L’Italia come una ruota quadrata: l’anno della paura nel Rapporto Censis

«Il sistema-Italia? Una ruota quadrata che non gira» è l’Italia fotografata dal Censis (Centro studi investimenti sociali) nel suo 54° Rapporto Annuale sulla situazione del Paese, presentato in presenza ridotta, «in modalità inconsueta, mai accaduto prima», questa mattina a Roma nella sede del Cnel da Massimiliano Valerii, Direttore Generale Censis. 

Il 2020 è stato un anno eccezionale sotto tutti i punti di vista, l’anno della “paura nera”, gli eventi ci hanno riportato alla nuda vita, con la visione pubblica della morte, amplificata dai media. La pandemia è sì un evento traumatico, “non torneremo mai quelli di prima”, è stata la frase ricorrente, e su questo si è spesa anche molta retorica. In realtà, resteremo quelli di prima, perché l’evento traumatico ha rappresentato uno straordinario fattore di accelerazione di alcuni fenomeni, che erano preesistenti alla pandemia da Covid-19.

Senza una figura come Churchill a fare da guida “nell’ora più buia”, capace di essere il collante delle comunità, il nostro modello individualista è stato il migliore alleato del virus, unitamente ai problemi sociali di antica data, alla rissosità della politica e ai conflitti interistituzionali. Uno degli effetti provocati dall’epidemia è di aver coperto sotto la coltre della paura e dietro le reazioni suscitate dallo stato d’allarme, le nostre annose vulnerabilità e i difetti strutturali, evidenti oggi nelle debolezze del sistema. L’epidemia ha squarciato il velo: “il re è nudo!”. Difetti strutturali pronti a ripresentarsi il giorno dopo la fine dell’emergenza, più gravi di prima. 

Ecco perché possiamo dire che il sistema-Italia è una ruota quadrata che non gira: avanza a fatica, suddividendo ogni rotazione in quattro unità, con un disumano sforzo per ogni quarto di giro compiuto, tra pesanti tonfi e tentennamenti. 

Impaurita, dolente, indecisa tra risentimento e speranza: è l’Italia nell’anno della paura nera. Il 73,4% degli italiani indica nella paura dell’ignoto e nell’ansia conseguente il sentimento prevalente, dunque: “Meglio sudditi che morti”. Abbiamo assistito al crollo del “Pil della socialità”. Lo Stato è il salvagente a cui aggrapparsi nel massimo pericolo. Il 57,8% degli italiani è disposto a rinunciare alle libertà personali in nome della tutela della salute collettiva, lasciando al Governo le decisioni su quando e come uscire da casa, su cosa è autorizzato e cosa non lo è, sulle persone che si possono incontrare, sulle limitazioni alla mobilità personale. Il 38,5% è pronto a rinunciare ai propri diritti civili per un maggiore benessere economico, accettando limiti al diritto di sciopero, alla libertà di opinione e di iscriversi a sindacati e associazioni. Addirittura il 77,1% chiede pene severe per chi non indossa le mascherine di protezione delle vie respiratorie, non rispetta il distanziamento sociale o i divieti di assembramento. Il 76,9% è convinto che chi ha sbagliato nell’emergenza, che siano politici, dirigenti della sanità o altri, deve pagare per gli errori commessi. Il 56,6% chiede il carcere per i contagiati che non rispettano rigorosamente le regole della quarantena. Il 31,2% non vuole che vengano curati (o vuole che vengano curati solo dopo, in coda agli altri) coloro che, a causa dei loro comportamenti irresponsabili, si sono ammalati. E per il 49,3% dei giovani è giusto che gli anziani vengano assistiti solo dopo di loro. Oltre al ciclopico debito pubblico, le scorie dell’epidemia saranno molte. 

Tra antichi risentimenti e nuove inquietudini e malcontenti, persino una misura indicibile per la società italiana come la pena di morte torna nella sfera del praticabile: a sorpresa, quasi la metà degli italiani (il 43,7%) è favorevole alla sua introduzione nel nostro ordinamento (e il dato sale al 44,7% tra i giovani). «Punto di discontinuità significativo», sottolinea Valerii, ma quando tutto sarà finito, quella inquietudine, che già preesisteva, ci sarà sempre e dipende dal fatto che pensiamo che qualcuno prima o poi ci toglierà dal “palco della storia”.  

