Amadeus, conduttore e direttore artistico del 71° Festival della Canzone Italiana, in programma dal 2 al 6 marzo presso il Teatro Ariston di Sanremo, prima che si alzasse il sipario, aveva dichiarato che il Festival 2021 era stato fatto pensando “al Paese reale, quello che sta lottando per ritrovarsi”. Ma fin dalla prima serata, gli ascolti sono calati rispetto all’edizione 2020, ante Covid-19. Forse la ragione sta nel fatto che le poltrone in sala sono vuote e gli applausi registrati. O forse il calo di share è semplicemente dovuto al fatto che serve ben altro per risollevare le paure degli italiani, in ansia per la propria salute, per l’attesa del vaccino e per la grave situazione economica e sociale che sta vivendo l’Italia.
Del resto anche Sanremo rappresenta lo specchio del Paese: a causa delle rigide limitazioni per contenere il virus, la città dei fiori è una città fantasma, deserta e blindata, nessun evento collegato alla kermesse, nessuna ressa davanti all’Ariston e niente attese davanti agli alberghi. Ora manca poco alla serata conclusiva della settantunesima edizione del Festival della canzone italiana, quest’anno scivolato in “zona rossa” e “in assenza”, quando sapremo il nome della canzone vincitrice, e del cantante che l’ha interpretata.
Abbiamo dialogato con Alessandra Comazzi, critica televisiva del quotidiano “La Stampa”, da anni acuta osservatrice della kermesse canora, per avere dalla giornalista un bilancio sul Festival di Sanremo 2021, menomato e non solo, dall’assenza del pubblico in sala.
Alessandra, questa 71^ edizione del Festival di Sanremo è stata a tutti i costi voluta da Amadeus, nonostante la grave e drammatica situazione che sta vivendo il Paese con la pandemia e con il triste bollettino quotidiano. Che cosa ne pensa?
«Penso che avrebbero potuto evitarla. Però non è Amadeus che l’ha voluta a tutti i costi: Amadeus ha sempre detto che se non ci fosse stato il pubblico, sarebbe stato meglio rimandare il Festival. Amadeus non lo voleva più fare. La verità è che c’erano talmente tanti interessi economici in ballo, tra sponsor e tutte quelle inserzioni pubblicitarie su cui la Rai campa tutto l’anno, che Amadeus è stato praticamente costretto ad andare in scena. Avrebbe voluto un pubblico di figuranti, ma in quel caso credo che persino i miti teatranti, che non lavorano da un anno, sarebbero andati con i forconi davanti all’Ariston».
La notizia rilevante è che quest’anno i dati di ascolto sono stati deludenti. I motivi quali sono?
«Proprio nella quarta serata, si è delineata chiara la caratteristica di questo Festival: metterci dentro tutto, i problemi sociali, i cantanti forti sul web, i Grandi Classici sempreverdi, le belle decorative ma anche performanti, il Bravo Presentatore e l’amico del Bravo Presentatore. Restano domande senza risposta: perché, volendo fare a tutti i costi il Festival, non c’è stata alcuna ricerca creativa che facesse “lavorare” l’Ariston? Bastava andare su Raiplay, e si sarebbero trovate idee di creatività vera, quelle di Michieletto, di Martone. Non l’hanno fatto: arroganza? Ignoranza? Perché non scegliere una linea più minimalista? Meno sfarzo, meno lustrini, meno paillettes, meno canzoni, meno ospiti, più rispetto per il momento storico, e tutti a dormire prima? Certo, la linea è lo spezzatino, la possibilità di guardare il festival sul web, dove vuoi, quando vuoi, i segmenti che vuoi. Ma siccome il Festival va in tv, perché non considerare anche le esigenze del pubblico televisivo? Perché, a questo punto, non spezzare il programma, mattino pomeriggio sera, un frammento per volta? Avessero dato retta a Slatan Ibrahimovic: troppi 26 cantanti, danne 4 al Milan. Troppo lungo il tempo: 90 minuti, poi i supplementari, e basta. Ha ragione, novello Thanos, hai visto mai che ci distrugga».
“Più spazio alla musica: sia per la qualità delle proposte arrivate sia per dare un segnale di speranza in un momento di grande sofferenza per tutto il settore”, parole del Direttore artistico Amadeus pronunciate a luci spente e palco vuoto. Come giudica la qualità delle canzoni?
«Posto che sempre i brani risultano bruttarelli al primo ascolto, quest’anno lo sono davvero. O meglio, torniamo alle domande: ribadito che sono canzoni scelte per radio e web, perché non sceglierne almeno qualcuna più generalista, più adatta alla tv? Perché scegliere cantanti che calano e stonano?».
Quale è stato il momento più emozionante e quello più divertente del Festival?
«Emozionante: la testimonianza del marciatore Alex Schwazer, ingiustamente accusato di doping. Il più divertente: il ruolo assegnato a Ibrahimovic».
In questa edizione Fiorello si conferma sempre di più “one man show”?
«Si conferma, certo, ma il Festival era talmente lungo e pieno di roba che non ha potuto lavorare al meglio. Il Festival ha in squadra un talento assoluto come lui, uno che tutti i Festival avrebbero voluto, e lo usa poco, lo soffoca con l’accumulo. Demenziale».
La terza serata: sul palco tutti i 26 Big in gara hanno interpretato alcuni dei più grandi successi della musica italiana. Giovedì sera sul palco dell’Ariston è stata portata in scena la storia del nostro Paese raccontata attraverso le melodie?
«Non credo proprio. È stato un lunghissimo calvario di siparietti, spesso insulsi».
Un’ultima domanda: chi vincerà secondo lei?
«Ermal Meta».