Come affrontare offese e insulti: Filippo Domaneschi analizza linguaggi e culture

La proposta di lettura della Biblioteca diocesana del Seminario Giovanni XXIII di Bergamo questa settimana riguarda “Insultare gli altri” di Filippo Domaneschi (Einaudi).

Il tema dell’insulto è un motivo che risuona con sempre maggior frequenza nei diversi canali di comunicazione, sia a livello individuale e familiare sia a livello sociale, di costume, e politico, anche se, come testimoniano già gli scritti di Catullo e Cicerone, gli esseri umani si insultano da sempre. Infatti quasi tutte le 7000 lingue parlate esistenti possiedono un arsenale di insulti che variano per quantità, contenuti e grado di volgarità. 

Illustrando i meccanismi psicologici e linguistici alla base della violenza verbale, Filippo Domaneschi, ricercatore presso l’Università di Genova dove insegna Filosofia e teoria dei linguaggi, analizza le ragioni che fanno dell’insulto e del linguaggio d’odio un fenomeno virale nelle conversazioni quotidiane, nel conflitto socio-politico e, non in ultimo, sui social media, e procede rispondendo a quattro domande: I, quali parole offendono e perché? II, che cos’è un insulto? III, perché insultiamo? IV, chi insultiamo? 

Infatti l’insulto è un complesso fenomeno sociale, che si realizza in forme diverse e con svariate funzioni a seconda dei contesti culturali di riferimento, della lingua parlata, dei parlanti e dei destinatari, e degli scopi in gioco nella comunicazione.

Le due principali categorie di vocaboli che possono farsi portatori di insulto sono le parolacce (ossia espressioni verbali oscene e volgari) e gli epiteti denigratori (ossia termini che diventano discriminatori in riferimento alla provenienza etnica e geografica o all’orientamento sessuale di un individuo o di un gruppo minoritario).

Alcune ricerche nell’ambito della psicologia cognitiva hanno mostrato che l’insulto può avere innanzitutto una funzione catartica. L’offesa che scaturisce da un sentimento forte di rabbia o frustrazione ha un’importante funzione contenitiva: argina il sentimento di collera e, ritualizzando l’aggressività, scongiura o procrastina lo scontro fisico traslando il conflitto sul piano simbolico e verbale.

Ma capire a quali condizioni si verifica un insulto non è solo una questione di vocabolario; occorre piuttosto osservare con attenzione le combinazioni di parole, le intenzioni, i gesti e le credenze che danno luogo alle innumerevoli forme di denigrazione e di offesa. Infatti, anche termini apparentemente neutri e inoffensivi in talune circostanze possono acquisire una valenza violentemente insultante. 

Il lancio di un insulto (dal latino insilire, letteralmente, ‘saltar addosso’ o ‘saltar sopra’) può perseguire lucidamente diversi scopi: umiliare un avversario, manifestare il proprio potere, denigrare, attrarre l’attenzione, spronare qualcuno a far qualcosa e, talvolta, può essere anche usato, tra amici, per dimostrare simpaticamente affetto e sintonia.

A livello sociale l’insulto è diventato più volte strumento coesivo di lotta, di rivendicazione di diritti e di giustizia sociale; a livello politico insulti e offese sono ormai un usuale mezzo retorico di delegittimazione dell’avversario e di costruzione del consenso.

L’autore conclude dicendo che se il linguaggio umano entro i suoi limiti accoglie e fornisce parole per offendere è per attrezzarci di fronte agli inevitabili conflitti e ostilità di ogni giorno. Spetta però a ciascuno di noi la scelta su come affrontarle: esprimendo senza ritegno odio e ostilità in ogni circostanza che le suscita, oppure addestrandoci a distinguere le situazioni in cui censurare il linguaggio offensivo da quelle che ci autorizzano a disporne, valutando comunque sempre le conseguenze delle nostre parole sugli interlocutori ed eventuali spettatori presenti.

Possiamo, e forse dobbiamo, scegliere di agire come parlanti competenti.

Silvia Piazzalunga

Per informazioni si può contattare la biblioteca diocesana: tel. 035.286.221 – 035.286.252; www.bibliotecadiocesanabg.itbiblioteca@seminario.bg.it