Le suore delle Poverelle morte di Ebola: riconosciute le virtù eroiche

Fra aprile e maggio del 1995, come i grani di un doloroso Rosario, la vita di sei suore delle Poverelle (4 bergamasche e 2 bresciane) veniva stroncata dall’allora semisconosciuto virus Ebola mentre nell’ospedale di Kikwit in Congo assistevano i malati lontane dai riflettori. Per tre di loro, sabato 20 febbraio, nel corso di una udienza al cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione vaticana per le cause dei Santi, Papa Francesco ha riconosciuto le virtù eroiche, dichiarandole Venerabili. Questi i loro nomi: suor Floralba Rondi, 71 anni, di Pedrengo, la prima a morire il 25 aprile 1995, chiamata «mama Mbuta» dagli africani per la sua tenerezza verso i malati. Suor Clarangela Ghilardi, 64 anni, di Trescore, considerata un angelo dalle mamme e dai bambini. Suor Dinarosa Belleri, 59 anni, di Villacarcina (Brescia), che diceva a tutti: «Io sono qui in Africa a servire i poveri».

Il riconoscimento pontificio decreta quindi che le tre religiose hanno testimoniato in modo eroico, eminente e ben oltre l’ordinario e oltre ogni avversità, l’esercizio delle virtù cardinali (prudenza, fortezza, giustizia, temperanza) e quelle teologali (fede, speranza, carità). Il riconoscimento decreta il titolo di Venerabili alle religiose.

«Per la nostra Congregazione il riconoscimento del Papa è fonte di grandissima gioia. Una gioia che alimenta ancor di più la nostra fede e il nostro impegno — racconta Linadele Canclini, postulatrice della causa di beatificazione —. La sessione romana che ha portato alla decisione per queste tre consorelle si era tenuta questo mese, mentre per le altre tre è prevista il prossimo mese di marzo». Aperto l’8 aprile 2013, il processo diocesano per la beatificazione delle Poverelle (114 sessioni, 50 testimonianze raccolte in Italia e a Kikwit) si era stato chiuso dal vescovo Francesco Beschi il 25 gennaio 2014, che in quella occasione aveva affermato: «Sono state martiri della carità. Avevano una competenza infermieristica elevata e riconosciuta. Ma la loro competenza più grande è stata la capacità di trasformare un ospedale in un luogo di speranza e di bene per le persone e per i poveri. Sta qui il loro contagio vero, più forte della malattia che le ha colpite. La carità verso i poveri è stata la loro regola di vita». Gli atti del processo diocesano erano stati poi trasmessi alla congregazione vaticana per l’esame e i pareri dei teologi, che è stato positivo.

Il loro sacrificio destò ovunque enorme impressione. Le Poverelle ricordano ancora quei giorni concitati, quando da Kikwit arrivo un drammatico fax all’allora superiora generale madre Gesualda Paltenghi. «Carissima madre generale, comprendiamo la tua trepidazione, ma siamo totalmente nelle mani di Dio. Nessuna evacuazione può essere fatta. È molto duro per voi e per noi accettare questa separazione dalle sorelle. Avvenimenti dolorosi ci hanno travolto, ma la vita della Congregazione deve continuare: la situazione è abbastanza drammatica soprattutto all’interno. Ma è necessario conservare la calma. A Kinshasa non ci sono focolai e tutte le strade verso l’interno sono bloccate. Anche le sorelle di Kingasani sono isolate in casa senza contatti. Le sorelle dell’interno le abbiamo sentite ora. Suor Daniela e suor Dina non stanno troppo bene. Ma le comunicazioni sono difficili. Con affetto vi abbracciamo». Anche un cippo al cimitero civico di Bergamo ricorda le sei religiose. E il centro sanitario di Kikwit, costruito dalle Poverelle con il contributo di molte persone, è stato dedicato a queste suore martiri della carità.