“Poer marter”

Martiri di ieri e di oggi

“Poer marter”, “povero martire” è un’espressione in dialetto bergamasco, utilizzata soprattutto per quelle persone alle quali capita qualcosa di drammatico all’improvviso, sia questo un lutto, una malattia, un problema in famiglia o nell’attività lavorativa, ecc.

Martiri sconosciuti

Questa espressione è stata fondamentale per me, qualche giorno fa. Stavo cercando spunti per l’omelia nella Messa dei santi patroni protettori della comunità di Grumello del Monte, tali santi Iosesse, Traiano e Barnaclate, che si celebra la vigilia della Festa della Madonna del Voto. Cosa sappiamo di loro? Concretamente nulla, se non che le loro ossa, prelevate da una catacomba di Roma, vennero donate da un sacerdote grumellese alla comunità nel 1646. Nulla di più.

Angeli con i simboli del martirio

Nell’omelia volevo parlare alla mia gente, segnata dalla fatica e dalle incertezza di questo tempo, che prova ancora dolore per i tanti fedeli morti nel tempo in cui la pandemia era letale per alcune categorie di persone. Nulla, buio totale, non mi veniva in mente nulla. Mentre mi stavo rassegnando a una riflessione che avrebbe cercato di dire qualcosa sul significato del martirio nella vita della Chiesa, ecco che, d’improvviso, a forza di pensare al termine “martire”, mi viene in mente l’espressione “poer marter!”. Da qui è nata la mia omelia per la mia gente.

Il ”martirio” in tempi di Covid

Mi sono domandato il senso di questa espressione, giungendo alla conclusione che essa non è soltanto un appellativo bonario che esprime dispiacere per una persona colpita da una situazione grave, bensì molto, ma molto di più! Infatti, non ci si ferma al “poer”, “povero, poveretto”, espressione che restituisce  rincrescimento, perché subito si aggiunge la parola “marter”, “martire”. Ma perché martire?

Il simbolo tradizionale del martirio:
la palma

È chiaro che se limitiamo il martirio alla morte cruenta per la fede, che certamente è la forma suprema di testimonianza, non capiamo il perché di questa espressione. Se, invece, facciamo riferimento all’etimologia del termine “martire”, allora emerge che esso fa riferimento alla testimonianza, alla testimonianza della fede. Il martire è un testimone, capace di decentrarsi fino a mettere l’altro (e l’altro è figura di Cristo) al centro, fino a dare la vita per vivere la dedizione ai fratelli, nel nome di Gesù Cristo.

E tanti altri “martiri”

E allora ho pensato ad alcune di quelle persone, nei mesi scorsi, che sono morte sole, pregando. Ho pensato a uomini buoni della nostra comunità, che telefonarono a casa, poche ore prima di morire, non per dire delle loro crescenti sofferenze, ma per chiedere come stesse la moglie, la famiglia, le persone care. Ho pensato e penso a chi ancora oggi vive il martirio quotidiano di stare accanto a una persona ammalata o che deve affrontare cure pesanti, sia essa un genitore, un fratello, un figlio o una figlia. Ho pensato e penso a chi, per un problema in famiglia, magari una separazione dolorosa dei figli, nella discrezione cerca di portare pace e si mette a disposizione, donando tutto, perché almeno i nipotini vivano più serenamente possibile la situazione famigliare faticosa.

Il “martirio” moderno della vicinanza

Sono forse, queste, testimonianze di fede di poco conto? Non sono forme di martirio che quotidianamente abitano le nostre comunità? E, soprattutto, non sono segno della vicinanza di Dio che sostiene e dona forza di affrontare il male con coraggio? Io credo di sì, credo che questi uomini e queste donne siano il segno tangibile di come, anche nelle disgrazie, è presente la Grazia di Dio. E allora “poer marter” non è lo sfortunato, ma è colui, colei che, con fede, dona la vita, tutti i giorni.