“Per un’altra strada. La leggenda del quarto Magio” – intervista a Mimmo Muolo

L’Epifania, che cade il 6 gennaio, nella tradizione cristiana è la manifestazione della divinità in forma visibile, quindi è la manifestazione della divinità di Gesù ai Tre Magi in visita a Betlemme. 

Mimmo Muolo, vaticanista del quotidiano “Avvenire” nel romanzo “Per un’altra strada”, (Paoline Editoriale Libri 2020, pp. 224, 16,00 euro) rievoca “La leggenda del Quarto Magio”, come precisa il sottotitolo del volume, cioè quella antica leggenda che racconta che i Magi venuti dall’Oriente per rendere omaggio a Gesù appena nato non erano tre, come vuole la tradizione, ma quattro. Il nome del Quarto Magio era Artaban, “un nome impegnativo” appannaggio di re e condottieri, personaggio di straordinaria attualità come dimostra Muolo, nell’arco dell’intera narrazione, da noi intervistato.

“… mi sono messo in viaggio insieme ad Artaban, ripercorrendone e a volte reinventandone l’itinerario, che è attualissima allegoria di un mondo in cui c’è una grande nostalgia di Dio e molti non sanno più dove cercarlo, come anche la recente pandemia ha evidenziato”. 

“Abbiamo bisogno di una narrazione che ci parli di noi e del bello che ci abita, che racconti il nostro essere parte di un tessuto vivo; che riveli l’intreccio dei fili coi quali siamo collegati gli uni agli altri”. Per quale motivo ha scelto una frase di Papa Francesco tratta dal Messaggio per la 54ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, come esergo del romanzo? 

«Perché quella frase è venuta subito dopo la scelta del tema del libro. Mi sono innamorato, lo dico in senso letterale, di questa leggenda di cui non avevo mai sentito parlare se non nell’omelia del mio parroco il giorno dell’Epifania. La frase l’ho scelta perché mi sembrava una storia di una attualità sconvolgente, straordinaria. Una storia scritta quasi da Papa Francesco, quando ho iniziato a lavorare sul romanzo è arrivato questo messaggio del Pontefice e leggendolo ho pensato: “Questo è un segno del cielo! Allora è vero che devo andare avanti con la storia della leggenda del Quarto Magio!”. La storia di Artaban, il Quarto Magio è la storia di uno che è collegato agli altri, la sua famiglia, i tre Magi e a tutti quelli che incontra nel suo cammino, fili reali che alla fine faranno emergere la sua umanità, la sua profonda fede nell’uomo. Artaban ha fede in Dio, all’inizio è il suo Dio, Zarathuštra, poi diventerà il Dio cristiano, il Dio di Gesù. Quindi la frase del Sommo Pontefice è stata per me come una sorta di sigillo sulla necessità di fare questo libro. Ecco perché l’ho voluta mettere all’inizio del romanzo, quasi come una dedica a Papa Francesco». 

Chi era Artaban, il Quarto Re e per quale motivo non partì insieme ai Tre Magi, Gaspare, Melchiorre e Baldassarre? 

«La leggenda racconta che Artaban, nato a Ecbatana, una città che si trova attualmente in Iran, si attardò in dispute filosofiche con gli altri Magi e quindi perse la strada. Partì in ritardo, accumulò una serie di ritardi e così non arrivò in tempo insieme agli altri Magi. Ho voluto guardare in filigrana alla leggenda del Quarto Magio, trasformandola un po’. Fin dall’inizio Artaban mi è sembrato il prototipo dell’uomo contemporaneo, un uomo che si interroga su Dio, sul rapporto con Dio e con gli altri. Profondamente umano, Artaban è toccato dall’esperienza del peccato, nel romanzo il ritardo alla fine è determinato dal suo peccato più grave: la superbia. Quando, da giovane studioso, Artaban crede di aver capito tutto, fa delle scoperte importanti, anticipando gli altri saggi più anziani di lui, è allora che inizia la sua strada in discesa. Nel libro ho posto l’accento sull’elemento di un sapere disgiunto dall’amore, dal sentimento, di una ragione pura e che porta al peccato. In questo il romanzo è molto contemporaneo, se pensiamo alle vicende del Novecento, ci accorgiamo quanti danni abbia compiuto una ragione sganciata dall’amore. Oggi invece, siamo il pendolo che va dalla parte opposta, siamo più inclini alle emozioni, ai sentimenti, sganciati dalla ragione. E anche questo è purtroppo foriero di danni all’antropologia umana». 

I Tre Magi venuti dall’Oriente, magnificamente ritratti da Andrea Mantegna nel dipinto “Adorazione dei Magi”, portarono oro, incenso e mirra in dono a Gesù, invece Artaban che cosa avrebbe dovuto donare al Figlio di Dio e qual è il significato teologico dei doni? 

«Artaban avrebbe dovuto portare delle pietre preziose. Non so se nella leggenda c’è il significato teologico di questo dono, ma mi piace immaginare, nel romanzo l’ho pensato in questo modo, mentre sappiamo il significato dell’oro, dell’incenso e della mirra, che queste pietre preziose siano le ricchezze umane. Mentre oro, incenso e mirra rimandano alle qualità di Gesù, disegnandone l’identikit, il dono del Quarto Magio si riferisce a tutto ciò che è umano, a tutto ciò che più di prezioso l’uomo ha. Ma non basta portare un’umanità sganciata dalla fede, dall’amore per gli altri e per Dio. Queste pietre preziose devono passare attraverso il crogiuolo di alcune prove importanti che sono descritte nel libro. Solo in virtù di quelle prove diventeranno una vera offerta a Dio». 

Reinventando il girovagare di Artaban “per un’altra strada” sulle tracce del Nazareno, descrive un mondo ingiusto e crudele, che è tanto simile al nostro, i cui mali sono stati denunciati da Papa Francesco, pensiamo all’ultima enciclica del Pontefice argentino, “Fratelli tutti”. Ce ne vuole parlare? 

«Sì, ho fatto una lettura diacronica, le vicende del romanzo sono ambientate al tempo di Gesù, ma i drammi descritti, i personaggi che Artaban incontra e il loro modo di ragionare sono profondamente contemporanei. Questa è una scelta voluta, non è un romanzo storico, ho voluto raccontare una parabola, pensando che le vicende descritte in quei tempi potessero farci riflettere sui tempi che stiamo vivendo. Ecco dunque per esempio il dramma dell’immigrazione, la disperazione delle donne tratte in schiavitù, le malattie, le persecuzioni religiose. Tutto ciò che la cronaca purtroppo ci restituisce ogni giorno, le diseguaglianze tra il Nord e il Sud del mondo, che Papa Francesco ha posto sotto la nostra attenzione». 

Tutti spendiamo la nostra vita in un viaggio alla ricerca di qualcosa o di qualcuno, spesso trovandolo, ma senza accorgercene, siamo tutti un po’ Artaban? 

«Sì, mi auguro che il lettore possa in qualche modo sovrapporre la propria vita, la propria ricerca, perché siamo tutti in ricerca, consapevolmente o inconsapevolmente, a quella di Artaban. Quando andavamo a scuola, ci insegnavano i paradigmi dei verbi. Bene, Artaban è un paradigma, noi possiamo prendere questo paradigma e coniugarlo nella nostra vita. Ciascuno di noi darà a questa coniugazione un respiro particolare, personale, una sua propria impronta. Spero che Artaban possa svolgere questa funzione di paradigma, illuminando non solo la vita, ma con la luce del Vangelo anche quello che c’è oltre la vita».