La resurrezione del figlio della vedova di Nain: un’icona nel segno della tenerezza

“Ora avvertiamo la necessità di individuare luci e segnali; di non dividerci, di condividere la meta; di mettere a frutto l’esperienza accumulata, di rallentare, di verificare la solidità della terra su cui si posa il piede, di non perdere la calma, di pregare, di non sprecare il patrimonio di dolore e di amore che abbiamo accumulato. Abbiamo bisogno di esercitare la pazienza come virtù. Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte”

(Dalla lettera pastorale “Servire la vita dove la vita accade” del vescovo di Bergamo, monsignor Francesco Beschi)

Tutto il Vangelo – spiega il vescovo nella lettera pastorale “Servire la vita dove la vita accade” – e le testimonianze apostoliche narrano in fondo il mandato di stare nel mondo a servizio degli altri. “Ho individuato – scrive – la breve testimonianza evangelica della resurrezione del figlio della vedova di Nain perché mi sembra rappresenti in maniera essenziale il servizio evangelico alla vita dell’uomo”. L’episodio è rappresentato in modo molto raffinato dallo scultore Andrea Fantoni nella predella del Confessionale che si può ammirare nella Basilica di Santa Maria Maggiore in Città Alta. Già il luogo in cui è collocata parla di quella conversione a cui allude in diversi punti la lettera pastorale.

È un episodio che parla della tenerezza di Dio, e proprio in questi giorni Papa Francesco ha detto nella sua udienza generale “Dobbiamo metterci a lavorare con urgenza per generare buone politiche, disegnare sistemi di organizzazione sociale in cui si premi la partecipazione, la cura e la generosità, piuttosto che l’indifferenza, lo sfruttamento e gli interessi particolari”, e lancia l’appello:

“Dobbiamo andare avanti con tenerezza”

Nell’episodio evangelico una vedova di una città chiamata Nain ha perso l’unico figlio e lo piange circondata da tanta gente. Gesù però “preso da grande compassione” con un tocco sulla bara lo risveglia e glielo restituisce.

Toccare è necessario, spiega il vescovo, è il segno concreto della vicinanza: “Quel tocco penetra nella realtà di sconforto e disperazione. È il tocco del divino, che passa anche attraverso l’autentico amore umano e apre spazi impensabili di libertà, dignità, speranza, vita nuova e piena. L’efficacia di questo gesto di Gesù è incalcolabile. Esso ci ricorda che anche un segno di vicinanza, semplice ma concreto, può suscitare forze di resurrezione”.

Il messaggio dell’icona è limpido e molto efficace: “Alzati – prosegue il vescovo – è un comando che vince la morte e chiama alla vita. Rialzarsi non è una scelta, una fatica, un coraggio, ma è prima di tutto un dono, un dono interiore. Questa parola risuona dentro di noi, a partire soprattutto da chi la pronuncia o l’ha pronunciata per noi. Rialzarsi non è solo un atto di volontà ma un atto di fede”.

Quindi per Gesù e per i suoi discepoli “Servire la Vita dove la vita accade” è “il dono di una vita nuova”: partendo da questa icona ogni comunità, gruppo, associazione della nostra diocesi lungo quest’anno pastorale potrà impegnarsi a trovare la propria strada per incarnarlo.