Ri-partenze, sognando il futuro

Dopo il dramma, il nuovo. Forse

Ci siamo, finalmente. Dopo i mesi con i cancelli chiusi, con i ragazzi che guardavano all’interno il loro campo sognando di tornare a giocare presto una bella partita di calcio, di quelle che durano due ore, è tempo di ri-partire.

Ri-partire. Una partenza nuova

Sì, ri-partire, che non è semplicemente una ripresa di quanto abbiamo interrotto,

ma una nuova partenza, che potrebbe segnare una vita rinnovata per le nostre comunità,

se saremo capaci di cogliere le possibilità buone nascoste dietro ciò che al momento ci appare soltanto come necessario rispetto di protocolli vigenti.

Penso ad esempio alla necessità di avere più persone per aprire l’oratorio e non semplicemente una barista che apre, gestisce il bar e il cortile, correndo in modo forsennato per tutta la durata del suo turno di volontariato.

Certo, oggi più persone servono perché, oltre alla persona al bar, serve chi rileva la temperatura al cancello di ingresso, chi controlla il distanziamento sociale e l’utilizzo corretto degli strumenti di protezione individuale… ma non potremmo, insieme, sognare un futuro in cui, come comunità, ci prenderemo cura del nostro oratorio facendo sì che siano sempre presenti due o tre persone, così che i ragazzi, anche quando la vicenda COVID sarà finita, possano giocare in tranquillità, sapendo che c’è una comunità adulta che, con i suoi volontari, veglia su di loro?

Una catechesi da reinventare

Poi, un altro passaggio decisivo, la catechesi. Quando farla? Come farla? Ai miei catechisti ho detto, qualche mese fa, che il più grave errore che potevamo fare in questi mesi sarebbe stato quello di pensare la “catechesi del tempo COVID”, dell’emergenza, vivendo nell’attesa di tornare a vivere la forma di catechesi precedente. Sono partito in entrambe le mie parrocchie da una affermazione: da anni segnaliamo, ad ogni revisione di fine anno catechistico, che il modello attuale di catechesi palesa fatiche crescenti, ma ogni anno la scelta converge sull’eterna ripetizione di ciò che si è sempre fatto.

Ora, il tempo è propizio per fermarci e domandarci dove stiamo andando, cosa sia la catechesi, cosa significhi favorire l’incontro personale con il Signore oggi, quali vie lo Spirito suggerisce per un annuncio che non traduca stanchezza da parte di chi lo porta, ma la gioia di trasmettere ciò che innanzitutto ha reso la vita piena e bella a noi, ossia la relazione con il Crocifisso Risorto!

Da qui è nata la scelta di lavorare innanzitutto come catechisti, almeno fino al mese di novembre, sulla revisione dei percorsi e delle modalità della catechesi, a partire da una rilettura di senso di tutta l’esperienza catechistica delle comunità.

Ri-partire dalle famiglie

Ci sarà da riflettere non solo sui ragazzi, ma soprattutto sugli adulti. Ci siamo detti tante volte che rischiamo di essere, come catechisti, i delegati per la formazione religiosa da parte delle famiglie… che se non c’è convergenza tra quanto noi annunciamo e quanto i bambini vivono a casa rischiamo di “girare a vuoto”… Bene, possiamo pensare a far sì che, innanzitutto, il nostro annuncio della Buona Notizia dell’Amore di Dio raggiunga in primis gli adulti, almeno quelli che desiderano lasciarsi raggiungere?

Possiamo sognare di aiutare le famiglie perché quelle siano il luogo primario dell’annuncio cristiano, così da non dover più predisporre un calendario massacrante simil-scolastico di incontri, schiacciati dalla fatica di trovare catechisti nuovi per sostituire chi lascia? Possiamo far sì che le famiglie abbiano degli strumenti per vivere la fede nella loro vita, per poi incontrarle nella celebrazione comunitaria dell’Eucarestia?  

Possiamo sognare forme di catechesi diversa, che valorizzino la quotidianità della vita e l’ordinarietà dei suoi gesti, l’arte, la musica, i nostri luoghi di volontariato e di carità, mentre raccontiamo la storia della salvezza che trova in Gesù Cristo il suo centro?

Io continuo a vedere in questo tempo, nonostante le fatiche, un tempo provvidenziale per rileggere il senso del nostro fare e provare a osare qualcosa di più, con fede, speranza e un po’di coraggio.

Credo la grande questione sia questa: non limitarci alla gestione di un tempo di emergenza che dovrà necessariamente convivere con degli attesi imprevisti, ma sognare un futuro possibile da costruire insieme.

Non è forse questo il discernimento, il saper leggere i tempi che il Concilio ci ha suggerito 55 anni fa?