“Servire la vita dove la vita accade”: la lettera pastorale in quattro parole chiave

È stata presentata nei giorni scorsi all’assemblea del clero e all’assemblea diocesana “Servire la vita dove la vita accade” la lettera pastorale del vescovo di Bergamo monsignor Francesco Beschi, una guida alla riflessione e all’azione per i prossimi mesi. Qui ne introduciamo i temi principali a partire da quattro parole chiave.

#conversione

L’abbiamo sentito risuonare nelle parole di Papa Francesco. “Peggio di questa crisi c’è soltanto il dramma di sprecarla“. Crisi è una parola evocativa, ha a che fare con il greco, con il verbo krino che significa giudicare. Il tempo della pandemia e del lockdown sono stati sicuramente un tempo difficile, ma sarebbe poco saggio l’atteggiamento refrattario e impermeabile di chi non ne fa un’occasione per giudicare la propria vita. C’è una conversione personale e pastorale dentro a questa crisi, un cambiamento di passo e di mentalità che attende ciascuno e la Chiesa intera, qualcosa che chiama in causa la nostra capacità di giudicare e di rimettere in fila le priorità dell’esistere. La pandemia, nonostante tutto, porta dentro una chiamata di vita che non si può ignorare.

#corpo

Il cristianesimo è la religione del corpo, non solo dell’anima. Del corpo fatto di gesti, attenzioni, mani tese e passi affrettati verso gli ultimi. Del corpo ecclesiale fatto di celebrazioni, oratori, catechesi e comunità cristiana. Di tutto questo sembra essere scampato ben poco: il corpo ecclesiale, come quello fisico per molti, è stato martoriato. Ma non sono venute meno le occasioni di Vangelo, la possibilità di tenere vivo il corpo grazie all’azione e alla fantasia dello Spirito. A volte in modo maldestro, altre volte in modo insufficiente, ma certamente non è mancato il desiderio di non perdere il nostro corpo ecclesiale dentro cui si rende in qualche modo più visibile il corpo del Risorto. Anche se facciamo fatica a viverla, abbiamo sentito la bellezza di essere comunità, la profondità del legame che ci rende solidali nel comune destino umano. Desideriamo ancora ciò che facciamo fatica ad alimentare, ma che non vorremmo perdere e a cui non possiamo rinunciare.

#missione

Il vettore che traccia la direzione del cambiamento è quello della missione. Come Chiesa siamo stati bravi a creare dei recinti perché la gente venisse e lì dentro accadessero delle cose di cui siamo diventati i custodi: oratori, catechismo, riunioni, incontri… Ma questa pastorale che funziona a chiamata ha, suo malgrado, indebolito la nostra capacità di incontrare realmente, soprattutto chi rimane fuori, chi fatica ad esserci per mille motivi, chi non la pensa come noi. E ha rischiato di chiuderci nei nostri piccoli successi e nel cercare di non perdere chi ci stava. Ma il vangelo spinge l’acceleratore su altre logiche, quelle santamente incoscienti che spingono a uscire e non a trattenere, a incontrare davvero e non a rinchiudersi, a inseguire i guizzi della vita vera lì dove accade – nelle case, nelle scuole, negli ospedali, nei desideri di vita buona, nelle lacrime della gente – e non aspettare imbronciati che torni ad accadere per forza nei nostri recinti. Non si tratta di buttare via ciò che ci appartiene nel profondo, anzi: si tratta di pensare che non lo “conserveremo” rinnovato se non a prezzo di occuparci davvero di ciò che di più profondo ci riguarda, cioè la vita degli uomini e delle donne del nostro tempo.

#essenzialità

Il ritorno all’essenziale non è la spogliazione della ricchezza di espressioni di fede e di carità che caratterizza la Chiesa di Bergamo: questo sarebbe solo un impoverimento rinunciatario che sfronda ciò che ci piace di meno o ciò che ci costa di più. L’essenziale non è il minimo sindacale, l’essenza del cristianesimo nel senso del concentrato, della sua versione più sostenibile e leggera possibile; è piuttosto ciò di cui non-possiamo-stare-senza, e a volte si tratta di un qualcosa di molto ricco e articolato. Occorre riflettere e mettere in fila ciò che anima e tiene viva la nostra comunità cristiana locale, per arrivare anche a qualche scelta di prospettiva. La riscoperta della preghiera personale e in famiglia, l’esercizio della carità, il dono della speranza e il senso di comunione, che durante il lockdown hanno preso nuova linfa, non sono da sprecare: il rinnovamento della fede passa dentro la nostra capacità di continuare a farci carico di queste esperienze, perché sono sorgive. Più la Chiesa le alimenta, più esse sono capaci di alimentarla.