“Nelle prove della vita si rivela il proprio cuore”: lo sguardo del Papa sul futuro

Sta per terminare un “Annus horribilis”, perché questo 2020 sarà universalmente ricordato per la pandemia da Covid-19, che ha flagellato l’intero Pianeta provocando una grave crisi sanitaria, economica e sociale. Ora che si sta per affacciare il 2021 ancora non ne siamo fuori, speriamo che il vaccino possa essere risolutivo in tal senso. 

Mai come adesso occorre tutti insieme sperare e confidare in un domani più sereno. “Ritorniamo a sognare (Piemme 2020, traduzione di Giuseppe Romano, pp. 176, 15,90 euro), è “La strada verso un futuro migliore”, ce la indica Papa Francesco nel volume in cui conversando con lo scrittore e giornalista britannico Austen Iveregh, il Papa offre un piano al tempo stesso visionario e concreto per costruire un mondo migliore per tutti, un progetto che parte dalle periferie e dai poveri per cambiare la vita sul Pianeta.

“Dio non lasciarci in balia della tempesta”. Il 27 marzo 2020 rimarrà per sempre nella memoria di ciascuno di noi. Papa Francesco presiede uno storico momento di preghiera sul sagrato della Basilica di San Pietro con la piazza vuota ma seguito dai cattolici di tutto il mondo, che è sempre più minacciato dalla diffusione del Covid-19. Ora che il 2020 è agli sgoccioli, Bergoglio risponde alla pandemia con un libro intenso, autentico e commovente, dove indica la strada per un futuro migliore.

Mai come in queste pagine il lettore ha l’occasione di comprendere la grande esperienza e l’umanità di Papa Francesco. Più che un pastore è un padre, che avvisa tutti noi sui pericoli che affliggono l’umanità e la possibile soluzione, che è quella di andare incontro agli altri, perché ci aiutano “a dare il meglio di noi stessi”.

“Le scuole, gli ospedali, le reti delle istituzioni civiche sono vitali per consentire alla gente di avere parte nella società. Con il Covid globale, molte di esse si sono viste indebolite, degradate, impoverite e sminuite. Ma ne abbiamo bisogno”. 

Commentiamo i passi salienti del testo con Gianni Valente, giornalista dell’Agenzia missionaria Fides, organo delle Pontificie Opere missionarie, collaboratore di “Vatican Insider” e della rivista italiana di geo-politica “Limes”.

“Per uscire migliori da questa crisi, dobbiamo recuperare la consapevolezza che come popolo abbiamo un destino comune. La pandemia ci ricorda che nessuno può salvarsi da solo”. 

“Nelle prove della vita si rivela il proprio cuore: quanto è solido, misericordioso, quanto è grande o piccolo”. Concorda con la riflessione di Bergoglio ?

«Il Papa dice con parole semplici qualcosa che, almeno in certe occasioni della vita, è esperienza di tutti. Nelle circostanze di prova, quando siamo sotto la pressione di eventi o situazioni impreviste, capita di veder affiorare con più nettezza quali sono le cose che ci stanno più a cuore, le predilezioni che ci muovono e determinano il nostro agire dall’intimità di quello che siamo. Il terreno, dove si può sperimentare come caparra la salvezza donata da Cristo, è quello della vita in atto, vita che va presa così come viene, e non i laboratori intellettuali, dove si vuole “addomesticare” la realtà. Papa Francesco, nella sua predicazione ordinaria dell’ultimo anno, e anche in questo libro, ha cercato di suggerire a tutti che anche questo tempo segnato dalla pandemia mette a nudo le nostre povertà e insufficienze, la nostra impossibilità a risolvere le cose da soli, e proprio per questo può rivelare in maniera più luminosa anche cosa desidera davvero il nostro cuore, ciò che attira e muove davvero il nostro sguardo, sempre confuso e smarrito in mezzo ai mille richiami e alle mille seduzioni che ci travolgono da ogni parte». 

Questa crisi sanitaria, economica e sociale ha provato l’umanità, eppure ci offre anche l’opportunità per uscirne migliori: “Oggi il Signore ci chiede una cultura del servizio, non una cultura dello scarto”. Un’idea rivoluzionaria quella del Pontefice, data la cultura materialista della quale siamo permeati per non parlare del narcisismo imperante?

«È una indicazione che di certo risulta eversiva rispetto ai meccanismi mercantili e di consumo in cui viviamo, e ai riflessi condizionati che determinano le nostre vite. Ma non credo che il Papa punti a fare come uno che va sempre “contro corrente” per puntiglio, per partito preso a priori. Più semplicemente, da padre e pastore, registra quanta infelicità sia prodotta a tutti i livelli da quella che lui chiama “cultura dello scarto”. Ne soffrono certo gli scartati, ma anche gli “scartatori” non sanno cosa sia davvero felicità e compimento. Sono anche loro presi dentro un meccanismo compulsivo di rapacità che li stordisce e li stritola. Il suo è un giudizio non idealista, ma realista sulle dinamiche umane, e sui segni che connotano una vita vissuta in pienezza. La gratitudine per il bene ricevuto è ciò che rende pronti a servire gli altri con gratuità.  Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date, dice Gesù. Per questo il servizio reso agli altri, di cui parla Papa Francesco, è un segno che si è amati e si gode della predilezione del Signore». 

“Nella mia vita ho avuto tre situazioni “Covid”: la malattia, la Germania e Córdoba”.  Nel Suo nuovo libro il Santo Padre racconta anche la grave malattia che lo colpì a vent’anni e i periodi di solitudine. Tutte “situazioni Covid”, che sono un invito a non arrendersi?

