Culle vuote: com’è difficile essere genitori ai tempi del covid-19

La pandemia peggiora la crisi demografica: secondo le proiezioni nel 2020 meno di 400 mila nuovi nati in Italia

In un’intervista di qualche settimana fa il presidente nazionale dell’Istat, Giancarlo Blangiardo, ha dichiarato su uno dei più importanti quotidiani nazionali, che le proiezioni sulle nascite nel 2020 non prevedono nulla di buono. Il numero di nuovi nati dovrebbe inabissarsi sotto quota 400 mila – si leggeva su Il Corriere della sera del 2 settembre 2020. Un duro colpo alla già critica condizione della struttura demografica del Paese.
Sarebbe questo uno degli effetti secondari della pandemia. L’incertezza e l’instabilità economica e sociale avrebbe indotto, secondo l’autorevole demografo, le coppie a sospendere, a rimandare o – in alcuni casi – a rinunciare alla prospettiva di diventare genitori.
Strano. La logica umana richiederebbe una reazione diversa. Dopo alcuni eventi collettivi drammatici l’effetto dovrebbe essere differente, perché proiettarsi verso una nuova vita è un segno concreto di speranza, con il quale si tende a reagire di fronte alla morte. Si darebbe prova a sé stessi e agli altri di voler-poter ricominciare. Questa volta, nel nostro Paese, non accadrebbe. Invece manca l’energia. Quali sono le motivazioni?
Purtroppo l’epidemia accelera soltanto un fenomeno avviato da tempo, che ha ragioni molteplici. Gli italiani non trovano le condizioni e le convinzioni per essere fecondi. C’è – e si dovrebbe provare a porre rimedio con la proposta del Family act, se non è caduta nel dimenticatoio dei percorsi parlamentari – un tema strutturale che riguarda lo spazio ristretto dedicato alle giovani famiglie dalla nostra società: un welfare che non aiuta le mamme a rimanere nel mondo del lavoro, ma finisce malgrado tutto per allontanarle; una precarietà economica che rende incerte le previsioni del proprio futuro; una debolezza delle proposte di sostegno alla genitorialità presenti nelle comunità locali, perché è nel quartiere, nella zona, nella città che c’è bisogno di servizi accessibili ai bimbi, altrimenti voucher e assegni non andranno da nessuna parte. Lo dimostrano le province di Trento e Bolzano, le uniche dove l’indice di natalità non è in profondo rosso.
C’è però un tema culturale che è ben più profondo. Diventare mamma e diventare papà è un desiderio dei giovani? A parole rimane nelle loro aspirazioni, ma nelle loro azioni non sembrerebbe essere presente. Un profondo individualismo narcisista è diffuso nella nostra mentalità, e ci invita a occuparci di noi stessi. Questo è accompagnato dal valore del lavoro che è diventato un’esigenza capitale: consapevoli delle difficoltà si è disposti a sacrificare tutto da una parte per ottenere la propria legittima autonomia, dall’altra per raggiungere i propri sogni professionali. Infine c’è una questione di responsabilità: la nostra società è ancora capace di educare a prendersi cura dell’altro? Se donarsi all’altro sarà considerato solo un sacrificio e non un valore, se diventare mamme o papà sarà valutata tra le opzioni di serie B per la propria vita, non ci saranno sistemi di welfare che terranno per invertire il trend.