Concistoro, 13 nuovi cardinali. Enzo Romeo: “Lo sguardo del Papa attento alle periferie”

All’Angelus di domenica 25 ottobre Papa Francesco ha annunciato a sorpresa: “Il prossimo 28 novembre, alla vigilia della prima domenica d’Avvento, terrò un Concistoro per la creazione di tredici nuovi cardinali” di cui nove elettori, pregando “per i nuovi Cardinali,  affinché, confermando la loro adesione a Cristo, mi aiutino nel mio ministero di Vescovo di Roma per il bene di tutto il Santo Popolo fedele di Dio”. 

I nuovi cardinali sono: il maltese Mario Grech (63 anni), Vescovo emerito di Gozo e Segretario Generale del Sinodo dei vescovi. Marcello Semeraro (73 a dicembre), Vescovo emerito di Albano e neo prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, pugliese, stretto collaboratore di Bergoglio, in quanto segretario del Consiglio dei cardinali. Antoine Kambanda (62), arcivescovo di Kigali in Ruanda. Wilton Daniel Gregory (73 a dicembre), Statunitense, arcivescovo di Washington. Il filippino Jose Fuerte Advincula (68), arcivescovo di Capiz (Filippine), il francescano cappuccino Celestino Aós Braco (75), arcivescovo di Santiago del Cile. Cornelius Sim (69), vicario Apostolico di Brunei. Augusto Paolo Lojudice (56 a), romano, arcivescovo di Siena-Colle Val d’Elsa-Montalcino. Il francescano Mauro Gambetti (55 a), custode del Sacro Convento di Assisi. 

A loro si aggiungono i cardinali ultraottantenni, che non entrano in Conclave: Felipe Arizmendi Esquivel (80), vescovo Emerito dal 2017 di San Cristobal de las Casas (Messico). Silvano Maria Tomasi (80), già nunzio apostolico all’Onu. Padre Raniero Cantalamessa (86), francescano, predicatore della Casa Pontificia dal 1980 ed Enrico Feroci (80), parroco a Santa Maria del Divino Amore a Roma Castel di Leva ed ex direttore della Caritas diocesana. 

Quindi tra le tredici nuove porpore ci sono sei italiani (di cui tre elettori nel Conclave), mentre tutti i continenti tranne l’Oceania sono rappresentati nel Concistoro indetto per la fine di novembre. 

“Voglio morire con il saio”. Padre Raniero Cantalamessa ha chiesto a Bergoglio la dispensa dall’ordinazione episcopale, una possibilità attualmente non codificata dal Diritto canonico ma che già era stata concessa da Giovanni Paolo II al gesuita padre Roberto Tucci, direttore generale della Radio Vaticana negli anni Settanta che Wojtyla volle creare cardinale nel 2001. “Alla mia età, 86 anni, c’è ben poco che potrei fare come “pastore”, d’altra parte, quello che potrei fare come “pescatore” posso continuarlo a fare annunciando la parola di Dio, così Cantalamessa ha motivato la sua decisione.

Analizziamo i profili dei nuovi cardinali con Enzo Romeo, giornalista vaticanista del Tg2, scrittore e saggista, che evidenziano l’importanza di questo Concistoro autunnale che contiene in sé, leggendo le biografie delle nuove porpore, i temi fondamentali del magistero di Papa Francesco.

Chi è Wilton D. Gregory, 72 anni, a capo dell’Arcidiocesi di Washington, il primo cardinale afroamericano scelto da Papa Francesco, che ha criticato Trump?

«Sarà il primo afroamericano a ricevere la berretta cardinalizia. È di Chicago, la città di Barak Obama. Questo spiega anche le critiche a Trump. Gregory si è convertito al cattolicesimo da ragazzo. Ha studiato filosofia e teologia. A Roma, al Pontificio ateneo Sant’Anselmo, ha conseguito il dottorato in liturgia e nel 1973 è stato ordinato sacerdote. Nell’arcidiocesi di Chicago è stato, tra l’altro, maestro delle cerimonie dei cardinali Cody e Bernardin. Nel 1983 è stato ordinato vescovo e nominato ausiliare della stessa arcidiocesi, quindi vescovo di Belleville, sempre in Illinois. È stato presidente della Conferenza dei vescovi statunitensi dal 2001 al 2004, anno in cui è stato promosso metropolita di Atlanta. Nel 2019 è stato trasferito all’arcidiocesi di Washington, dove è ancora aperta la ferita causata dal cardinale McCarrick, che ne è stato a capo fino al 2006 ed era stato dimesso nel 2018 dal collegio cardinalizio e dallo stato clericale in conseguenza alle accuse di abusi sessuali. Dunque, la porpora di Gregory è il segno della volontà di voltare pagina in un Paese, gli Stati Uniti, dove gli scandali hanno pesato enormemente sulla credibilità della Chiesa cattolica».

