Padre Lino Pedercini, religioso e ingegnere: “Per 40 anni ho portato il Vangelo nelle periferie”

Fare della propria vita uno strumento per annunciare il Vangelo in giro per il mondo. È la storia di padre Lino Pedercini, missionario bergamasco del Pime che, in quarant’anni di impegno all’estero, ha incarnato l’invito del profeta Geremia: «Ascoltate popoli la parola del Signore, e annunziatela alle isole più lontane». Dall’America Latina all’Africa, fino all’Oceania.
Classe ’38 di San Giovanni Bianco, padre Lino entra nel Pime nel 1958. La sua prima destinazione avrebbe dovuto essere l’India, ma «per andarci serviva una qualifica professionale. Così ho iniziato il percorso di studi al Politecnico di Milano». Nel 1965, l’anno dopo l’ordinazione sacerdotale, padre Lino è ufficialmente un ingegnere civile. Potrebbe partire, ma nel frattempo il Governo indiano vara una nuova legge, opposta a quella precedente. «Rimasi a Milano per 13 anni, adempiendo diversi servizi interni all’Istituto».
Fino al 1978, quando i superiori lo assegnano a Jardim, località nel centro-est del Brasile. «Era una diocesi nuova. E bisognava darsi da fare. Sfruttando le mie capacità di ingegnere, ho contribuito alla costruzione di diverse strutture, utili per fini religiosi, educativi e sociali. Sul piano della pastorale, ci affidavamo a dei catechisti locali, che formavamo affinché potessero evangelizzare le genti assieme a noi missionari: le distanze, infatti, erano significative ed era difficile raggiungere da soli, senza alcun aiuto esterno, tutte le fazende della diocesi, distanti anche 200 km tra di loro».
Nel 1985, terminato il suo mandato in Brasile, padre Lino passa un anno a Oxford «per lo studio della lingua inglese», prima di partire per un’altra ex colonia portoghese: la Guinea Bissau, nell’Africa occidentale. «A Catiò, nella regione di Tombali, mi impegnai sostanzialmente su due fronti. Da una parte, l’apostolato. Dall’altra, l’edificazione di strutture utili allo sviluppo sociale di una realtà estremamente povera. Ricordo i 7 anni in Guinea Bissau per la grande religiosità dei locali: le funzioni erano sempre molto partecipate, con canti, balli e musica». 
Nel 1991, una nuova chiamata. Per l’Oceania. «La Papua Nuova Guinea era un sogno per me:  quel Paese così lontano aveva una valenza simbolica enorme, visto che il primo martire del Pime, il beato Giovanni Mazzucconi, era stato ucciso proprio lì, a Woodlark, nel 1855. Era una terra da cui ero attratto». E in cui, dal 1991 al 2017, padre Lino opera per quasi trent’anni. Sull’isola Goodenough (nella diocesi di Alotau), su quella di Kiriwina (nell’arcipelago di atolli corallini delle Trobriand) e, infine, a Kurada (sull’isola di Normanby). «Difficoltà di comunicazione, territori inaccessibili e ostilità da parte di molti gruppi indigeni, rimasti a lungo isolati dal resto del mondo, sono solo alcune delle problematiche che ho conosciuto in Papua Nuova Guinea. Lo spiritismo alla base di diversi culti tradizionali lascia ancora tracce nella coscienza stessa dei convertiti al cristianesimo e l’evangelizzazione in Oceania resta un’incredibile sfida per noi missionari. La crescita delle comunità cristiane è in ogni caso positiva, ed il tasso di conversioni e vocazioni è anch’esso buono: al momento, la nostra battaglia principale riguarda l’istruzione, perché, a fronte di un alto indice di natalità, sono comunque ancora troppo pochi i bambini che riescono ad andare a scuola».
Tornato in Italia nel 2017, padre Lino si trova nella casa del Pime di Sotto il Monte, dove accoglie i pellegrini in visita ai luoghi natali di papa Giovanni XXIII. «L’esperienza missionaria mi ha lasciato tanto – conclude padre Lino -. Sono stati quarant’anni che mi hanno arricchito nella fede e nell’animo. Ho incontrato persone che sono rivelate essere veri e propri maestri di Provvidenza. E, proprio per questo, sono fermamente convinto che il futuro della Chiesa passi proprio da tali realtà geo-politicamente più marginali».