La protesta degli studenti: una sfida e un appello da raccogliere

Se ne stanno fuori, davanti all’ingresso della scuola, al freddo, vestiti a strati come l’omino Michelin. Le sedie gliele ha prestate un bar lì vicino. Sono seduti composti con i tablet e i pc accesi, sugli schermi si intravedono i professori e i compagni. Quando li saluti rispondono con un sorriso negli occhi, l’unica parte del volto visibile dietro la mascherina. Gli studenti del liceo classico Sarpi di Bergamo, in Città Alta, sono stati i primi, dopo le vacanze di Natale, a iniziare la protesta. Li hanno seguiti i ragazzi degli altri istituti superiori di città e provincia, come avviene in molte altre parti d’Italia. Non fanno sciopero, continuano a seguire le lezioni, ma si sono resi visibili con questi piccoli presidi, una decina di studenti per volta, a turno. Un gesto coraggioso per far sentire la loro voce, che interpella il mondo adulto. Sui social si moltiplicano le foto, postate anche dai genitori, con l’hashtag #adessobasta.

“Sto protestando – racconta Cecilia, studentessa dell’ultimo anno di liceo – per dare un po’ di visibilità alla condizione della scuola e degli studenti. La didattica a distanza ci ha aiutato l’anno scorso ma non può continuare per sempre, senza limiti”. Quest’anno, a giugno, per loro c’è l’esame di stato e non sanno ancora come si potrà svolgere, se per esempio ci saranno le prove scritte. “Con la dad non possiamo esercitarci con le versioni di greco e latino come faremmo in classe. La nostra scuola si è organizzata molto bene, ma non tutte sono così. Noi speriamo che con la zona arancione si possa tornare in classe anche per rispetto di tutte le persone che l’estate scorsa si sono impegnate a studiare soluzioni per renderlo possibile ma poi non le ha potute attuare. Alcuni professori informalmente ci appoggiano ma la scuola non ha preso posizione. Noi comunque ci impegniamo perché questa dimostrazione non danneggi nessuno, né il nostro impegno nel seguire le lezioni né quello dei compagni. Siamo consapevoli di non rappresentare tutti gli studenti ma solo quelli che hanno deciso di far sentire la loro voce”. Accanto a Cecilia c’è Gaia, anche lei studentessa dell’ultimo anno di liceo: “Sono due settimane che stiamo protestando ed è significativo in una scuola che di solito non aderisce alle proteste. Vorremmo che le istituzioni si facessero maggiore carico della situazione degli studenti. Non è stato ancora risolto, per esempio, il problema dei trasporti, anche se a nostro parere ci sarebbe stato il tempo di farlo nel corso dell’estate. Siamo stati invece abbandonati davanti a uno schermo: l’impegno della scuola è gravoso, così ci ritroviamo per tutto il giorno chiusi nei confini della nostra stanza con pochissimo tempo a disposizione e scarse possibilità di uscire e di avere anche solo un minimo svago. La scuola, in realtà, è uno dei luoghi più sicuri in cui i ragazzi potrebbero incontrarsi, vincolati al distanziamento e all’uso delle mascherine. La dad non è una soluzione valida perché richiederebbe un adattamento dei programmi che comunque non sempre è possibile e non sempre è stato fatto”. Questo favorisce la moltiplicazione di difficoltà e disarmonie. “In tanti miei coetanei ho riscontrato una crescente depressione causata dalla necessità di restare in uno spazio limitato per molto tempo. La scuola è anche un luogo di sfogo. La nostra protesta è piacevole perché ci permette di vedere qualcuno. La possibilità di incontrarsi vince il freddo. E sappiamo per l’esperienza dei nostri fratelli minori che le difficoltà sono ancora più accentuate per i più piccoli, di seconda e terza media”.

Non c’è processo di apprendimento se non c’è il gruppo: lo dicono i ragazzi delle scuole superiori di Nembro nel video “Lezioni per il futuro”, con il quale hanno deciso di sostituire la protesta “dal vivo” quando è stata annunciata la zona rossa, per poter lanciare il loro messaggio e comunicarlo a più persone possibile. Nel video gli studenti condividono le loro riflessioni, offrendo agli adulti spunti importanti.

“Riprendere la routine è quello che mi manca di più” afferma Filippo, uno studente. “Questo periodo ha messo in evidenza le fragilità della scuola e ci ha fatto capire quanto l’abbiamo sempre data per scontata questa scuola che invece è il luogo meraviglioso in cui si cresce” spiega la psichiatra Silvia. Sono solo alcune delle voci raccolte dal regista Giovanni Panozzo nel video “Ciao Bellezze!”, anch’esso un’ottima pista di approfondimento, e un segnale che, anche in questo momento di grave difficoltà, studenti, insegnanti, educatori con passione e dedizione stanno facendo il possibile, stanno continuando a mettere in moto le loro risorse migliori. Più che una protesta è “un disperato grido d’aiuto” come sottolineano gli stessi ragazzi. Un appello e una sfida che non si possono far cadere nel vuoto.