Una caratteristica che emerge in questo concistoro è la scelta di Papa Francesco di inserirvi tre frati francescani: il francescano conventuale Gambetti in prima linea sui temi della pace e dell’ecologia, Celestino Aos Braco e Padre Raniero Cantalamessa. Che cosa ne pensa?

«Si tratta di un’altra dimostrazione di quanto questo pontefice, fin dal suo nome, si ispiri al carisma del Poverello. Anche le sue due ultime encicliche, a partire dal titolo fino ai contenuti, si richiamano al messaggio di san Francesco. Davanti alla sua tomba, Bergoglio lo scorso 3 ottobre ha firmato la lettera Fratelli tutti. Finora il viaggio lampo ad Assisi è stata l’unica uscita da Roma del Papa da inizio pandemia». 

Se mons. Feroci è ricordato soprattutto per essere stato lo storico direttore della Caritas diocesana di Roma, il vescovo di Siena Lojudice da parroco di Tor Bella Monaca era molto impegnato nella pastorale per i nomadi. Queste nomine dimostrano come lo sguardo del Santo Padre sia sempre rivolto verso gli ultimi?

«Assolutamente sì. Con lui la “scelta preferenziale per i poveri”, cavallo di battaglia della teologia della liberazione e rimasta quasi un’affermazione clandestina sotto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, è divenuta vincolante nella Chiesa-ospedale da campo di Francesco. Di qui la chiamata nel collegio cardinalizio di preti e vescovi “di strada”. Possiamo dire che non ci sono più i “principi della Chiesa” di una volta… ».

In questo Concistoro non manca un riferimento alle periferie esistenziali con un difensore dei popoli nativi, il messicano Felipe Arizmendi Esquivel, vescovo di San Cristóbal de Las Casas (Chiapas), difensore dei popoli nativi. È un esplicito riferimento a tutte quelle “periferie dell’esistenza” tanto care al cuore di Bergoglio?

«I popoli nativi sono divenuti un paradigma del cambiamento mondiale, che questo pontefice ritiene indispensabile per la salvezza dell’umanità. Nella sua visione, ci indicano il rapporto armonico con la madre terra e l’alternativa a una società dominata dalla logica consumistica e dalle speculazioni di mercato. Naturalmente, non è facile trasferire questa impostazione nel nostro Occidente. Un conto è vivere nella foresta vergine, un’altra nella giungla di cemento delle metropoli. E poi tutte queste periferie, dal cui incontro si ricavano tanti stimoli, hanno alla fine bisogno di ritrovarsi in un centro. Per i cattolici questo centro è l’uomo vestito di bianco, il vicario di Cristo».

Il presule ruandese Antoine Kambanda ha perso la famiglia, sterminata durante la guerra del 1994. Ce ne vuole parlare?

«Kambanda, di etnia hutu, è un testimone dell’orrore della violenza, ma anche della forza della riconciliazione e del perdono. Nato nel novembre 1958, è l’unico sopravvissuto della sua famiglia, insieme a un fratello che vive attualmente in Italia. È stato ordinato sacerdote nel 1990 da san Giovanni Paolo II, in occasione della sua visita pastorale in Rwanda. Dal 1993 al 1999 ha risieduto a Roma per motivi di studio e da questo è probabilmente dipesa la sua salvezza. Tornato a Kigali, è stato direttore della Caritas e della Commissione diocesana per la giustizia e la pace. Nel 2013 è stato nominato vescovo di Kibungo e il successivo 2018 Papa Francesco lo promosse arcivescovo metropolita di Kigali. Il suo motto, Ut vitam habeant, è tratto dal vangelo di Giovanni (10,10): «Perché abbiano la vita». Ora sarà il primo cardinale ruandese della storia». 

«L’immagine di una “Chiesa in uscita” si fa sempre più nitida», ha commentato l’Agi dopo l’annuncio di Papa Francesco. Concorda con questa riflessione? 

«Sì, concordo. Va però evitato un equivoco: uscire non significa abbandonare la propria casa, vuol dire andare incontro al prossimo. Ma il luogo da dove si parte, che è quello dove ci sono le proprie radici e che ha nutrito la nostra anima, non deve rimanere incustodito e abbandonato. Altrimenti quell’uscire diverrebbe un inutile vagare e alla fine si correrebbe il rischio di smarrirsi nel nulla».