Anziani, il rapporto di Amnesty: “La mancanza di contatti con i familiari ha causato danni enormi”

“Abbandonati”: è il titolo della ricerca di Amnesty International Italia, che, mettendo in evidenza le violazioni dei diritti nelle strutture di residenza sanitarie e sociosanitarie durante la pandemia da Covid – 19 in Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, ha allo stesso tempo messo in luce le lacune delle istituzioni a livello locale, regionale e nazionale nell’adottare misure tempestive per proteggere la vita e la dignità delle persone anziane nelle case di riposo. “Il fatto che alcune autorità sanitarie regionali abbiano permesso di trasferire pazienti dimessi dall’ospedale nelle strutture senza effettuare dei tamponi e senza assicurarsi che si avesse la possibilità di isolare queste persone e di evitare i contagi tra pazienti e lavoratori – esordisce Donatella Rovera, ricercatrice Amnesty International – è un esempio lampante dove decisioni prese dalle autorità hanno portato a conseguenze negative e a diverse violazioni”. Cinque i campi in cui ci sarebbero state violazioni:  quello del diritto alla vita, alla salute, alla non discriminazione, al non essere sottoposti a trattamenti inumani e degradanti e al rispetto della vita privata. “La ricerca è stata condotta da remoto – continua  Rovera -, evitando di intervistare gli ospiti di queste strutture per non causare ulteriore ansia in un momento in cui stavano vivendo una situazione già difficile. Ottantasette le interviste raccolte tra personale sanitario e famigliari degli ospiti delle strutture, rappresentanti di organizzazioni del settore e sindacalisti, esperti e giornalisti. Abbiamo chiesto ripetutamente informazioni alle autorità locali e nazionali, senza ottenere risposta, a parte due eccezioni in Lombardia ed Emilia Romagna”. E proprio la mancanza di trasparenza e di dati ha reso più difficile poter fare un confronto tra le tre regioni analizzate. “Durante la prima ondata le strutture non avevano lo stesso accesso a tamponi e a dispositivi di protezione individuale (dpi) riservato invece alle strutture ospedaliere. Le informazioni ricevute mostrano inoltre che vi erano pochi controlli ed ispezioni vere e proprie”. E aggiunge: “Il danno che è stato causato a livello di salute fisica e mentale a causa della chiusura alle visite famigliari è enorme. Se da un lato è comprensibile che all’inizio della pandemia venissero adottate delle misure drastiche poiché la situazione era sconosciuta e il sistema sanitario al collasso, il fatto che queste chiusure siano durate così tanto e il trovarsi di nuovo in una situazione in cui la maggior parte delle strutture è nuovamente senza contatti diretti con i familiari, mostra che le autorità non hanno imparato ciò che avrebbero dovuto dalla prima ondata. Oggi le misure che abbiamo a disposizione sono diverse: pensiamo ai test rapidi e alla maggiore disponibilità dei tamponi, misure che potrebbero facilitare le visite, eppure ci troviamo in una situazione similare”. “Le risposte alla pandemia sono arrivate in ritardo e le misure di prevenzione applicate in maniera inadeguata – sottolinea Debora Del Pistoia, campaigner Amnesty International Italia -, le strutture si sono trovate da sole nel gestire l’emergenza, strutture a rischio maggiore per la presenza di pazienti con fragilità. Il settore socio sanitario già presentava delle criticità prima della pandemia; in alcuni casi si è arrivati a situazioni di burnout e stress estremo; ci sono stati lavoratori che, per aver denunciato la situazione sono stati richiamati e altri licenziati. In un momento così critico, in cui le autorità regionali e le aziende sanitarie dovevano essere più di conforto e supporto, è mancato il loro controllo e vigilanza. Le ispezioni hanno cominciato ad esserci quando i media hanno denunciato i morti all’interno delle strutture stesse”. “Durante la prima ondata vi era il problema della carenza di dpi e della scarsa formazione degli operatori sanitari – aggiunge Martina Chichi, campaigner Amnesty International Italia – ; problemi che sono stati in parte risolti: i dpi sono più presenti, ma risulta comunque insufficiente il livello di formazione. Mancano inoltre indicazioni omogenee, sono differenti a livello locale e regionale”. Qual è il passo da fare ora? Amnesty International auspica innanzitutto che venga condotta un’inchiesta pubblica totalmente indipendente per esaminare in profondità la preparazione generale e la risposta alla pandemia per quanto riguarda i presidi residenziali sociosanitari e socioassistenziali per persone anziane, oltre a diversi meccanismi da mettere in atto a livello nazionale. “ Ai nostri occhi sono state fatte scelte sbagliate da un punto di vista etico – conclude Gianni Rufini, direttore generale Amnesty International Italia -: ci si è rassegnati al fatto che un numero di persone dovesse morire, come se non avessimo i mezzi e la forza di reagire. Si è misurato il valore della vita solo in termini economici: quanto può vivere, spendere, pagare tasse? Ma il valore di una vita è composto anche dal bagaglio di valori, saperi e visioni che si trasmettono da una generazione all’altra. Sacrificare una generazione affinché ne possa sopravvivere un’altra non sono scelte di una società avanzata”.  Il rapporto completo: clicca qui.