“Ti Bergamo” alla Gamec: l’arte riflette sul senso di comunità

«Non una mostra su Arte e Covid, bensì una riflessione profonda sul senso di comunità». Lorenzo Giusti, direttore della Galleria d’arte moderna e contemporanea di Bergamo (GAMeC), non usa giri di parole per sgomberare il campo da qualsiasi possibile fraintendimento: l’esposizione Ti Bergamo (che trae il titolo dal disegno realizzato dall’artista rumeno Dan Perjovschi, per sostenere la campagna di raccolta fondi in favore dell’ospedale Papa Giovanni XXIII) è più di una semplice retrospettiva sui drammatici eventi che, durante i mesi scorsi, hanno colpito, in modo tragico, il capoluogo orobico e la sua provincia. «Ci preme che il pubblico comprenda come il fine della mostra, inaugurata il primo ottobre, non sia presentare, se così si può dire, un determinato evento o un preciso momento storico – spiega Lorenzo Giusti –, ma, al contrario, porre le basi per un’analisi di più ampio respiro.

Il focus di Ti Bergamo non è la pandemia e la crisi sanitaria, ma il legame, l’unione e i valori di solidarietà che da sempre animano Bergamo e la sua comunità. Una comunità che, proprio nel corso della primavera passata, si è fatta ancora più solidale, viva e grande, anche grazie a tutti quei soggetti che con essa hanno interagito in forme diverse. Penso, ovviamente, ai tanti artisti (non necessariamente nati o attivi in bergamasca) che hanno saputo dar vita a linguaggi comunicativi inediti, all’insegna di creatività, coesione e inclusione, ma anche alla gente comune che continua a vivere e a sperare, impegnata a immaginare nuove modalità di convivenza». Un’idea, quella di Ti Bergamo, che mai avrebbe visto la luce senza l’esperienza di Radio GAMeC, che, nata durante il periodo del lockdown, si era impegnata a mandare in onda incontri e dibattiti riguardanti arte e cultura. «In una sala del museo, interamente dedicata a Radio GAMeC, è possibile riascoltare i podcast delle 66 puntate realizzate in diretta Instagram, con voci italiane e internazionali provenienti dai più diversi ambiti della cultura, della ricerca, dello spettacolo e dello sport – racconta Giusti –. Grazie a Radio GAMeC, siamo entrati in contatto con tante realtà con cui mai, fino ad allora, avevamo collaborato. Durante l’emergenza, abbiamo infatti deciso di uscire dalla nostra nicchia, per aprirci al mondo esterno e per intessere un dialogo non solo con mondi artistici a noi affini, ma anche con l’associazionismo del territorio, con tutti coloro che si stavano sforzando di tenere saldi i legami all’interno della comunità. Il 17 ottobre, Radio GAMeC, grazie alla collaborazione con Radio Popolare, è approdata in FM, trasformandosi in Radio GAMeC PopUp».

L’esposizione, che sta registrando un’ottima affluenza (ad ora, più di duemila i visitatori) e che rimarrà aperta al pubblico fino al 14 febbraio, si articola in due sezioni: la prima presenta una serie di iniziative legate al mezzo stampa e comprende una raccolta delle edizioni de L’Eco di Bergamo e alcuni disegni sulla pandemia realizzati da Dan Perjovschi, fra cui quelli rilanciati sui social del MoMA di New York, durante il primo lockdown.

Completano la sezione le vignette del celebre disegnatore Bruno Bozzetto, il progetto dell’illustratore Emiliano Ponzi per il Washington Post (che narra la vita quotidiana di un milanese in quarantena), il servizio di Davide Agazzi (giornalista di BergamoNews), andato in onda lo scorso aprile su Rai 2, all’interno del programma Mizar e il docufilm Noi, Bergamo. Architettura di una rinascita, realizzato dalla startup culturale Squareworld Studio; la seconda, invece, coinvolge alcuni artisti bergamaschi di generazioni differenti, tra i quali Tea Andreoletti, Filippo Berta, Mariella Bettineschi, Mario Cresci, Gianriccardo Piccoli e Andrea Mastrovito, che presenta il suo ultimo film (I Am Not Legend), dedicato alla sua città natale e destinato alla collezione del Museo del Novecento e del Contemporaneo di Palazzo Fabroni, a Pistoia, in seguito all’assegnazione della sesta edizione dell’Italian Council. Spazio anche per il duo artistico MASBEDO e per due opere appositamente prodotte da GAMeC e In Between Art Film (la casa di produzione cinematografica fondata da Beatrice Bulgari). «Il progetto del duo trae ispirazione dal capolavoro di Pellizza da Volpedo, Ricordo di un dolore – dice Giusti –, che fa parte della collezione dell’Accademia Carrara». L’olio su tela (raffigurante una giovane donna, nel momento in cui apprende la tragica notizia di un lutto) diventa immagine emblematica della sofferenza personale, che entra in dialogo con un video (intitolato, anch’esso, Ricordo di un dolore), che mostra l’ascesa silenziosa di un uomo sulla vetta della Presolana. «La tela e l’azione riuniscono ed esprimono la comunione tra il dolore individuale e il dolore collettivo di una valle e della città, attraverso solitudine e sublimazione – spiega Giusti –. La proiezione del video, lirico e iconico, fa da eco al documentario Condivisione di un ricordo, che presenta l’operazione che ha interessato Bergamo e i comuni della Val Seriana durante l’estate, in cui numerosi manifesti raffiguranti il dipinto di Pellizza da Volpedo sono stati affissi, in vari paesi, grazie al coinvolgimento delle persone incontrate dagli artisti. Il documentario è, in un certo senso, straniante, poiché crea forti contrasti fra l’antico dipinto, il paesaggio e le persone (di ogni età ed estrazione sociale) che interagiscono con la riproduzione del quadro. È estremamente toccante». Sarà presente, inoltre, una grande installazione che raccoglie le oltre 200 fotografie dell’iniziativa 100 fotografi per Bergamo, progetto lanciato, lo scorso marzo, dal community magazine Perimetro e sviluppato in collaborazione con l’associazione culturale Linke e il contributo della onlus LiveinSlums, per finanziare, anche in questo caso, i reparti di Rianimazione e Terapia intensiva dell’ospedale Papa Giovanni XXIII.

