Esami a scuola, “solo” una prova orale: banalizzazione o valorizzazione?

Alcune riflessioni sull’esame conclusivo per i ragazzi delle scuole medie

La notizia era nell’aria: con l’insediamento del nuovo governo, guidato dal professor Mario Draghi, doveva giungere una comunicazione ufficiale sugli esami conclusivi del ciclo di studi per i ragazzi delle scuole medie e superiori (oggi tecnicamente definite, rispettivamente, Scuole Secondarie di primo e secondo grado). La notifica, che immediatamente ha fatto il giro del web e, la sera stessa, è stata rilanciata da diversi telegiornali, ha generato diverse reazioni, soprattutto tra i docenti. Mi soffermo sui ragazzi di terza media: tre delle mie cinque classi sono terze medie e la mia esperienza da docente è interamente legata a questo grado di scuola; non offrirò, pertanto, riflessioni sull’esame di stato, un tempo definito “maturità”, per i ragazzi che concludono il quinto anno delle scuole superiori: altri, se lo riterranno opportuno, potranno offrire il loro contributo su questo. In particolare, desidero concentrarmi sulle reazioni più significative a questa comunicazione, che mostrano pensieri opposti su questo argomento.

Anche tra i miei colleghi c’è stato chi, ad una prima reazione, si è detto contrario a questa modalità di esame. Questo perché, nella loro prospettiva di  pensiero, l’esame non sarebbe serio, non darebbe la possibilità agli studenti di confrontarsi con prove d’esame significative e costituirebbe una mancanza importante, a livello educativo, per i ragazzi. Infatti, un esame soltanto orale, che sia semplicemente un’esposizione di un elaborato preparato dallo studente sotto la guida dei docenti (così pare essere la prova, in attesa di decreto ufficiale), sarebbe una sorta di “pro forma”, fondamentalmente invalutabile, che rischia di essere affrontato con superficialità dagli studenti, già esultanti per il fatto di non doversi impegnare nell’affrontare le temute prove scritte: insomma, questo esame rischia seriamente di costituire un incentivo al disimpegno.  Personalmente, io mi pongo in altra prospettiva. Provo a illustrare il mio pensiero. I nostri studenti affrontano un percorso di diversi anni, fatto di lezioni, esercitazioni, prove di verifica, esperienze extrascolastiche ecc. In questi anni, hanno imparato a scrivere temi, a risolvere esercizi sempre più complessi di matematica, a conoscere e utilizzare terminologie specifiche delle diverse discipline, a leggere e parlare nelle lingue straniere studiate ecc. Ora, mi sorge spontanea una domanda: uno studente che abbia sostenuto mensilmente la stesura di due temi, due prove di matematica, di lingue straniere e di altre discipline, ha forse bisogno di sostenere una prova, simile a queste, che porti il nome di “esame” e che possa modificare sensibilmente il voto finale dell’alunno? Perché le prove sostenute nei vari anni di scuola non bastano? Peraltro, dalla mia esperienza, breve ma non brevissima (quest’anno è per me l’undicesimo di insegnamento), ho notato diverse criticità a riguardo degli esami. Innanzitutto, sulla preparazione degli esami stessi: a volte, la paura di predisporre prove eccessivamente complesse (alle medie è il singolo istituto che prepara le prove, a differenza di quelle delle superiori, predisposte dal Ministero competente), che potrebbero causare difficoltà a diversi alunni, ha condotto a prove che, al contrario, erano troppo semplici, così che, ad esempio, l’alunno con la media del sette, miracolosamente raggiungeva il 9 nelle prove d’esame.

Altro che esame obiettivo… Nel contempo, non reputo corretto che poche prove possano avere un peso determinante ai fini dell’attribuzione di un giudizio che deve tener conto di un percorso di anni. Basta poco, infatti, per rovinare l’impegno profuso in anni di studi e prove: un brutto scherzo dell’emozione, qualche piccolo problema di salute e la prova può andare male (ricordo al liceo persone bravissime in matematica, oggi eccellenti ingegneri, che alla prova di matematica, al liceo scientifico, presero meno di me che in matematica non brillavo..). È giusto, a tal proposito, affermare: “Gli studenti devono imparare a gestire la tensione e le emozioni”? Sarà vero, per carità, ma noi docenti ricordiamo i nostri esami? Non solo. Io non condivido il fatto che l’esame scolastico sia decisivo per la crescita psicologica di questi ragazzi. Ho alunni che hanno già dovuto affrontare ben altri esami che la vita ha loro messo dinanzi, dalla morte di un genitore a separazioni dolorose. È la vita che costringe a superare esami che fanno crescere, non la scuola (che pure, certo, è determinante per la crescita, ma durante tutta la sua durata). Inoltre, questi ragazzi avranno tutti gli anni delle scuole superiori, alcuni anche l’università, per sostenere prove ed esami: allo stato attuale, è importante che studino fino a giugno, perché la media dei loro voti sarà determinante per il giudizio finale (quindi non credo esista rischio di disimpegno). Proviamo invece, noi adulti, a investire maggiormente sul livello educativo della scuola: in questo modo, i ragazzi impareranno ad affrontare con competenza gli esami che contano, molto di più delle prove scolastiche.