppe De De Rita, sociologo e presidente della Fondazione Censis e il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, durante un incontro intenso al Festivaletteratura di Mantova, hanno provato a immaginare “La città ideale” dopo la pandemia, in cui il “corto-circuito” di benessere e individualismo possa essere spezzato per creare nuovi spazi di condivisione e di ascolto.
“Questo ti voglio dire – scriveva la poetessa Mariangela Gualtieri durante il lockdown -, ci dovevamo fermare. Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti ch’era troppo furioso il nostro fare. Stare dentro le cose. Tutti fuori di noi”. Ma questo furore in che cosa si è trasformato durante il lockdown? Che cosa ne è rimasto? De Rita ha ricordato lo slancio della ricostruzione che nell’Italia degli anni Cinquanta, nel secondo Dopoguerra, ha dato al Paese la forza di rialzarsi: “Se oggi noi abbiamo incertezze è proprio su questo: c’è ancora furore, voglia di sopravvivere, di starci dentro, di vincere le battaglie? Oppure con il coronavirus è arrivato un segnale che dobbiamo imparare a vivere in modo diverso, restando di più a casa, trascorrendo più tempo con le persone care, coltivando altri interessi?”. Il sociologo parte da qui per indagare su un cambiamento profondo, che coinvolge prima di tutto le città: “Esse sono il luogo più antico di civiltà e di espressione culturale. Danno senso a ciò che le circonda. Ma nella quarantena sono diventate un vuoto, un deserto, hanno perso l’identità”. 

Anche il cardinale Zuppi ha messo l’accento sui cambiamenti prodotti dalla pandemia, a livello sociale e antropologico: “Ci crediamo tutti prodotti originali, l’omologazione invece nella società contemporanea è fortissima, fatta di stereotipi, comportamenti, modelli, e internet ci appiattisce ancor di più. Prima della pandemia pensavamo di essere padroni di noi stessi. La decompressione, gli appuntamenti cancellati, le agende vuote ci hanno costretto a ricollocarci. Tanti parroci nella mia diocesi hanno vissuto con disagio l’idea di dover riorganizzare completamente la loro vita, anche se in realtà all’improvviso avevano più tempo per fermarsi, ascoltare, dare attenzione agli altri. Questi esercizi straordinari a cui siamo stati sottoposti per tre mesi ci hanno spinto a fare i conti con noi stessi e a rileggere le relazioni con gli altri”.

Un’occasione per recuperare un senso più profondo: “Nel secondo Dopoguerra – continua il cardinale – il perché del “furore” era chiaro: bisognava combattere per sopravvivere, per ricostruire. Oggi c’è un circuito continuo tra benessere e individualismo. Sappiamo perché le generazioni passate hanno lavorato come matte, non si sono concesse svaghi, ma oggi questa motivazione si è persa. Misuriamo nei confronti degli altri una distanza a cui ci siamo ormai abituati. Non siamo invece più capaci di pensarci insieme. Questo è uno dei pericoli più grandi, il narcisismo esasperato. La pandemia è stata una grande immersione nella realtà: eravamo matti a pensare di poter vivere sani in un mondo malato”. 

Le città, chiarisce De Rita, avevano tradito la loro vocazione di centro del territorio già prima della pandemia: “Ora bisogna renderle di nuovo luoghi della coesione sociale, senza dividere centro e periferia, ma cercando di tenerle insieme, anche se questo purtroppo non fa parte della cultura italiana di questo periodo”. 

Fra i problemi delle città messi a nudo dal covid-19 c’è anche la solitudine degli anziani: “Dovremmo riservare molta più attenzione all’assistenza – sottolinea il cardinale Zuppi – potenziando gli interventi a domicilio. È una delle lezioni della pandemia, speriamo che tutti ne tengano conto, compresa la politica, considerato che in Italia arriveranno aiuti consistenti, addirittura il quadruplo del piano Marshall. Il punto è come li impiegheremo”.

De Rita non è ottimista: “Il problema del consenso è diventato così forte che non si può fare politica senza di esso. Dalla fine del lockdown è stata adottata una politica dei bonus perché creano un rapporto diretto tra politica ed elettori, creando “ruscelletti” di potere, ma avremmo bisogno di interventi organici, strutturali”.

  1. “dalla frenesia del correre e del fare” allo “stop forzato” che la pandemia ci ha buttato in faccia, con un secchio di acqua gelata!: un animale, tenuto forzatamente in gabbia, quando improvvisamente viene lasciato libero, agisce convulsamente e cerca di allontanarsi dal luogo in cui è stato prigioniero, ma, appena realizza che le condizioni di vita permangono in stile diverso, ma sempre prigioniero rimane, ecco che si “ferma” e cerca nuove vie di sopravvivenza. Ora è il momento della riflessione con stop che in progressione faranno intuire il come, dove , e quando e non ci deve fare ricadere nella frenesia di trovare soluzioni immediate. Dovremmo cambiare la mentalità e conseguentemente agire secondo logiche diverse da come abbiamo vissuto fino ad ora; il tempo, sarà un vero toccasana per tutta l’umanità, se lo si occuperà nel migliorare le relazioni umane, innanzitutto, ma anche nei metodi di scambi socio-economici che ci renderanno più liberi e più solidali, portando i rapporti meno conflittuali, in circolo virtuoso, più d’amore reso perché ricevuto! Il tempo sarà galantuomo…non ricadendo nella frenesia dell’immediato ed in qualsiasi circostanza in cui oggi ci troviamo a “vivere”… La pazienza dell’attesa, renderà ancora migliore il momento dell’accadere delle cose… La Pace, arriverà ai cuori tormentati e la forza donata, guiderà i nostri passi… La Luce oltrepasserà il buio, ne sono convinta! Buona vita!

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