La storia continua. Nel Patronato di Sorisole ogni gesto parla di impegno, coraggio, fiducia

Ci sono posti dove è sufficiente camminare lungo un viale per percepire cosa anima quel luogo. Ci sono luoghi dove il Vangelo si fa carne. Dove fede, speranza e carità diventano vita vissuta. La comunità di Sorisole, nei pressi del santuario della Madonna dei Campi, si struttura in una serie di case, collegate da un lungo viale centrale. All’ingresso la casa centrale e l’infermeria, gli orti, la fattoria, i laboratori, la casa don Bepo, le casette del villaggio san Raffaele su in alto. Servizi diversi che stanno dentro quest’unico villaggio che dicono le tante forme di aiuto ai più deboli che sono cresciute negli anni grazie all’opera di don Fausto e dei suoi collaboratori. E ormai hanno preso una forma consolidata, pur preparandosi sempre a rispondere ai nuovi bisogni che si presentano.

Don Dario Acquaroli, nuovo direttore della Comunità, ci fa da guida dentro questo mondo. “Ad oggi nel Patronato di Sorisole ci sono le comunità educative dei minori gestite dalla fondazione don Lorenzo Milani; l’accoglienza dei maggiorenni seguita dal Patronato; il Servizio esodo con la presenza in stazione (fatta di ascolto, incontro, distribuzione pasti e vestiti, accompagnamento) e anche il dormitorio con 20 posti nei container e 7 posti in infermeria. Sempre qui costruiamo dei progetti con il carcere di Bergamo, come l’incontro tra detenuti e famiglie, soprattutto per chi ha figli piccoli, in uno spazio protetto e concordato con i giudici e la progettazione di reinserimento sociale e pene alternative (con tirocini e laboratori di ogni genere)”.

E dopo quanto ha avviato don Fausto, la storia continua. “I progetti che stiamo continuando vedono il coinvolgimento della cascina di via Correnti, quella già legata alla figura di Roberto Pennati, e il terreno agricolo vicino al carcere”.

Una delle figure legate a don Fausto sin dalla prima ora è Luigi Zucchinali. Che per tutti in comunità è semplicemente “Zucchi” ma soprattutto un faro di riferimento. Da anni è responsabile dell’area dei maggiorenni, quella che trova casa nell’edificio principale della comunità, che un tempo era sede delle scuole elementari e medie.

“Abbiamo cercato, nell’accoglienza dei maggiorenni, di restare sempre fedeli alla mission della comunità: tentare di portare i ragazzi dalla semi-autonomia all’autonomia – inizia a raccontare in un attimo di pausa dal lavoro, mentre un paio di ragazzi lo attendono vicino alla sua scrivania -. L’area maggiorenni nasce per continuare a dare un’opportunità ai ragazzi che dopo essere stati nella comunità dei minori hanno compiuto i 18 anni.

Un altro gruppo di adulti maggiorenni che vengono qui ospitati sono i richiedenti asilo: è un contesto più strutturato, anche questi finché sono nel programma va bene, ma quando vanno fuori dal programma continuiamo comunque a lavorare anche con questi per poterli portare ad un’autonomia in tutto: personale, ma anche economica”.

C’è chi frequenta la scuola di italiano, chi si mette all’opera nei laboratori della comunità, chi ha un’attività lavorativa esterna. Per tutti, la vita di comunità, con le sue regole e i suoi impegni.

“A tutti chiediamo la partecipazione alle attività: va capito il concetto che se sono qui è grazie a qualcuno che mi ha dato la possibilità, ha creato le condizioni, quindi sono chiamato anche io a fare lo stesso percorso, in modo da mettere la struttura nelle condizioni perché chi arriva dopo di me venga ancora accolto in comunità trovando un contesto famigliare, pulito, ordinato. Tutti devono dare una mano per tenere pulita la casa, per gestire la struttura, fare qualcosa per gli altri, come i turni di pulizia o a lavare le stoviglie. A qualcuno che è autonomo chiediamo anche di dare una mano per il servizio Esodo in stazione: preparano i pasti o vanno a distribuirli”.

A guidare la comunità Zucchi e quattro operatori, oltre ad alcuni volontari. 

“I ragazzi attualmente qui sono una ventina di neo-maggiorenni, una trentina di richiedenti in asilo dentro un progetto e ancora una trentina di quelli fuori progetti. Per tutti cerchiamo di tenere il tetto massimo di circa 24/25 anni”.