Libro: «Don Achille Belotti. Servire con gioia: stile della missione», di mons. Arturo Bellini

«Don Achille è stato un prete con in mano il bastone del pellegrino e la bisaccia del povero sulle spalle. Sì, perché è stato prete in parrocchie povere e difficili, fra gli emigranti e ha servito fedelmente anche i vescovi diocesani».

Sono le parole di monsignor Arturo Bellini, vicario interparrocchiale di Nembro, che ha al suo attivo numerose biografie, nell’incontro di presentazione del libro, di cui è autore, «Don Achille Belotti. Servire con gioia: stile della missione» (pp. 224, prefazione del vescovo Francesco Beschi), che si è svolto nella comunità del Paradiso. «Voglio riprendere le parole del vescovo riportate nel libro — ha detto don Battista Pansa, superiore del Paradiso, salutando i presenti —: don Achille “non è stato un prete di sagrestia, ma di periferia”. È il carisma del Paradiso, che è dato per il bene della Chiesa, anche se il nostro gruppo è ora sparuto».

In due vasti capitoli con testimonianze, l’autore ha ripercorso l’intera vita di monsignor Belotti, cominciando dalla nascita nel paese di Foresto Sparso e percorrendo le diverse tappe del suo intenso ministero: membro del Paradiso per otto anni, coadiutore parrocchiale ad Arezzo e Milano, cappellano degli emigranti italiani in Belgio, coadiutore parrocchiale di Trescore, il lungo servizio con i vescovi Oggioni e Amadei come vicario episcopale, nonché direttore di diversi uffici di Curia, quindi parroco del Duomo, delle Grazie e di Gavarno Sant’Antonio e infine gli ultimi anni trascorsi nella casa del Paradiso fino alla morte, a 82 anni, sopraggiunta l’11 marzo scorso a causa del Covid.

«Parlando del suo ministero — ha esordito monsignor Bellini — don Achille usava la frase “Servire e sparire”. Sono due verbi che ha coniugato in ogni luogo. Pensiamo al suo essere prete a Corsico e Gratosoglio, quartiere allora chiamato Corea per motivi sociali, posti alla periferia anonima di Milano e abitati da numerosi emigrati dall’Italia del Sud. Lui camminava per le strade avvicinando la gente, anche coloro che non andavano in chiesa, che cominciò a stimarlo». Al riguardo, in una intervista aveva confidato che per questo suo camminare, la gente l’aveva affettuosamente soprannominato «il prete del marciapiede». Sempre riguardo all’esperienza milanese, monsignor Belotti amava ricordare un episodio. «L’arcivescovo cardinale Giovanni Combo stimava moltissimo i preti paradisini e li indicava come esempio al clero milanese, a cui un giorno raccontò questa immagine: “Un topolino trova una briciola nella casa dei più poveri, ma se entra in quella dei preti del Paradiso non trova neppure quella”».

Il cammino di monsignor Belotti è poi proseguito in uffici di Curia e in parrocchie bergamasche. «Anche in questi luoghi ha testimoniato il suo andare come prete e, negli ultimi anni di vita, ripeteva di essere stato un prete in uscita, come dice Papa Francesco». Infine monsignor Bellini ha ricordato l’amore del sacerdote defunto per un aggiornamento continuo grazie a libri, riviste e giornali.