Il virus è anche “dentro”

I legami che non ci sono e quelli che vengono cercati

Mi ha telefonato un amico, uno di quelli con cui mi incontravo spesso: siamo tutti e due pensionati. Adesso ci sentiamo per telefono per via del lockdown. È diventato cupo, pessimista, depresso. Non gli va bene più niente, dal Presidente in giù, dal Papa in giù. Sono un po’ preoccupato. La pandemia è anche un evento che fa indebolire tutto. Il virus è anche “dentro”. Cosa ne pensi? Francesco.

Caro Francesco, credo anch’io che il virus si stia propagando non solo all’esterno, continuando a contagiare tanti fratelli e sorelle, ma anche interiormente trovando spazio nei cuori e nelle menti, togliendo la speranza.

Il dilagare della pandemia accresce il pessimismo, spegne la fiducia nelle istituzioni, incute smarrimento e confusione.

La speranza nonostante

Siamo in un tempo complesso e confuso, ma non dobbiamo perdere la speranza, non dobbiamo lasciarci rubare la speranza! C’è un bisogno estremo di consolazione, di essere consolati, e di trovare qualcuno che ci consoli, ci aiuti nei nostri disagi e ci stia accanto come presenza amica e fedele, ci ospiti nella sua vita perché possiamo anche noi divenire capaci di ospitare altri. Questo lo puoi e lo devi fare con il tuo amico. Il nostro tempo sta facendo emergere anche qualcosa di più profondo che fatichiamo a riconoscere e nominare: il vuoto esistenziale che ci abita, la precarietà dei valori che ci muovono e che non riescono a motivare e dare speranza.

“C’è un bisogno estremo di consolazione,
di essere consolati,
e di trovare qualcuno che ci consoli”

Certo che la situazione è complessa sia nel mondo civile, economico, sociale, come in quello ecclesiale, ma c’è uno spazio interiore dove ciascuno può e deve nutrire la propria vita affinché non si trovi in balìa dei venti contrari, dei poteri più o meno vicini e lontani, delle mode e del consumismo, delle illusioni che le istituzioni possano risolvere tutti i problemi.

Nutriti da tanta esteriorità, il vuoto ci assale quando gli appigli esterni vengono meno, quando le promesse sono disattese e “i re e i regni di questo mondo” crollano e svelano tutta la loro inconsistenza, quando la sofferenza ci sorprende inaspettatamente e fa emergere tutta la nostra fragilità e vulnerabilità.

Alla ricerca di una Presenza che illumini il vuoto

Forse anche la fede non regge e non ci sostiene: ma di che fede parliamo, in che cosa e in chi abbiamo realmente creduto e di cosa ci simo nutriti interiormente in tutti questi anni perché il vuoto e il non senso abbiano preso il sopravvento e l’insorgere della prova ci abbia così destabilizzato? Dobbiamo entrare in questo vuoto e avere il coraggio di guardarlo e di cercare una luce che lo illumini, una Presenza che lo abiti.

È un cammino che richiede coraggio, che nessuno può delegare ad altri, che apre un sentiero che porta alla salvezza, cambia la vita e ci pone dinanzi al volto di Dio che forse mai abbiamo realmente conosciuto, che si rivela a noi inaspettatamente.

Questa è una lotta che dobbiamo intraprendere personalmente e che la pandemia, forse, ci offre come opportunità preziosa, come dono da non sciupare o vivere con superficialità.

Sta a noi sceglierlo e percorrerlo. Ora è il tempo favorevole per prendere decisioni che cambiano la nostra vita e la radicano nella promessa di un Dio che, in Gesù, si fa per noi via, verità e vita. Lui non ci toglie la sofferenza, non ci salva dalla pandemia, ma nella sofferenza e nella pandemia; lui continua a porre la sua dimora proprio dove la vita è vissuta in tutta la sua complessità, nelle fatiche e nelle contraddizioni che, nella fede, possono diventare il luogo dell’incontro, dove ancora Dio scende, si fa accanto e trasforma l’esistenza. E lo fa non come vorremmo noi, risolvendo le situazioni, alleggerendo i pesi, eliminando i problemi, la povertà o le ingiustizie. Questo non tocca a Dio, ma a noi. Dio abita nei cuori, lavorando misteriosamente in coloro che gli fanno spazio e si spendono con amore nell’abitudinarietà di ogni giorno, nella ricerca di una vita vissuta in pienezza non solo negli anni della giovinezza, ma anche nel tempo dell’anzianità, sulla scena del mondo o nel silenzio, nell’inutilità di un quotidiano apparentemente banale.

“La storia vera non si costruisce nei palazzi dei potenti
di ogni tempo,
perché di breve durata,
ma con un popolo di piccoli e di poveri”

Dio pone la sua dimora in quanti scelgono di essere un po’ di lievito nascosto nella pasta del mondo, un po’ di sale che dà sapore all’esistenza, un piccolo seme che crede nella forza della sua fecondità per allargare gli spazi del Regno nel mondo. La sua venuta continua a narrare che la storia vera non si costruisce nei palazzi dei potenti di ogni tempo, perché di breve durata, ma con un popolo di piccoli e di poveri che accettano di soffrire nella propria carne le contraddizioni e le ingiustizie, certi di generare la sua stessa vita.

Se qualcosa di nuovo può nascere in questa nostra storia, nasce dal basso, dall’umile incontro tra la nostra povertà e la Sua grandezza, nella nostra disponibilità a fare spazio alla grazia, a vivere il presente dove Dio ci ha posto e non dove vorremmo essere, con gli occhi che imparano a contemplare un Dio povero e crocifisso e apprendere l’arte del dono senza misura, di chi “sa stare in piedi come se vedesse l’Invisibile”. Così vivevano i primi cristiani, così il Signore ci doni di vivere come cristiani nell’oggi del nostro tempo.