Don Fausto, un anno dopo, continua ad essere guida per ritrovare un respiro di speranza

Scrivevo un anno fa che quando muoiono persone come don Fausto, persone complesse, dal respiro ampio, dall’intenso operosità,  dalla grande tessitura di relazioni e di attenzioni, in mondi diversi e lontani, persone che avevano occhi, se così si può dire, cercati negli occhi più spenti o svuotati, si sente come uno sperdimento. Si sente un grande sfinimento.

Nel tempo il sentimento cambia e si fa più chiara la mancanza e la traccia di unicità insostituibile della persona, si cominciano ad osservare le rigemmazioni delle sue parole e dei suoi gesti. In altre persone, tante, e nelle storie, nelle opere, nei progetti avviati, tenuti in mano e lasciati. Resistenze e rigemmazioni originali e particolari che in qualche modo mettono in chiaro cosa resta, cosa ha fecondato. L’essenziale e il generativo.

Che non è tutto ma è il buono, il vero e il bello che ognuno “lascia passare” in sé, in ciò che fa e in ciò che dice. Da dentro limiti e contraddizioni. E che resta, e riappare in tanti e in tanto, abbondante rigemmazione di una nuova primavera: come per don Fausto.

D’altre parte Fausto ha seminato la sua vita, i suoi giorni in modo abbondante, pieno e generoso nella vite povere e svuotate o sfigurate di tanti. Nel suo modo, sempre confidando che al di là  di questo modo Qualcuno paternamente avrebbe ben sistemato, messo semi buoni, raddrizzato i solchi, irrorate le germinazioni. Per questo ogni suo giorno iniziava con un lungo momento di preghiera, solo. Come a invocare questa Compagnia paziente, così che nei giorni vorticosi, negli incontri, nelle negoziazioni, nelle decisioni, … ci si potesse buttare rischiando anche un po’ di dispersione, o di segnare troppo la propria presenza. Qualcuno scriverà tra le righe.

Questo si comincia a vedere meglio: la radice, il respiro; ciò che resta, ciò che vale come un segno di grazia.

D’altra parte stare accanto a vite che sentono di non appartenersi più, presso i segnati dalla colpa e dallo stigma, in compagnia di quanti l’ombra, la  confusione e la reattività  l’hanno assorbita come ultimo loro tratto chiede, gli ha chiesto molto.

Chiede di toccare l’impotenza, mi ha detto un giorno, una specie di nudità della fede. Aumentare opere, servizi, relazioni; accettare ogni sfida anche oltre le energie presenti, in sé e nei  collaboratori. Forse perché il pensiero era che siamo figli, e l’ultima parola non può  essere l’abbandono; arriveranno mani, attenzioni, qualche risorsa, una possibilità… che spesso arrivavano.

Certo, don Fausto andava a cercare aiuti e a scuotere coscienze: vado in giro a mostrare e proporre la  cruna dell’ago… E trovava generosità silenziose di abbienti, da mettere insieme alle disponibilità  al servizio di tanti poco abbienti. Anche di tanti giovani.

Fare per altri, offrirsi, non lasciare nessuno sui margini, nell’abbandono. I progetti si moltiplicavano, le decisioni segnavano e aprivano, a volte tagliando, ridisegnando. Un misto tra urgenza e convinzione, messa in gioco personale. Ad altri un lavoro di accompagnamento all’autonomia, alla responsabilità o la pazienza di sostenere e promuovere maturazioni e riavvii di storie personali. Ad altri coltivare percorsi di ricomposizione di fratture, di riconciliazioni e rigenerazioni di legame.

Fausto era concentrato sulla tenuta di profili di dignità, sul tenere aggancio con l’umano residuo.

Questi mesi durissimi, quelli vissuti e quelli che si annunciano, nella città, nei paesi nelle nostre terre stanno cambiando un panorama umano e di relazioni, di presenze di tessitura di progetti. Muoiono uomini, e donne, comunitari. Dobbiamo serbare tutte queste memorie, questi  cammini; dovremo riseminarli, rigenerare legami, riscoprire respiro di speranza, e concrete operose prossimità. Pensando ai fragili ed ai piccoli.

Questo chiede e chiederà di rispondere al bisogno di senso e di verità, alla necessità di una buona spesa (una narcisistica né strumentale) dei poteri, dei saperi, delle risorse.

La generosità sarà essenziale, quanto l’umiltà, l’attenzione e la capacità di ampliare legami quanto l’intelligenza e la competenza. Bisogno di credere, e desiderio di capire, capacità di operare insieme.

Nel silenzio e nella distanza di questi tempi serbiamo,  ascoltiamo la Promessa. Che Fausto sentiva, e che disegnava il suo sorriso. Serbiamo la capacità nuova di promesse che, uomini e donne adulti, dovremo essere capaci di sostenere.