La catechesi al tempo del covid-19. Paolo Curtaz: “Un’occasione per tornare all’essenziale”

La catechesi introduce alla fede, la approfondisce e la fortifica, è un percorso che riguarda situazioni ed esperienze concrete, così come tutti gli aspetti dell’essere cristiano, promuove i contenuti della fede e la partecipazione alla vita della Chiesa come la liturgia, la spiritualità, l’annuncio, la responsabilità cristiana e la missione. 

La catechesi è dunque un cammino che si svolge con il sostegno di tutti, a cominciare dalla famiglia, dalla parrocchia e dall’insegnamento della religione cattolica. Ma tutto si complica quando una pandemia viene a sconvolgere e a cambiare il naturale corso delle cose, della nostra quotidianità. 

Occorre, quindi, elaborare nuove vie di evangelizzazione. Ne parliamo con Paolo Curtaz, teologo e scrittore, che ha pubblicato oltre 50 libri di spiritualità, gli ultimi due sono:

“Pastori. Il libro che tutti i parrocchiani dovrebbero regalare ai loro parroci”, “Pecore.  Il libro che tutti i parroci dovrebbero regalare ai loro parrocchiani (Edizioni San Paolo 2020) vendendo oltre 250mila copie complessive. 

«Due libri diversi, uno destinato ai laici e uno ai preti, che sono i miei primi libri di ordine pastorale; in uno cerco di riportare all’essenziale i laici, cioè cosa significa oggi diventare discepoli del Signore; recupero quindi questa categoria che è stata dimenticata, che è quella del discepolato. Nell’altro volume, qui per i pastori il discorso è più intimo. In questo momento e anche prima della pandemia, dalla mia esperienza parziale e di parte, ritengo che ora quella dei preti sia la categoria in assoluto più in difficoltà», dichiara Paolo Curtaz. 

Prof Curtaz, quale insegnamento può trarre la catechesi da questo particolare momento storico? 

«Nonostante tutto, penso che questo particolare momento storico sia un momento di grazia e non di disgrazia, perché ci obbliga a tornare all’essenziale. Questo momento di pandemia ha messo in discussione il nostro impianto pastorale ricordandoci che la fede si trasmette attraverso la relazione. Quindi è un invito per il futuro a ripensare tutto quello che abbiamo impostato fino ad oggi». 

Se il luogo primario della catechesi è la comunità, cioè la parrocchia, nella quale si fa esperienza di fede vissuta e testimoniata, quali sono le maggiori difficoltà che incontrano i fedeli al tempo dell’emergenza pandemia da Covid-19? 

«Il fatto che nella comunità cristiana, così come in quella civile sia venuto a mancare l’aspetto dell’incontro, e la fede cristiana, come ben ci ha ricordato Papa Francesco, non può essere virtuale, ma ha bisogno di una presenza. Ciò nonostante penso che questa pandemia abbia messo in luce molta creatività, anche nello stare in contatto, se proprio non si può fare comunità». 

Cosa vuol dire essere “cristiani” nel tempo che stiamo vivendo e dopo l’esperienza del lockdown? 

«Credo che essere cristiani in questo momento significhi riscoprire il percorso personale, intimo di incontro con Dio in Gesù. Quindi, venuti a mancare tutti i sostegni, per due mesi siamo stati tutti cattolici non praticanti, si invita a riprendere ciascuno per sé in mano il proprio cammino di fede. Nuovamente un ritorno all’essenziale, che ritengo sia molto importante e opportuno». 

Come può la comunità cristiana modificare se stessa per essere più aderente al Vangelo e più capace di annunciarlo al mondo di oggi? 

«Penso che questa pandemia abbia messo in luce tutta una serie di limiti della nostra comunità, per esempio la capacità di parlare al mondo del senso della vita, della malattia, del destino e della morte. Un invito grande a ripartire dalle parole essenziali del Vangelo per essere significativi rispetto alle persone che incontriamo. Sicuramente la pandemia ha messo in luce una sorta di abitudinarietà del nostro essere cristiani e davanti alla prova non abbiamo fatto una grande figura… ».

Le famiglie, al tempo dell’emergenza coronavirus, possono diventare piccole comunità di preghiera per vivere la fede in casa? 

«Si, abbiamo celebrato la Pasqua a casa e non succedeva da qualche migliaio di anni, abbiamo celebrato la Pentecoste a casa e in parte celebreremo sia il cammino di Avvento sia quello di Natale in casa. Se, ripeto, il lockdown ci ha impedito di essere comunità, incontrarsi, abbracciarsi, parlarsi, però ci ha dato e ci dà la possibilità di tornare a essere chiesa domestica, là dove si può, e di prendere finalmente in mano ciascuno la propria vita interiore. Vedo che ora ci sono molte comunità, ma anche singoli che si stanno inventando, grazie ad internet, ai social, fonti di speranza e di collegamento tra le persone. Ho parecchie persone che mi seguono personalmente e che hanno riscoperto la propria fede durante il lockdown». 

Secondo Lei che Natale si apprestano a vivere gli italiani, sono consapevoli che questa volta, non come è accaduto l’estate appena trascorsa, dovranno comportarsi responsabilmente onde evitare la terza ondata? 

«Credo, e lo dicono anche gli esperti, che la terza ondata ci sarà, come credo che ci sarà la quarta ondata, ritengo che si riuscirà ad arginare la pandemia solo nell’autunno prossimo. Ciò detto, quello che a me interessa, ovviamente nel rispetto delle regole, è di cogliere di nuovo l’opportunità di questo Natale che verrà, spogliato della “cornice” e che potrebbe diventare la possibilità di una grande riscoperta. Mi fa piacere vedere che in questo momento la rete è inondata di preti, di parrocchie, di gruppi, che stanno facendo cammini di Avvento, alcuni anche di qualità. Allora sul Natale dico una frase che è diventata uno slogan: “Nessuno ci ruberà il Natale, perché sei tu il Natale di Dio”. Se noi ci accorgiamo di questo, magari si tornerà a riscoprire il senso profondo e primigenio del Natale. Faccio sempre notare che anche per Gesù, il suo primo Natale non è stato granché… ».

Nel 2020 ha iniziato un nuovo percorso di catechesi utilizzando la tecnologia 2.0, aprendo un sito web, passaparola.org. Un modo alternativo di immaginare una formazione spirituale e un percorso che raggiunga le persone nella loro quotidianità, usando le nuove tecnologie, pensando anche alla pandemia? 

«In realtà il progetto era nato prima della pandemia per poi rivelarsi quanto mai utile e provvidenziale. Mi ero reso conto, giro molto l’Italia per fare conferenze, che la stanchezza si faceva sentire, quindi ho trovato un modo per essere presente in maniera alternativa. Ho visto che adesso molti professionisti nel nostro Paese utilizzano la formazione a distanza. Ho pensato, ed è la prima volta che accade in Italia in ambito cattolico, di proporre questa specie di percorso per chi vuole. Ho visto un grande riscontro, più del previsto. Come studenti ho preti, suore, ma anche persone che si sono allontanate dalla fede. Il web si rivelerà sempre più attuale, vista la situazione, per mantenere i contatti. Si può fare una conferenza stando seduti a casa propria, anche se ovviamente manca l’aspetto dell’incontro, però dà la possibilità a più gente di approfondire il proprio percorso».