«Sono un invito a non andare fuori di testa, nella situazione di chiusura e isolamento parziali o totali che moltitudini di persone hanno vissuto e continuano a vivere a causa della pandemia. È come se il Papa volesse suggerire a tutti che, nella condizione storica in cui viviamo, situazioni analoghe di chiusura, di blocco, di “prigionia” esistenziale le viviamo tutti. Fa parte del cammino. Per questo descrive le tre vicende di questo tipo che più hanno segnato la sua vita: la malattia che da ragazzo lo ha messo a rischio della vita, e che ha comportato anche un’operazione per l’asportazione di una parte di polmone, poi il tempo di studio trascorso in Germania, vissuto da lui come un tempo di esilio, e infine gli anni in cui fu mandato dai Gesuiti a Cordoba, e visse quasi due anni di sostanziale isolamento, dopo che per tanti anni era stato proprio lui il provinciale, il “capo” della Compagnia di Gesù in Argentina. Il Papa riconosce che, quei tre momenti difficili, nella sua memoria, ora appaiono come passaggi importanti della sua vita. Passaggi che lo hanno aiutato a riconoscere e abbracciare i propri limiti, e a guardare con più misericordia se stesso e gli altri». 

“Per me è chiaro: dobbiamo ridisegnare l’economia in modo da offrire a tutte le persone una vita dignitosa e al tempo stesso proteggere e rigenerare la natura”. Saremo capaci di farlo?

«Non so se saremo capaci, ma di certo è questa la prospettiva più realista che converrebbe intraprendere, se non altro per spirito di sopravvivenza, se non vogliamo rimanere stritolati dalle crisi del sistema. Se Papa Francesco suggerisce di riconsiderare il disegno di fondo dell’intero sistema economico, il suo suggerimento non nasce da un idealismo utopista, ma dal realismo. La pandemia ha dimostrato in termini netti che il sistema globale è fragile, che è alla lunga insostenibile, e viene messo in crisi dall’irrompere di un imprevisto come l’arrivo del virus. È proprio da sconsiderati pensare che tutto potrà continuare come prima, come se nulla fosse, dopo l’eventuale superamento della prima pandemia della globalizzazione. Eppure si vede da ogni parte questa frenesia a ristabilire i cicli di produzione e consumo forsennato, presentando tutto questo come se fosse la “normalità”, senza fermarsi a considerare quello che è accaduto. E i suggerimenti di Papa Francesco possono diventare un prezioso contributo di pensiero critico per riconoscere e tenersi alla larga da questo martellamento, da questa deriva».  

La pandemia ci ha inchiodati a un “presente infinito” e forse è per questo che molti di noi si sono riscoperti fragili, vulnerabili e insicuri. È questo il momento “di fare memoria onestamente, di recuperare le nostre radici”?

«Papa Francesco ripete anche nel libro che da crisi come questa non si esce uguali a prima. Ma è un’occasione che si può perdere.  L’incognita sul futuro dipende da questo: se prevarrà lo stordimento o se invece si prenderà atto che non si risolve tutto soltanto affidandosi alla benemerita vaccinazione di massa. Perché le pandemie sono drammi sociali e sanitari, economici e finanziari e non si potranno evitare senza ridurre le vere cause, di cui fanno parte anche l’aggressione all’ambiente e le condizioni di disagio o vero disastro sociale in cui vivono moltitudini e interi popoli in tutto il mondo». 

Secondo un recente sondaggio realizzato da Demos & Pi per il quotidiano “La Repubblica”, la fama di Papa Francesco scesa dall’82% del 2016 al 72% del 2018, è in netta ripresa grazie alla distanza dalla curia vaticana. Bergoglio riscuote il consenso di sette italiani su dieci, tra i praticanti assidui e pure tra chi non lo è. Dunque il Santo Padre è più popolare della sua Chiesa. Che cosa ne pensa?

«Mi sembra sempre pericoloso separare o addirittura porre in dialettica il vescovo di Roma e la Chiesa, il cui capo è Cristo. È pericoloso innanzitutto per il Papa stesso, che viene rappresentato ed esaltato come un eroe solitario, una specie di “superman” in lotta coi cattivi, che deve cambiare le cose anche nella Chiesa in forza delle sue capacità e del suo potere. Queste esaltazioni poi si rovesciano spesso nel loro contrario, nelle recriminazioni e nei rimproveri rivolti al “supereroe” di turno, quando lui non appare più in linea con le proprie idee e i propri pregiudizi ideologici, o si ritiene che non abbia portato a termine la “missione” che gli avevamo attribuito. Per questo i sondaggi anche sul Papa e sulla Chiesa sono effimeri, e mutevoli. Il gradimento si può sgonfiare in un attimo. Ma non mi sembra che Papa Francesco abbia il problema di tenere alti i dati dei sondaggi sulla sua persona. Ha ben presente che la simpatia verso la sua persona può diventare durevole e feconda solo se aiuta a suggerire agli sguardi degli altri la persona di Cristo. Altrimenti, anche la sua immagine può diventare un totem da adulare per poi abbatterlo in un baleno. Si riconosce questa traiettoria anche in alcuni degli ex “tifosi” di Papa Francesco, che già si stanno riposizionando. Insomma, la gloria dei sondaggi passa. Non credo che lui se ne curi. Rimane l’affetto del popolo di Dio, che con il suo sensus fidei riconosce che il pastore, con le sue doti e i suoi limiti umani, è innamorato di Cristo, e segue i passi del suo Signore».