Annus horribilis questo 2020 che ci lasciamo alle spalle. Anche per la Chiesa cattolica.
Gli ultimi grandi guai della Chiesa. E la pandemia
Nonostante le scelte e gli impegni profusi senza sosta da papa Francesco (si pensi solo al Vademecum pubblicato a luglio) non si spengono gli echi e le conseguenze in tutto il mondo (dalla ex cattolicissima Polonia alla Germania, dagli Stati Uniti al Cile) sui casi di abuso sessuale da parte di preti e religiosi e di figure di spicco del mondo cristiano (in primis, Jean Vanier, “mitico” fondatore dell’Arche).
E che dire del caso Becciu che sembra aver scoperchiato una situazione che ha dell’incredibile: un enorme scandalo finanziario dove speculazione e intrighi vaticani si intrecciano fittamente fino a gettare un’ombra sinistra sul caso giudiziario del cardinale australiano Pell (ingiustamente detenuto per tredici mesi) il cui processo potrebbe essere stato inquinato dall’acquisto di testimoni, come hanno evidenziato alcuni documenti relativi all’inchiesta in corso in Vaticano per l’utilizzo dei fondi riservati della Segreteria di Stato.
In mezzo a tutto questo la pandemia che ha portato alla morte, solo in Italia, di 182 tra preti e religiosi (in Europa, sono più di 500). Non solo: il Covid ha avuto la conseguenza di lasciare le chiese – una volta riaperte per la celebrazione dell’eucarestia – mezze vuote, senza gli anziani, preoccupati del contagio, e senza i giovani, che nelle chiese mancavano pure prima. Togliendo il velo all’illusione che ciò che da febbraio in poi si era abbattuto sulle vite delle persone e delle comunità potesse essere solo una parentesi e bastava ripartire come prima, come se nulla fosse successo.
Non è la prima volta (ne certamente sarà l’ultima) che la Chiesa, nel corso della sua storia, vive situazioni di grande imbarazzo che mettono in serio pericolo la credibilità la trasparenza del Vangelo. Però questo sta succedendo oggi e provoca la coscienza dei credenti di questo tempo.
Ricominciare dall’essenziale. Una fede nuda e pura
Come immaginare un ricominciamento? Luciano Manicardi, il sapiente priore di Bose ha scritto che “la prova ci chiede di cambiare le lenti con cui guardiamo la vita. E in questo, mentre ci mette in discussione, ci fa compiere un lavoro di verità. In questo può essere salutare, la crisi. Il farsi strada in noi della verità è sempre doloroso. (…) Le crisi ci danno intelligenza di noi stessi e ci possono condurre a obbedire al Signore che ci parla attraverso gli eventi della vita.”
Da dove ripartire dunque? Certo dall’Evangelo, dalla consapevolezza che Dio non ha abbandonato il mondo e neanche – per grazia, non per meriti – la Chiesa. Una buona notizia, Evangelo appunto, che viene trasmessa da comunità cristiane in grado di ricentrarsi sull’essenziale della vita cristiana: ascolto della Parola, celebrazione dei sacramenti, testimonianza della carità. Perché è venuto il tempo – ce lo diceva con grande anticipo e lucidità don Giuseppe Dossetti – di “vivere sempre di più la nostra fede senza puntelli, senza presidi di sorta, umanamente parlando. Destinati a vivere in un mondo che richiede la fede pura. Potremo attingere soltanto alla fede pura, senza poggiare in nessun modo su argomenti umani. Nessuna ragione, nessun sistema di pensiero, nessuna organicità culturale, nessuna completezza e forza di pensiero organico, costruito, potrà presidiare la nostra fede. Sarà fede nuda, pura, fondata solo sulla parola di Dio considerata interiormente. Non potremo attingere a niente, a nessuna sintesi, a nessuna summa. E non avremo il conforto in nessuno dei piccoli nidi sociali che siano omogenei e sostengano la nostra vita evangelica.”
I preti passano. I laici restano
E poi ripartire certamente dai laici. Perché succede che i preti, anche quelli bravi, passano dalle comunità dove stanno qualche anno, i laici restano. Lo ha ricordato recentemente di nuovo papa Francesco: “È l’ora che i laici facciano un passo avanti, un passo in più. E trovino nella Chiesa lo spazio necessario per farlo, il modo per rispondere alle loro vocazioni.”
Perché, come ha scritto in un’altra occasione Bergoglio, “nessuno è stato battezzato prete né vescovo. Ci hanno battezzati laici ed è il segno indelebile che nessuno potrà mail cancellare.” Dunque, se abbiamo a cuore il futuro della chiesa, serve, urgentemente, un cambio di passo: la questione dei laici deve stare al centro delle sfide pastorali che si trovano ad affrontare le nostre comunità parrocchiali.
In questi anni la loro valorizzazione è avvenuta soprattutto nei termini della loro attiva partecipazione al ministero della Chiesa in qualità di catechisti, di animatori liturgici, di operatori nel campo dell’assistenza. Il rischio è che questo loro impegno dentro la Chiesa – che è comunque indispensabile ed esige anzi un lavoro formativo ancora più preciso – sia visto ancora prevalentemente in termini di collaborazione e di supplenza all’azione del prete. Questa prospettiva favorisce e perpetua un nuovo clericalismo e non permette di costruire la parrocchia come una comunità di battezzati, di cristiani.
In questa società oramai secolare, e per certi versi post cristiana, come potrà la Chiesa continuare a portare il suo messaggio e a rendere testimonianza, se non per la via maestra di un cristiano adulto e maturo divenuto pienamente consapevole del suo essere “popolo di Dio” e capace di diffondere il Vangelo nei luoghi dell’esistenza quotidiana degli uomini e delle donne del nostro tempo? Cosa aspettiamo ancora a comprenderlo e a decidere di conseguenza?