Destini personali degli italiani sono divisi tra chi ha il lavoro garantito e chi no. Per l’85,8% degli italiani la crisi sanitaria ha confermato che la vera divisione sociale è tra chi ha la sicurezza del posto di lavoro e del reddito e chi no. Su tutti, i garantiti assoluti, i 3,2 milioni di dipendenti pubblici, a cui si aggiungono i 16 milioni di percettori di una pensione, una larga parte dei quali ha fornito un aiuto economico a figli e nipoti in difficoltà. Poi  è come entrare nelle sabbie mobili, perché il settore privato è senza casematte protettive. Vive con insicurezza il proprio posto di lavoro il 53,7% degli occupati nelle piccole imprese, per i quali la discesa all’inferno della disoccupazione non è un evento remoto, contro un più contenuto 28,6% degli addetti delle grandi aziende. 

C’è quindi la falange dei più vulnerabili: i dipendenti del settore privato a tempo determinato e le partite Iva. C’è poi l’universo degli scomparsi, quello dei lavoretti nei servizi e del lavoro nero, stimabile in circa 5 milioni di persone che hanno finito per inabissarsi senza fare rumore. Infine, i vulnerati inattesi: gli imprenditori dei settori schiantati, i commercianti, gli artigiani, i professionisti rimasti senza incassi e fatturati. Nel magmatico mondo del lavoro autonomo, solo il 23% ha continuato a percepire gli stessi redditi familiari di prima del Covid-19. Se il grado di protezione del lavoro e dei redditi è la chiave per la salvezza, allora quasi il 40% degli italiani oggi afferma che, dopo l’epidemia, avviare un’impresa, aprire un negozio o uno studio professionale è un azzardo e ‒ nel Paese dell’autoimprenditorialità ‒ solo il 13% lo considera ancora una opportunità.

Nel secondo trimestre il Pil è franato del 18% in termini reali rispetto all’anno scorso, i consumi delle famiglie del 19,2%, gli investimenti del 22,9%, l’export del 31,5%. Poi il rimbalzo congiunturale nel terzo trimestre ha attutito il colpo. Ma rispetto al dicembre 2019, nel giugno 2020 la liquidità delle famiglie (contante e depositi a vista) ha registrato un incremento di 41,6 miliardi di euro (+3,9% in sei mesi) e ora supera i 1.000 miliardi. La corsa alla liquidità è evidente nel parallelo crollo delle risorse riversate in azioni (-63,1 miliardi nello stesso periodo, -6,8%), obbligazioni (-11,2 miliardi, -4,6%), fondi comuni (-23,1 miliardi, -5%). La liquidità pesava per il 32,9% del portafoglio finanziario degli italiani nel giugno 2019 ed è arrivata al 34,5% nel giugno 2020. Il 66% degli italiani si tiene pronto a nuove emergenze adottando comportamenti cautelativi: mettere i soldi da parte ed evitare di contrarre debiti, anche perché il 75,4% giudica insufficienti o tardivi gli aiuti dello Stato. Se il lavoro è a picco e la produttività  è senza slancio, a pagare il conto sono come sempre i giovani e le donne. Rispetto all’anno scorso, nel terzo trimestre sono già 457.000 i posti di lavoro persi da giovani e donne, il 76% del totale dell’occupazione andata in fumo (605.000 posti di lavoro). E sono 654.000 i lavoratori indipendenti o con contratto a tempo determinato senza più un impiego. Nel secondo trimestre dell’anno i giovani di 15-34 anni risultavano particolarmente colpiti in alcuni settori: alberghi e ristorazione (sono più della metà dei 246.000 occupati in meno nel settore, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), industria in senso stretto (-80.000), attività immobiliari, professionali e servizi alle imprese (-80.000), commercio (-56.000). E la sperequazione nella possibilità di resistere alla perdita del lavoro vede nelle donne ancora una volta il segmento più svantaggiato. Al secondo trimestre il tasso di occupazione, che per gli uomini raggiungeva il 66,6%, presentava un divario di oltre 18 punti a sfavore delle donne. Nella classe di età 15-34 anni solo 32 donne su 100 risultano occupate o in cerca di una occupazione. Per le donne di 25-49 anni il tasso di occupazione è del 71,9% tra quelle senza figli, solo del 53,4% tra quelle con figli in età prescolare. E tra il 2008 e il 2019 la produttività del lavoro in Italia è aumenta appena dello 0,1%. 

