I frati Cappuccini al Cimitero di Bergamo: “Fare i conti con il dolore per ripartire”

Foto di Giovanni Diffidenti, riproduzione riservata

Già prima dell’apertura dei cancelli del cimitero civico, alle 8, una fila di persone è in attesa di entrare. Una fila che, soprattutto tra fine ottobre e inizi novembre, diviene una foltissima schiera che raggiunge la tomba dei propri cari nei vasti spazi della «città dei morti», che pare un giardino fiorito. Quasi tutti, perché tanti hanno già compiuto questa opera di omaggio-ricordo, tengono in mano un mazzo di fiori o un vaso di crisantemi, testimoniando un legame ininterrotto con i propri cari. «Il cimitero civico è sempre molto frequentato durante l’anno, ma in questo periodo le visite aumentano notevolmente — racconta il Cappuccino fra Marco Bergamelli, bergamasco di Alzano, superiore della comunità interna —. Così pure lievita la frequenza alle Messe e alle Confessioni nella chiesa». I Cappuccini sono un punto di riferimento. Per la stima con cui erano circondati, furono chiamati dal Comune di Bergamo nel 1904, anno dell’inaugurazione del cimitero, come cappellani e, per alcuni anni, anche come ispettori, stilando un’apposita convenzione. Fino agli anni Sessanta la Messa era celebrata in una cappella del famedio. Ormai insufficiente, fu costruita l’attuale chiesa di Ognissanti, la cui prima pietra venne benedetta il 1° novembre 1962 dal vescovo Giuseppe Piazzi. Venne consacrata dal successore Clemente Gaddi il 1° maggio 1965 e magnificamente decorata dai mosaici di Trento Longaretti e dalla Via Crucis di Piero Bolis.

«Durante i mesi più terribili della pandemia, fra marzo e aprile — ricorda fra Bergamelli — questa chiesa ha accolto ben 600 bare in attesa. Allora i funerali pubblici erano sospesi e io ho accompagnato alla sepoltura tanti defunti, con accanto soltanto pochissimi congiunti. Tanti i momenti di strazio e lacrime. Io tenevo un pensiero di fede, conforto, consolazione e speranza. Inoltre ho celebrato non pochi funeralini, per coloro che non avevano un nome o senza urna». Sono sempre tante le persone che fanno un’offerta per le Messe di suffragio. Quest’anno si sono aggiunti i famigliari che hanno avuto un defunto per covid. «Parlando con me e con il confratello che mi aiuta — prosegue il frate Cappuccino — i parenti cercano uno sguardo amico, un conforto, una spinta e soprattutto un ascolto. In questi momenti una parola amica è molto apprezzata. E invito anche a guardare avanti e a far tesoro della vita, della fede e degli insegnamenti del defunto. Anche tutto questo è ripartenza. E lo ripeto spesse volte: abbiamo bisogno di ripartire senza dimenticare». I fedeli confidano ai Cappuccini i loro problemi, come salute, difficoltà economiche, dispiaceri. «Negli ultimi anni raccolgo sempre più lo sconforto di genitori e nonni che si autoaccusano di essere stati incapaci di comunicare la fede a figli e nipoti». Nella chiesa del cimitero civico le Messe feriali sono alle 8,15 e 15,30, nei giorni festivi alle 9, 10,30, 15,30 e 17.

Le persone pongono un fiore sulla tomba dei propri cari. C’è chi prega a bassa voce, oppure resta in un silenzio che parla di ricordi di vita, di affetti e anche di tragedie. «L’anno scorso — racconta un cinquantenne residente nell’hinterland — mio fratello si è suicidato dopo gli strascichi del divorzio e la difficoltà nel rapporto con i figli. Tutti fatti che gli avevano procurato disturbi cardiaci e psicologici. La sua fine ha sconvolto tutti». «Per oltre vent’anni, ogni giorno, sono venuta a pregare sulla tomba di mio marito, che da tre anni riposa negli ossari — confida una donna di 87 anni, residente in città —. In silenzio gli chiedevo di aiutarmi per gravi dispiaceri e talvolta anche di portarmi con lui. Ora ho problemi di salute e le mie visite sono diventate settimanali». «Porto un fiore sulla tomba di mio marito, morto per covid — aggiunge una sessantenne della provincia —. Non ho potuto partecipare alla sepoltura e ho potuto visitare la tomba soltanto dopo la riapertura in maggio. Ho un’attività in proprio con i miei figli e questo mi dà la forza per continuare».

C’è anche chi entra nel famedio per portare un fiore e pregare sulla tomba del vescovo Gaetano Camillo Guindani, che diede il via alla fondazione de L’Eco di Bergamo ancor prima di entrare in diocesi nel 1880. La giunta comunale, il 26 maggio 1904, lo invitò a benedire il cimitero civico. E lui espresse la volontà di esservi sepolto. Morì cinque mesi dopo. Sono trascorsi ben 116 anni dalla morte, eppure sulla sua tomba ci sono sempre fiori e anche cuoricini di grazie ricevute. Come affermò anni fa l’allora parroco del Duomo monsignor Giovanni Carnazzi, un fiore sulla tomba di questo vescovo è un segno di memoria e preghiera dei bergamaschi per tutti i vescovi di Bergamo defunti.

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