Dalle visite al pellegrinaggio pastorale: la storia del lungo cammino dei vescovi

Iniziamo una serie di approfondimenti – che pubblicheremo a cadenza settimanale – attraverso la storia delle nostra diocesi, a partire dalle origini delle visite pastorali e seguendo nei secoli il cammino dei vescovi nelle comunità della diocesi, con tutte le diverse forme e caratteristiche che ha assunto nel tempo.

Gli atti delle visite pastorali sono fonti indispensabili nelle ricerche storiche. Fin dai primissimi secoli del cristianesimo, i vescovi visitavano personalmente, o tramite fidati collaboratori, le comunità cristiane. A partire dal Medioevo, per varie concause, come la rilassatezza e la corruzione della gerarchia e del clero, le visite subiscono progressivamente un crollo verticale, sia perché non indette, sia nella frequenza periodica, fin quasi a scomparire, tranne rare eccezioni. È il Concilio di Trento (1545-63) a decretare l’obbligo della visita pastorale periodica alle diocesi, definendola uno dei doveri più gravi del vescovo. Dopo il Tridentino, pur non subito con capillarità, le visite pastorali riprendono regolarmente fino ai giorni nostri e interrotte, oppure sospese momentaneamente, soltanto per gravi motivi, come guerre, disordini, epidemie, morte o impedimento del vescovo, intralci creati ad arte dalle autorità anticlericali. 

SCOPI DELLA VISITA PASTORALE

Dal periodo post-tridentino e per molti versi fino a 1900 inoltrato, in una commistione di elementi giuridici, canonici e amministrativi, la visita pastorale ha un intento di verifica e controllo su: clero (residenza, osservanza dei doveri, morale), stato materiale delle chiese, religiosità e morale del popolo, vita delle confraternite e, dal 1800 inoltrato, dei gruppi parrocchiali. In anni recenti, invece, pur tastando sempre il polso della realtà parrocchiale, essa si è caratterizzata sempre più come occasione di incontro, stimolo, condivisione, stimolo e conoscenza della vita della parrocchia. Un tempo, la visita pastorale richiedeva anche tempi molto lunghi, per esempio  vastità e geografia fisica della diocesi, scarsità delle comunicazioni e, come già accennato, epidemie, disordini e guerre.

SVOLGIMENTO

Gli atti delle visite pastorali post-tridentine generalmente sono redatti in latino, ma nel 1600 si impone progressivamente il volgare. Fino a non troppi decenni fa, arrivando in una parrocchia, il vescovo celebrava la Messa, visitava chiese e cimitero, controllava gli arredi sacri, chiedeva informazioni sulla morale e sui doveri dei preti e dei fedeli interrogandoli personalmente, entrava nelle classi della dottrina cristiana, si informava sulla presenza di scuole e sulla moralità di maestri e levatrici. Gli atti dal 1500 fino a larga parte del 1600 conservano un tono rigorosamente notarile e inventariale, senza tracce di eventi politico-sociali o catastrofi naturali. Malgrado ciò, come ha affermato lo storico Gabriele De Rosa, questi atti riescono a comunicare la varietà e la vivacità del mondo religioso e sociale coevo. Dal 1600 inoltrato al 1700, pur conservando i tratti canonico-giuridici, gli atti fanno trasparire, secondo il De Rosa, l’ansia del vescovo per vivificare ogni norma di un respiro più spirituale, quasi una prova personale di fronte al futuro giudizio divino. La visita pastorale, molto attesa dai fedeli, era vissuta come un avvenimento assai rilevante. All’opposto, essa inquietava il clero corrotto o negligente, i responsabili disonesti delle confraternite e i fedeli non in regola con i precetti della Chiesa.

I QUESTIONARI

A partire dalla metà del 1600 le interrogazioni cedono progressivamente il passo a una novità, cioè l’invio del vescovo al parroco di un questionario con una serie, più o meno articolata e lunga, di domande su realtà religioso-morale della parrocchia, vita delle confraternite, stato delle chiese. Assenti, o assai rare, analisi politico-sociali, mentre inizia a essere segnalata la presenza di opifici e mulini. Questi ultimi erano spesso attivati da uomini non italiani di religione protestante e indicati come ostacolo all’osservanza dei doveri religiosi dei fedeli, spesso costretti a lavorare nei giorni festivi. Calamità naturali o incendi disastrosi vengono citati incidentalmente. A Bergamo l’uso del questionario viene introdotto dal vescovo cardinale Gregorio Barbarigo (1657-64).

I contenuti dei questionari rimangono sostanzialmente inalterati fin quasi a tutto il 1800, quando avviene un profondo cambiamento con numerose domande sulle  associazioni cattoliche e l’incidenza negativa sul tessuto parrocchiale  dovuta ai cambiamenti politico-sociali e culturali, come l’abbandono delle campagne, l’industrializzazione, il socialismo, gli scioperi, l’emigrazione, i nuovi costumi della società, la stampa. 

IL DECRETO

Dopo un certo lasso di tempo dal termine della visita pastorale alla parrocchia, il vescovo emetteva (generalmente ancora oggi) un «Decreto», in cui dava un giudizio personale sintetico sulla realtà della parrocchia, con elogi, consigli, richiami più o meno severi e alcune prescrizioni (non sempre eseguite) a cui i parroci dovevano ottemperare, considerate indispensabili o auspicabili per il bene della parrocchia.

1 – continua