 Se quest’anno dominato dalla pandemia, ha visto l’erosione di due pilastri dell’architrave sociale: libere professioni e rappresentanza, feroce è stato l’impatto divaricante del virus tra ricchi e poveri. Il 90,2% degli italiani è convinto che l’emergenza e il lockdown abbiano danneggiato maggiormente le persone più vulnerabili e ampliato le disuguaglianze sociali. Sono appena 40.949 gli italiani che dichiarano un reddito che supera i 300.000 euro l’anno, con una media di 606.210 euro pro capite. Corrispondono allo 0,1% del totale dei dichiaranti. Mentre sono 1.496.000 le persone con una ricchezza che supera il milione di dollari (circa 840.000 euro): sono pari al 3% degli italiani adulti, ma possiedono il 34% della ricchezza del Paese.

Due temi scottanti: Sanità e scuola, quest’anno messi entrambi a dura prova. Sotto la spinta drammatica del susseguirsi di nuovi contagiati in gravi condizioni, a maggio i posti letto di terapia intensiva erano passati dagli 8,7 per 100mila abitanti, della fase precedente al Covid-19, a 15,3. Dopo anni di tagli alla spesa pubblica, la straordinaria opportunità di rilancio del sistema sanitario sta nella inedita disponibilità di risorse. Con il decreto «Rilancio» di maggio il Governo ha destinato 3,2 miliardi di euro alla riorganizzazione della sanità pubblica, di cui quasi 1,5 miliardi per il riordino della rete ospedaliera e circa 1,2 miliardi per l’assistenza territoriale.

Solo l’11,2% degli oltre 2.800 dirigenti scolastici intervistati dal Censis ha confermato di essere riuscito a coinvolgere nella didattica tutti gli studenti, esiste inoltre una tipologia di studenti per i quali la socialità, che si instaura nelle aule scolastiche, è insostituibile: gli alunni con disabilità (circa 270mila persone solo nelle scuole statali) o con disturbi specifici dell’apprendimento (circa 276mila). 

Al tempo della pandemia la Rete ci ha salvato dalla solitudine. Si può stimare che quasi 43 milioni di persone maggiorenni (tra queste, almeno 3 milioni di novizi) siano rimaste in contatto con i loro amici e parenti grazie ai sistemi di videochiamata che utilizzano via internet. Il lockdown ha generato nuovi utenti e ha rafforzato l’uso della rete da parte dei soggetti già esperti. 

Nella giravolta della storia, dal geniale fervore del Paese può traspirare il nuovo. Con il pensiero ai 993 morti di ieri, 3 dicembre, numero drammaticamente più alto dall’inizio della pandemia, dalle pagine del 54 Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, emerge chiara e forte l’esigenza di una forte azione sistemica per far ripartire il sistema-Italia. 

Le priorità sono: nuovo schema fiscale, ridisegno del sistema industriale, questione settentrionale, terzo settore. 

Il virus ha aggredito una società già stanca ma ancora sufficientemente vitale per resistere e combattere a favore della risalita. Quest’anno siamo stati incapaci di visione, pensavamo e pensiamo ad altro, ma il nostro Paese aspetta e sa di avere risorse, competenze, intuizione ed esperienza per ricostruire i sistemi portanti dello sviluppo. 

«Il Paese sa che dal suo geniale fervore traspira il nuovo. Attende di sentire, quando dopo le lacrime altro non si avrà da offrire che fatica e sudore, il richiamo a rimettere mano al campo, senza volgersi indietro, guardando e gestendo il solco, arando diritti», conclude Massimiliano Valerii.