“Il primato dello stile comunionale trova una sua significativa espressione negli organismi di partecipazione, in primo luogo nel consiglio pastorale parrocchiale. Il consiglio pastorale parrocchiale va inteso come luogo di riflessione pastorale e di coordinamento delle attività e delle varie realtà che danno forma e forza alla vita parrocchiale” (37° Sinodo della Chiesa di Bergamo, 2007).
Nel tempo che stiamo vivendo, la presenza nella Chiesa dei Consigli, in primis quello pastorale, assume particolare importanza. Da qui vorrei partire per restituire alcune riflessioni personali inerenti lo stile e la struttura che, dal mio punto di vista, dovrebbero caratterizzare queste esperienze di Chiesa.
Che cosa sta dietro i termini “consiglio pastorale”
Si tratta, innanzitutto, di un consiglio pastorale parrocchiale (da ora, CPP): bene, chi siede a questo consiglio deve essere messo in condizione di sapere cosa la Chiesa e la teologia intendono con questo termine. È già un passaggio decisivo, questo, perché il consiglio non venga inteso da chi vi partecipa come una sorta di riunione dove “vado a dire quello che penso sulla base di quanto propongono”.
Ora, che certamente ciascuno nel CPP esprima il proprio parere mi sembra doveroso, ma quanto ciascuno esprime deve essere frutto di una riflessione che abbia connotazione pastorale, pena la presa di posizione, anche su questioni importanti e decisive per la vita della comunità, sulla sola base del “secondo me”, del gradimento o del rifiuto personale dinanzi a una prospettiva, della propria visione del mondo, della nostalgia del passato e, non ultimo, della sintonia o meno con i sacerdoti che guidano la comunità. Ciò implica, a mio parere, che i sacerdoti, mentre lavorano con il loro Consiglio, abbiano cura della formazione pastorale dello stesso, che non può evitare di incrociare la lettura e la spiegazione di documenti della Chiesa universale, del Concilio, del magistero del Vescovo, delle lettere pastorali ecc.
I membri dei consigli pastorali
Poi, una nota sui membri. Ogni cristiano della parrocchia, eccetto rari casi che qui non discuto, può divenire membro del CPP: giustissimo! Tuttavia, occorre evitare che a far parte del Consiglio sia semplicemente chi ha molti incarichi in parrocchia o vi è molto impegnato, come se questo in automatico garantisse la competenza pastorale: ben venga la presenza di chi, nella discrezione e con umiltà, lavora alacremente per il bene della comunità, ma non devono mancare anche voci meno coinvolte da un punto di vista pratico, ma capaci di arricchire la riflessione con spunti fecondi, magari frutto della sapienza acquisita per via della professione esercitata.
Poi, un aspetto che mi sta a cuore: una Chiesa giovane non può far mancare una buona partecipazione dei giovani anche al CPP e non solo nelle questioni inerenti l’Oratorio e la Pastorale Giovanile! Io ritengo che anche questo sia un passaggio decisivo. Non possono esserci nel CPP solo uno o due giovani, presenti più per acquietare le coscienze dei preti (“almeno c’è anche qualcuno di loro nel Consiglio”) che per altro: no,
i giovani devono esserci e contribuire, con la freschezza, la spontaneità e la grinta che li caratterizzano, a scrivere il futuro della parrocchia, senza aver paura di essere zittiti alla prima manifestazione di dissenso nei confronti di chi ha almeno il doppio dei loro anni.
Certo, accanto al giovane occorrono persone che abbiano acquisito saggezza per via esperienziale, per la lunga presenza nella vita della comunità, decisive per far sì che quanto si riflette e si decide si inscriva bene nella storia della specifica comunità; tuttavia, anche i giovani sanno essere saggi, spesso molto di più di chi ha sessanta, settant’anni, perché la carta d’identità da sola non è garanzia di nulla.
Capaci di lasciare il posto ad altri
Un ultimo spunto ho premura di condividere, e chi mi conosce sa che costituisce una costante del mio pensiero: dopo che si è stati membri di un consiglio, massimo per un paio di mandati, è bene lasciare che persone nuove abbiano la possibilità di intervenire. Si vedono ancora casi di persone presenti nei consigli per molto tempo “saltare” un mandato (solitamente di cinque anni), non raramente nella speranza che vengano trasferiti il parroco o il curato con i quali non si va esattamente “d’amore e d’accordo”, per poi tentare la riconquista dello scranno. Ora, certa mentalità di taluno (o taluna: nessuna distinzione di sesso…), secondo la quale si giunge a pensare di dover far parte di qualche consiglio o di qualche organismo decisionale “ex hoc nunc et usque in saeculum”, come non vi fosse alcun altro in grado di farlo, la trovo non solo poco opportuna, ma anche poco cristiana.
In una comunità, è necessario che in molti si diano da fare, anche come membri dei consigli, perché non manchino mai prospettive, idee, proposte nuove per il bene di tutti, evitando che la parrocchia “ristagni” per via dell’eterno ritorno delle stesse persone con le stesse idee (in fondo, i preti nelle parrocchie dopo qualche anno vengono trasferiti per questo..), che rischiano, a lungo andare, di togliere stimoli e voglia di spendersi nella Chiesa a chi vorrebbe qualcosa di diverso, ma comunque pastoralmente significativo. Sono, queste, soltanto alcune idee e considerazioni personali, aperte alla critica e al dibattito. Una cosa è certa: anche su questi temi sarà necessario avere il coraggio di cercare nuove vie.. e nuove persone. Ce l’abbiamo?