Scuole aperte o didattica a distanza? Il balletto dell’incertezza sulle spalle dei giovani

I banchi fuori dalle scuole, ben distanziati, pochi studenti seduti con i libri, avvolti nei giacconi pesanti, in questi freddi giorni d’inverno. Le proteste ai tempi della pandemia non sono quelle di massa a cui siamo abituati. Non ci sono gli striscioni e le coreografie di danza che attraversavano le città ai tempi dei Friday for Future: era un anno fa, ma sembra un altro secolo, un’epoca diversa. Nei loro gesti leggiamo soprattutto il desiderio di non essere invisibili.

Sono i giovani che nell’ultimo anno si sono sentiti spesso messi in un angolo e dimenticati. Ci siamo ricordati di loro soprattutto per criticarne la mancanza di responsabilità o di mascherine, per stigmatizzare la voglia di vita e di festa che resiste ai divieti. Alcune conseguenze le abbiamo viste nei giorni scorsi: le risse nelle piazze, le bande che scorrazzano per le strade. Sono segnali per mostrare agli adulti che non si possono chiudere i ragazzi in una scatola e lasciarli lì aspettandoci che disegnino arcobaleni fino alla fine della pandemia. Se è vero che “per educare un bambino ci vuole un villaggio” quale rete di sostegno gli stiamo costruendo intorno in questo momento? Quali modelli di comportamento gli stiamo proponendo? Sono tempi difficili per tutti, e sicuramente ognuno di noi sta scontando, anche in modo drammatico, dal punto di vista economico, fisico e psicologico il prezzo dell’incertezza. Nel caso della scuola, però, questa condizione diventa quasi “estrema”: dal 22 febbraio ad oggi c’è stato un continuo “balletto” di prescrizioni, restrizioni, riaperture, nuove chiusure, che a molti non è sembrato adeguatamente affiancato da misure che potremmo definire “di protezione” o “di sostegno”, sia che si tratti di trasporti sia nel sistema dei tamponi e dei tracciamenti. L’ultima ordinanza regionale prevedeva la didattica a distanza per gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado: c’è stato un ricorso al Tar che ieri sera si è pronunciato per il ritorno delle lezioni “in presenza”. Ma questa decisione, l’ultima di una serie di “balletti” che hanno costretto dirigenti e insegnanti a una lunga maratona di circolari, tabelle e riorganizzazioni orarie dall’inizio dell’anno scolastico, sarà efficace se davvero, come dicono gli ultimi notiziari, gli indicatori sono in peggioramento e sulla Lombardia aleggia lo spettro di un inasprimento delle misure restrittive anti-covid? Nel frattempo come ha detto Mattarella nel suo messaggio di Capodanno “questo è il tempo dei costruttori”, e ci auguriamo che questo valga anche per la scuola: sarebbe bello che questo argomento ci stesse abbastanza a cuore da innescare una mobilitazione generale, incoraggiando, anche a partire dalle comunità cristiane e dai nostri oratori, il lavoro comune di tutte le agenzie educative, sfruttando le esperienze virtuose già messe in atto, come i centri ricreativi estivi, magari, a partire da esse, trovare nuove forme, nuove soluzioni creative per restituire ai ragazzi luoghi di formazione, di riflessione e di incontro – per quanto si può – consapevoli che il futuro che si sta preparando richiederà loro ancora più allenamento, preparazione, strumenti e competenze di quanto sia mai successo in passato.