Mettere la scuola al centro: un patto che non deve restare solo sulla carta

Crediamoci. Viene da dire così dopo il “lancio” al Ministero dell’Istruzione di un “Patto per l’Istruzione e la Formazione” che ha l’obiettivo – recita una nota di Viale Trastevere – di “mettere la scuola al centro del Paese, per farne il motore dello sviluppo e dell’eguaglianza sociale”.
Il Patto è stato proposto dal Ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, durante un incontro con i sindacati.
Queste le parole di Bianchi riportare dalla nota del Ministero: “Dopo la firma del Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e della coesione sociale, dobbiamo riflettere non solo su misure d’urgenza, ma anche su una visione di cambiamento della nostra scuola”.
Ai sindacati, poi, il titolare di Viale Trastevere ha spiegato che “abbiamo di fronte un obbligo: fare in modo che la scuola torni ad essere il centro del Paese, un centro dinamico, un motore di sviluppo per uscire dalla pandemia, ma anche dalla stagnazione. Abbiamo di fronte un anno costituente, un anno in cui dobbiamo essere capaci di valorizzare al massimo la nostra scuola”.
Il “Patto” si muove tra temi di stretta attualità – ad esempio “l’avvio ordinato ed efficiente del prossimo anno scolastico” – e una prospettiva più ampia, legata a una visione di scuola che per il Ministro “va costruita con l’aiuto di tutti. Sulla scuola dobbiamo mobilitare il Paese intero”.
Nobili intenzioni e ribadiamo: crediamoci. Però non si può non avere una certa diffidenza di fronte all’ennesimo proclama sulla scuola. Intendiamoci, merita tutta la collaborazione e condivisione possibile. E’ senz’altro vero che la scuola deve tornare (?) ad essere il centro del Paese. Ma chi di scuola mastica quotidianamente sa bene che di queste parole se ne sono spese a carrettate e lo stesso termine “tornare” fa sorridere: verrebbe da chiedersi ma quando mai è stata al centro del Paese?
Bisogna ricordare quanto l’Italia spende per la scuola in rapporto al Pil? Uno degli ultimi ministri – Fioramonti (chi era costui?) – si dimise proprio perché riteneva che nella legge di bilancio non ci fossero fondi adeguati per la scuola. Era la fine del 2019, poco meno di un anno e mezzo fa. E immediatamente i media puntarono l’indice su come l’Italia fosse ultima in Europa nella spesa per l’istruzione.
Nel novembre 2020 l’autorevole rivista Tuttoscuola riportava i dati raccolti dall’annuale rapporto di monitoraggio sull’educazione e la formazione, realizzato dalla Commissione europea, dal titolo Education and training monitor 2020. Tra l’altro si leggeva nell’articolo: “Nonostante un leggero aumento nel 2018, la spesa per l’istruzione in Italia rimane tra le più basse nell’UE. Nel 2018 la spesa pubblica per l’istruzione è aumentata dell’1% in termini reali rispetto all’anno precedente, ma resta ben al di sotto della media Ue, sia in percentuale del Pil (il 4 % contro il 4,6 %) sia in percentuale della spesa pubblica totale, che all’8,2%, è la più bassa dell’Ue (9,9%)”.
Bene, si capisce che il Patto per la scuola non può prescindere da una seria riconsiderazione della spesa. Mettere al centro del Paese la scuola vuol dire avere intenzionalità, avviare politiche di condivisione e soprattutto spendere denari. O meglio, investire denari, scommettendo sul futuro. Più di quanto si sia fatto finora.Alberto Campoleoni