Numerosi i fotografi, italiani e non, coinvolti, fra cui Jacopo Benassi, Giovanna Silva e Oliviero Toscani. Ad accompagnare l’esposizione fotografica, la registrazione del concerto della cantante israeliana Noa, tenutosi ad aprile grazie alla sinergia fra il Bergamo Jazz Festival (organizzato dalla Fondazione Teatro Donizetti) e I-Jazz. Ma non è tutto. «Abbiamo trasformato una sala del museo in un’aula scolastica, cercando di dare nuova vita ai banchi dismessi dalle scuole in questi ultimi mesi – illustra Giusti –. Una scelta metaforica e, allo stesso tempo, concreta, volta a raccontare la GAMeC come luogo di formazione permanente. C’era la volontà, infatti, di accogliere le classi del territorio, invitando gli insegnanti ad appropriarsi delle opere esposte, per declinarle sui contenuti delle loro discipline, in autonomia o con il supporto dei Servizi educativi del museo, ma l’ultimo Dpcm ha impedito le visite e le gite extra scolastiche. Peccato che ciò non possa essere vissuto dagli studenti, anche perché il tutto infonde una carica impressionante e vigorosa: i classici banchi, dalla struttura in metallo e il piano in formica, assurgono a vera e propria installazione, mentre, in fondo all’aula, campeggia una lavagna larga tre metri con il motto I care, quello di don Milani. Del resto, tutta Ti Bergamo desidera trasmettere emozioni ben precise e, soprattutto, suggerire quel cortocircuito emotivo innescato dalla convergenza di eventi drammatici e gesti di altruismo, scaturiti durante la fase più acuta della crisi. Un sentire dilaniato dal pensiero, fragile e negativo, della possibilità della morte e, allo stesso tempo, dalla tenace volontà di vivere, di interrogarsi, di fare dell’elaborazione del lutto una spinta creativa, performante. Questo è quel che vuole evocare la mostra». Una mostra che sa farsi testimone della trasformazione avvenuta all’interno delle arti visive. «Negli ultimi decenni, le arti visive sono andate incontro a un marcato concettualismo – riflette Giusti –. Quello che abbiamo vissuto ha sdoganato la possibilità del sentimento come strumento di narrazione. Il sentimento, da cui, progressivamente, si sono prese le distanze, è tornato a essere un’opzione.

Si avverte il bisogno di recuperare le emozioni e di restituirle. Certo, questo mai è venuto meno in forme d’arte dal linguaggio più popolare: penso, per esempio, al cinema o alla musica, dove l’emozione è sempre stata un grande motore. Le arti visive, al contrario, si sono radicalizzate, puntando più all’interpretazione, all’analisi e diventando, così, un po’ troppo algide. Ne sono convinto: l’arte contemporanea è troppo “cervellotica”: rischia di farsi sfuggire altri aspetti importanti della vita. Aspetti che, esteticamente parlando, possono essere altamente propulsivi. Quest’inversione di tendenza non può che essere quindi positiva». Un mutamento che ha a che fare con l’essenza stessa dell’Arte. «L’Arte genera spesso tormento e ossessione in chi la pratica – afferma Giusti –, non è confortante né, tanto meno, terapeutica. L’Arte, che devia sempre dalla strada maestra, è uno sforzo creativo ed interpretativo del tempo in cui si colloca e non lenisce il dolore. Può però aiutare a trovare dei percorsi di senso e donare consolazione a chi la fruisce. L’Arte non cambierà il mondo, ma, al massimo, potrà rinnovare sé stessa, permettendoci, così, di modificare i nostri punti di vista. E avere molteplici punti di vista sulle cose è l’unico modo per avvicinarsi alla verità». Una speranza che si fa auspicio per il futuro: «Mi auguro che le promesse che ci siamo fatti quando eravamo con l’acqua alla gola (come rivedere i nostri stili di vita e le abitudini politiche, sociali e culturali) vengano mantenute. Alcune sono molto impegnative, ma bisogna che ognuno di noi comprenda appieno come le grandi rivoluzioni si compiano un passo alla volta. Per quanto riguarda la GAMeC, invece, mi aspetto che la sua dimensione civica non venga meno, in modo da rispettare, con entusiasmo e coerenza, quei principi, all’insegna della coesione sociale, che, durante il lockdown, abbiamo messo ben a fuoco e fatto nostri».