Sulle tracce di Paola Elisabetta Cerioli: le sfide dell’educazione ieri e oggi

Una santità femminile fiorita nelle campagne bergamasche dell’Ottocento per soccorrere ragazze e ragazzi del mondo contadino, i più emarginati dell’epoca. È quella scritta da Santa Paola Elisabetta Cerioli, una delle figure eccezionali espresse dal vivacissimo cattolicesimo bergamasco dell’Ottocento, fondatrice della Congregazione femminile e maschile della Sacra Famiglia. Sulla sua vita e opera è fresco di stampa il volume «Paola Elisabetta Cerioli (1816-1865). Madre degli orfani» (pp. XXIV-604, edizioni Glossa, 19° volume della Collana «Studi e memorie del Seminario di Bergamo»), scritto da monsignor Goffredo Zanchi, docente emerito di Storia ecclesiastica alla Facoltà teologica di Milano e in Seminario, presentato venerdì sera 23 gennaio in streaming.

LA VITA

Nata a Soncino (Cremona) il 28 gennaio 1816 in una famiglia aristocratica e battezzata col nome di Costanza, a 19 anni è data in sposa al conte Gaetano Busecchi Tassis, vedovo di 58 anni, possidente terriero con casa padronale a Comonte di Seriate. Dal matrimonio nascono quattro figli. L’unico che sopravvive più a lungo è Carlino, che si  spegne sedicenne nel 1854, seguito poi dal padre. Dopo questi eventi, inizia un cammino di discernimento spirituale, seguita dai vescovi Pierluigi Speranza e Alessandro Valsecchi. L’8 febbraio 1857 veste l’abito religioso assumendo il nome di Paola Elisabetta e fonda a Comonte la Congregazione della Sacra Famiglia per elevare socialmente e spiritualmente le figlie della classe contadina e poi, con gli stessi intenti, anche il ramo maschile a Martinengo nel 1863. Si spegne cinquantenne il 24 dicembre 1865. Beatificata da papa Pio XII il 19 marzo 1950, viene canonizzata da papa Giovanni Paolo II il 16 maggio 2004.

«CARITA’ EDUCATRICE»

Dopo i saluti di padre Gianmarco Paris, superiore generale della Congregazione maschile, che ha moderato l’incontro online, e di suor Diletta Moretti, consigliera generale della Congregazione femminile, l’intervento di Roberto Sani, docente all’Università degli studi di Macerata, sul tema «Congregazioni religiose ed educazione nell’Ottocento lombardo», che ha ricordato la straordinaria fioritura numerica di istituti religiosi nell’Ottocento in Lombardia. «Erano nati per assistere la gioventù povera e abbandonata, orfani, pericolanti, favorendo l’educazione religiosa, morale e professionale grazie a scuole, corsi professionali, animazione nelle parrocchie. “Salvare le anime” è stata la sintesi di questo vasto impegno, che ha dato identità alla persona. Dunque un apporto fondamentale in quelle epoche, tormentate da carestie, epidemie, pellagra, e anche dal fenomeno dell’abbandono delle campagne. Un esercito di nuovi poveri si riversò nelle città, cadendo però in nuove povertà, anche perché i contadini non erano dotati di preparazione professionale per i mestieri». Sani ha concluso con una convinzione. «Gli istituti religiosi dell’Otto-Novecento sono di sorprendente attualità anche per le sfide del nostro tempo, per esempio essere buoni cristiani e buoni cittadini. Una sfida aperta soprattutto per le giovani generazioni».

«Spunti pedagogici delle realtà educative dell’Ottocento» è stato il tema affrontato da Domenico Simeone, docente All’Università Cattolica di Milano. «La Cerioli ha espresso una “carità educatrice” verso i ragazzi più poveri ed emarginati, come erano quelli delle campagne, dando risposte originali a domande emergenti». Riprendendo parti del volume di monsignor Zanchi, Simeone ha messo in risalto una caratteristica precipua della Cerioli. «Non si è chiusa nel dolore dopo la morte dell’ultimo figlio e del marito, ma ha recuperato il suo ruolo di madre nell’impegno educativo, caratterizzato da accoglienza filiale, attenzione anche alla cura fisica, obiettivi educativi duraturi. Sono caratteristiche feconde anche nel nostro oggi».

«CATECHISMO AGRARIO»

Infine l’intervento di monsignor Zanchi, che ha ricordato la profonda spiritualità, lo spirito pragmatico e l’intraprendenza della Cerioli, inserendone l’azione nella Chiesa e nella società bergamasca. «Non vuole operare nella città, dove già erano attivi altri istituti, ma nel mondo contadino, ancora sguarnito, che ben conosceva fin da bambina, fra le masse contadine che erano le più povere. Questa ottica voleva arginare i grandi danni causati da un inurbamento selvaggio dalle campagne alla città. Per lei l’agricoltura era il mestiere più nobile, ma necessitava di competenze e conoscenza di tecniche moderne per migliorare le condizioni dei contadini». Al riguardo, la Cerioli stese un «Catechismo agrario». «Lo scrisse particolarmente per le ragazze orfane con il fine di dare loro delle nozioni pratiche per quei lavori che all’epoca erano destinati alle donne, come la cura dell’orto e la futura vita famigliare. La sua visione non era utopia, ma pragmatismo».